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NELLA FABULA E NELLE ARTES

VI. IL PROBLEMA DEL BILINGUISMO

VI.1. UN AUTORE IGNORANTE DI GRECO?

Che Marziano conoscesse il greco e le relativa letteratura è stato sempre considerato un dato incontrovertibile nei commenti medievali1 e nelle edizioni umanistiche e prelachmanniane2, alla luce

degli innumerevoli grecismi3, della dottrina di chiaro indirizzo neoplatonico e degli stessi contenuti ar-

tigrafici delle Nuptiae. Questa posizione è stata via via messa in dubbioin epoca moderna, di pari passo con una generale svalutazione dell’opera stessa, e certo non ha giovato a Marziano l’epiteto di «Skribent» (‘scribacchino’) affibiatogli a inizio Novecento da Norden 1915, p. 624 [= 1986, p. 630], che non dedica nemmeno mezzo paragrafo alle Nuptiae, trascurando di inserire Marziano nell’indice dei nomi. Eppure si tratta dello stesso Norden che polemizza contro i sostenitori dell’esistenza di un latino ‘africano’ cor- rotto e scadente (tumor Africus) per affermare4:

Ora, chi vuole acquistare un giusto senso della stilistica latina, legga quanto su questo soggetto è stato scritto dal Petrarca al Lipsio (cosa che oggi pochissimi fanno), ma non cerchi in loro ciò di cui essi mancavano e dovevano mancare: cioè una visione storica dello sviluppo della lingua e la conoscenza del fatto che solo attraverso il greco si può capire il latino. La supposizione di uno stile specifico africano, differenziato dagli altri per influsso del semitico, si regge su due errori fondamentali: io credo che chiunque ricorra al punico per spiegare le caratteristiche stilistiche, per es., di Apuleio, e spieghi ricorrendo ai Salmi la sua ampollosità e il parallelismo dei suoi periodi, commette lo stesso grave peccato contro lo spirito della lingua latina di chi le si accosta senza sapere come allora scrivevano i Greci.

Ma a distanza di poche righe Norden opera una distinzione da cui ancora oggi la critica fatica a uscire5:

Dal 250 d.C. circa non si può più parlare per l’Africa, come per tutto l’Occidente, di una conoscenza del greco abbastanza grande da influenzare lo stile latino. Se dunque vediamo gli scrittori di quest’epoca scri- vere in uno stile come quello che usavano contemporaneamente i sofisti greci, non si può parlare però di una dipendenza diretta, ma dobbiamo stabilire che allora questo stile si era del tutto naturalizzato nella lingua latina e si propagava da solo. Ma per tutti gli scrittori, la cui vita cade nel secondo e al principio del terzo secolo, tale influsso è stato quanto mai forte. Quindi, mentre è del tutto verosimile che la conoscenza del greco di Cipriano fosse difettosa, ed è sicuro che lo fosse, secondo la sua stessa testimonianza, quella di Agostino, per Tertulliano e Apuleio è vero il contrario.

Se ciò vale per Agostino, a maggior ragione dovrà valere per lo «scribacchino» Marziano; si arriva così alla affermazioni di Courcelle 1948, pp. 198-200, secondo cui i nomi ellenizzanti nella fabula, i richia- mi alle grandi personalità del mondo ellenico e i frequenti grecismi di ambito tecnico non provano alcu- na conoscenza del greco da parte di Marziano. Da allora, salvo eccezioni, poco è cambiato. Ne è esempio significativo la rassegna delle diverse esegesi di VI 708c:

Punctum vero est cuius pars nihil est, quae si duo fuerint, linea interiacente iunguntur.

Rispetto ai precedenti greci (Eucl. elem. I def. 1 e Hero def. 1: Σημεῖόν ἐστιν, οὗ μέρος οὐθέν) e soprat- tutto latini (ps.Cens. 6,1 Nota est cuius pars nulla est; Balb. 97, 15 Lachmann Signum est cuius pars nulla 1 Cf. ad esempio Eriugena (Lutz 1939, p. 3, 11-13): Eundemque Martianum, dico, utriusque lingue, Grece videlicet et Latine, sui operis textura peritissimum fuisse manifestissime proclamat. Il bilinguismo marianeo è ripreso programmaticamente nell’accessus di Remigio di Auxerre alle Nuptiae: vd. Lutz 1962, p. 65. 2 Cf. i februa in appendice all’edizione Grotius 1599 e l’intero commento di Kopp (1836).

3 L’Index Graecus di Willis 1983, pp. 446-448 conta 252 lemmi. 4 Norden 1986, pp. 598-599 [= 1915, p. 592]

est), Marziano opera uno scarto: da μέρος οὐθέν / pars nulla a pars nihil. Questo slittamento ha suscitato numerose perplessità: secondo Heath I 1908, p. 155, la traduzione di Marziano «gives any sense: if a part of a point is nothing, Euclid might as well have said that a point is itself “nothing”, which of course he does not do». Sulla stessa linea Stahl – Johnson – Burge 1977, p. 265 nt. 232, che aggiungono una considerazione ulteriore: l’errore non può essere imputabile a Marziano, bensì alle sue fonti latine inter- medie («some Latin Euclidean primer»). Bonadeo 2006, p. 163 ritiene la traduzione «paradossalmente infedele», dovuta al fatto che il punto sarebbe identificato «con ciò la cui parte è nulla» più che «con ciò che non ha parte».

