Strategie di marketing nel mercato del lusso
3. Le politiche di prezzo
3.2 Il prezzo dell’esclusività
Le componenti del costo, nel lusso, spiegano solo in parte il prezzo finale al quale è proposto il prodotto: il prezzo di un bene di lusso è la banale contropartita per l‟acquisto di un formidabile valore immaginario.
Per arrivare al prezzo, occorre valutare la rendita della marca, cioè quella cifra che separa i costi dal prezzo che il cliente è disposto a pagare. Il prezzo finale di un prodotto può essere definito, col Cerna42, Centre d‟economie industrielle de l‟ècole des
42 Citato da Bomsel O., op. cit.
Mines di Parigi, come il consenso a pagare una certa cifra da parte del consumatore, pertanto
consenso a pagare (CAP) = costo + rendita della marca.
La rendita di marca è più o meno elevata in funzione di elementi razionali (vantaggi forniti, differenziazione dai prodotti concorrenti, conservazione del valore nel tempo, rarità degli oggetti ecc.) e di elementi irrazionali (immagine di marca, autorappresentazione, valore sociale degli oggetti e delle marche, esclusività ecc.).
Nel grafico che segue (fig. 31), sono descritte le composizioni del prezzo finale (CAP) ed i volumi realizzabili da uno stesso prodotto in quattro diversi segmenti-canali.
Quello più redditizio è C3 che, pur non prospettando i maggiori volumi di vendita, massimizza la rendita della marca. Tale risultato è il migliore in termini di conto economico aziendale, deve però anche essere valutato in relazione all‟impatto che la riduzione di prezzo può determinare, alla lunga, sull‟immagine della marca rispetto ad un posizionamento nei segmenti-canali C1 e C2.
Dalle ricerche del Cerna emerge che la rendita della marca aumenta, per l‟effetto dei volumi, accedendo a segmenti di prezzo più basso o a canali distribuitivi meno selettivi e nei quali si devono praticare prezzi inferiori. Oltre un certo limite tuttavia i maggiori volumi non compensano più la riduzione del prezzo necessario per ottenerli, e la rendita della marca diminuisce.
Nel momento della definizione del prezzo il produttore deve sapere valutare la rendita di marca di cui dispone per aggiungerla ai costi. La sopravvalutazione della marca porta fuori prezzo i prodotti, e riduce le vendite, la sua sottovalutazione colloca la marca su un livello di prezzo che la svaluta, abbattendone il valore capitale ed il potenziale di profitti generabili nel tempo.
Fig. 31 – La struttura della rendita di marca (Cerna)
In alcuni mercati, addirittura, una riduzione di prezzo fa diminuire le vendite perché crea un disorientamento del consumatore. In questi casi, illustrati da Valdani43, solo un ulteriore calo può garantire vendite più elevate di quelle iniziali (fig. 32).
L‟esempio che segue mostra che nell‟intervallo di prezzo Pa-Pb le vendite diminuiscono, prima di ricominciare ad aumentare all‟ulteriore diminuzione del prezzo.
Non bisogna poi dimenticare che il prezzo costituisce per il consumatore, in tutti i settori, un indicatore e quindi una garanzia di qualità: più il prezzo è elevato e più la presunzione di qualità aumenta.
Mentre però questo connotato generale del prezzo vale per tutti i prodotti, la rendita di marca è diversa per tutte le marche e la stessa marca spunta rendite diverse presso i diversi target di consumatori e nei diversi segmenti del mercato in cui opera.
La misurazione della rendita di marca finalizzata alla fissazione dei prezzi non è facile. Le ricerche di mercati rivolte al consumatore non vanno al di là dell‟individuazione di un “prezzo psicologico” medio, il più delle volte frutti delle verbalizzazioni degli intervistati più che di vere e proprie simulazioni degli atti d‟acquisto.
43 Valdani E., 1989.
Fig. 32 – Il modello del prezzo di prestigio (E. Valdani)
In questi casi è forte il rischio che l‟intervistato “posizioni” più in alto del vero la sua soglia di acquisto per fare di bella figura. L‟unica risorsa rimane allora la prova di prezzi diversi in punti vendita o paesi diversi.
Nella gestione del prezzo delle aziende del lusso che possiedono marche in tutto il mondo, acquista un particolare peso il controllo dei prezzi proposti dai diversi paesi.
Essendo i consumatori del lusso cosmopoliti e viaggiatori, le aziende devono evitare di disorientarli e di “perdere la faccia” in seguito al confronto dei prezzi di uno stesso prodotto in luoghi diversi. L‟equivalenza del prezzo scoraggia inoltre il commercio
“parallelo” che si avrebbe da un paese in cui il prodotto è venduto a prezzo più basso verso quelli nei quali invece è venduto più caro.
In tema a di prezzo, un cenno lo meritano le promozioni, con la loro versione più elegante costituita dai “saldi”, e gli outlet, i punti di vendita delle marche riservati alla vendita di prodotti di seconda scelta o di rimanenza di stagione o allo smaltimento di scorte eccessive.
Le promozioni, in teoria bandite dal lusso, sono di fto in costante aumento, a conferma di un‟accresciuta concorrenzialità del settore, e non si limitano più alle attività person-to-person che hanno per obiettivo la fidelizzazione dei clienti, ma sono sempre più spesso realizzate con brutali tagli prezzo fino al 50%. Gli outlet invece dilagano
addirittura, e non solo in Italia. La diffusione di questo tipo di negozi alimenta scorribande domenicali di comitive festanti, non solo costituite da turisti giapponesi, ma anche di intere famigliole benestanti, pilotate dalle guide ufficiali sempre superate e da quelle clandestine mo aggiornatissime fotocopiate durante i party o estratti da siti internet specializzati44.
Tra i tanti paventati pericoli per il futuro del lusso, quello rappresentato dalle promozioni per i danni che possono creare alla credibilità delle marche, è ormai una realtà, il cui impatto si potrà misurare in qualche anno, ma che non potrà essere pesante.
Gli outlet invece più che in altro contribuiscono alla diffusione della conoscenza di marche e prodotti, facilitando l‟ingresso nel mondo nel lusso di strati crescenti della popolazione.
A nostro parere non costituisce invece un danno, bensì un vantaggio per il lusso, anche la diffusione delle contraffazione, almeno quelle non vendute subdolamente nei negozi eleganti ma nei lungomare o sotto i portici delle città.
Il fenomeno del “vu comprà di lusso”, il pusher di Vuitton, ha reso popolari molti simpatici senegalesi e alcuni grandi prodotti e marchi, contribuendo a diffonderne la conoscenza ed a valorizzarne le produzioni, rendendo ancor più desiderabili gli
“originali”. Semmai c‟è da preoccuparsi che il 70% delle contraffazioni riguardino prodotti francesi anziché italiani.
E‟ certamente un comportamento da tenere sotto controllo, perché rappresenta ormai il 5% del commercio mondiale, ma non è da lì che possono venire i danni per il mercato del lusso.
44 La ricorsa agli “affari”, oltre che agli acquisti migliori, ha visto nascere recentemente agenzie specializzate nel fornire “assistenti agli acquisti” ai clienti meno esperti. Si tratta di veri e propri “personal shoppers”, esperti di moda e di beni di lusso, poliglotti, con predisposizione alle relazioni pubbliche (citato da Finanza & Mercati del luglio 2004).