VI.2. LA RIVALUTAZIONE DI MARZIANO A PARTIRE DALLA FABULA

Uno sbaglio grossolano, per giunta copiato da ignoti traduttori latini a lui precedenti, in un passo di comprensione immediata: stando a ciò che dice la critica in merito al § 708c, Marziano sembra un compilatore di scarsa intelligenza, ma la stessa traduzione «aberrante»6 si trova anche in Cassiod. exp.

in Salm. PL LXX 684, 59. Grebe 1999, p. 347, avanza l’ipotesi che nihil abbia valore avverbiale, ma alla fine propende per l’errore, come anche Ferré 2007 b, pp. 152-153. Eppure la soluzione (facile) è in- terpretare nihil come avverbio, così come οὐθέν: «Punto è ciò di cui non c’è affatto/assolutamente una parte». Analogamente, al § 710a planus autem fit angulus in planitie duabus lineis se invicem tangentibus et non unam facientibus ad alterutrum inclinationem, il fatto che la seconda parte della definizione (et non... inclinationem) diverga da Eucl. elem. I def. 8, ha indotto a parlare di guasto o errore7, ma in realtà

questa sezione del testo combacia con Hero def. 14: ὅταν ἡ ἑτέρα προσεκβαλλομένη κατὰ τὴν ἑαυτῆς σύννευσιν μὴ πίπτῃ κατὰ τῆς ἑτέρας. Casi come questi dimostrano che le presunte differenze fra Mar- ziano e le sue fonti non sono prove di compilazioni e manipolazioni intermedie, bensì normali riadat- tamenti. Niente di diverso rispetto al contemporaneo Calcidio, di cui Petrucci 2012 b ha evidenziato la libertà nell’uso del suo modello: il Commento al Timeo di Adrasto di Afrodisia, ricostruito attraverso il confronto con Teone di Smirne8

Dopo lo studio pionieristico di Pietro Ferrarino (1969), la rivalutazione dell’autore è partita dalla fabula (i libri I e II), di cui la critica ha sottolineato l’originalità e la ricchezza di contenuti. Quella stessa fabula che già Dubravius 1516, f. A2r-v descriveva con parole entusiastiche nella sua lettera prefatoria rivolta al vescovo Stanislav I Thurzo:

Quam adeo rem duo Martiani praesentes libelli, non tam festiva et amoena, quam ardua et difficili materia facti, impetrare a te debebunt. Cave enim putes, ullum apud latinos extare librum, qui merito istis Mercurii et Philologiae nuptiis, anteferri debeat, sive Pithagoricae sectae mysterio, sive intima philosophiae subtilitate, sive artium omnium, disciplinarumque apparatu prorsus nuptiali, ut pote in quibus, Orpheus orgia sua instauret. Homerus epica recantet, Vergilius Heroica iteret, aestuet Heraclytus, madeat Thales, voluptuetur Epicurus. Plato autem, nihil maius dicere possum, Timaeum nobilissimum illum dialogum, rursum hic continuet. Sed et gentes quoque, atque urbes nonnulla, suas hic agnoscunt artes, Caldaei syderum scientiam, Aegyptii Hierogliphicas notas, Persae magiam, Phryges et Cylices avium significationes, Preneste sortes, Telmessus aruspicinam. Postremo cuncta vetustas, hiis duobus libellis sese condidit, ut iam vel verissime quis dixerit, Nuptias has, non esse Nuptias, sed Philosophorum, disciplinarumque omnium conciliabulum, et quod in Graeco proverbio est ἀγαθῶν θάλασσα. Et revera bonorum mare nominari debent hae nuptiae. Namque ut 6 Ramelli 2001, p. 935, che nel citare Cassiodoro rinvia alla Patrologia Graeca anziché alla Latina.

7 Stahl – Johnson – Burge 1977, p. 266 nt. 238; Grebe 1999, p. 351 nt. 235.

8 Petrucci 2012 b, p. 25: «Se da un lato Calcidio tende a semplificare la propria fonte, dall’altro Teone seleziona, integra e talvolta sostituisce il testo di Adrasto, senza rinunciare in alcuni casi a entrare in polemica con il peripatetico». E ancora, a p. 29: «Il Commento al Timeo di Adrasto, perduto in tradizione diretta, dispone dunque di due ampie testimonianze, valide come tradizione indiretta, che offrono consistenti indicazioni sui contenuti tecnici dell’opera di Adrasto, su alcuni nuclei argomentativi, su un certo numero di oggetti di attenzione e talvolta sulla disposizione degli argomenti. Esse presentano però forti oscillazioni in relazione alla composizione del testo, alla selezione dei passi e alla loro disposizione, fino a far scomparire in alcuni casi l’originaria posizione di Adrasto».

in mari, purpurarum, conchiliorum, gemmarumque ingentes thesauri, altissimis occultantur aquis. Sic huius libelli divitiae et ornamenta rerum atque sententiarum, minime in luce prolata sunt, sed tam multis, variisque involuta integumentis, ac talibus quibusdam obtenta velis, ut nec hoc possit aliquis dicere, se omnino non videre has nuptias, nec plane videre et noscere.

In queste poche righe di inizio Cinquecento è anticipata l’esegesi contemporanea sull’opera di Marziano: lo σπουδογέλοιον come strumento per trattare argomenti complessi9; i significati allegorici della fabula

nuziale in relazione alle discipline liberali e all’intera conoscenza umana10; la ripresa del Timeo plato-

nico11; l’influsso degli Oracoli Caldaici12 e del Corpus Hermeticum (cf. lo stesso Dubravius al f. B5r)13; la

presenza di dottrine magiche, teurgiche e divinatorie di origine romana, etrusca, greca ed egizia14.

L’unione di prosa e poesia15, lo σπουδογέλοιον e la presenza del personaggio Satura sono elementi

che la critica ha più volte collegato a fonti di ispirazione quali le Saturae Menippae di Varrone, il Satyri- con di Petronio e l’Apokolokyntosis di Seneca16, ma si tratta di confronti piuttosto generici, considerata

la radicale differenza di struttura, finalità e destinazione delle Nuptiae rispetto a queste opere. La cornice della fabula di Filologia e Mercurio è invece ricondotta al modello delle Metamorfosi di Apuleio, a cui Marziano certamente guarda come modello linguistico17, ma anche per la sua costruzione allegorico-

iniziatica18, all’interno di una complessa dottrina neoplatonica19 nella quale sono stati proposti paralleli

9 Su tutte le questioni di ‘poetica’ cf. Cristante 1978; Westra 1981; Schievenin 2009, pp. 119-134 [= Schievenin 1984].

10 Ferrarino 2011, pp. 372-373: «La filologia è la scienza dell’interpretazione, l’arte dell’esegesi del tutto, non solo dello scritto: essa lancia, anzi, una sfida che ha del lucreziano. La filologia non solo è conoscenza, ma è per natura la Conoscenza, unica anima di tutte le conoscenze particolari (artes), così come lo è, rispetto alle Muse, Pallade [VI 574]. Ora spetta ai futuri studiosi di Capella il cómpito di indagare, non staccando mai gli occhi dal testo e non trascurando il prezioso appoggio del Kopp-Hermann, i sottili nessi allegorici tra figlia e madre, e specialmente tra Philologia e Philosophia, e Sophia, e Dialectica, e Prudentia, ecc. Ma la limpidezza di Capella nei riguardi di Philologia va fino all’estremo, perché egli ne ribadisce la dote fondamentale mediante gli elogi che ciascuna Musa, facendo lontana eco (II 117-126 [...]) al loro corifeo, verrà successivamente rivolgendo con il suo appropriato inno, anch’esso aretalogico e chiuso dal comune ritornello, Scande caeli templa, virgo, digna tanto foedere, etc. Erato: Caput artibus, … / merito tibi subditur orbis / rationibus ante repertus. / … quid habent rationibus operta canimus tibi cognita soli (p. 52, 20-53, 8 Dick): Talia, a chiusura del proprio canto e di tutto il coro: Per vos (Mercurio e Filologia) vigil decensque / n u s m e n t i s ima complet (56, 17 s.). Per quanto chiara la figura di Philologia in sé, nessuno la può isolare (come già si è fatto cenno) dal contesto dell’intera opera: ciò che poi torna a vantaggio della comprensione totale. Questa è la ragione per cui non si può concludere l’esegesi iniziata senza fare un richiamo a due almeno delle sette introduzioni di quella seconda parte che per quasi tutti sarebbe avulsa dalla fiaba, una delle più gravi, certo, fra le inesattezze di cui Marziano continui a essere vittima». Cf. anche Lenaz 1975, pp. 6-26 e 101-120.

11 Cf. almeno Stahl – Johnson – Burge 1971, pp. 85s.; Shanzer 1986, in part. pp. 48 e 178; Cristante 2011, p. 138; Chevalier 2014, p. XLVII.

12 Lenaz 1975, pp. 33-43; Shanzer 1986 b, pp. 2-3; Tommasi Moreschini 2011, pp. 173-179. 13 Shanzer 1986 b, pp. 51-52; Cristante 2011, pp. 98, 111, 115, 116, 139, 206, 239.

14 Cf. Thulin 1906, Turcan 1954 e 1961, MacCoull 1995, Lenaz 1975, pp. 44-100, Capdeville 1996 e Bakhouche 2000.

15 Per le sezioni poetiche, Stange 1882 pp. 46-57 e Morelli 1909, pp. 252-253 presentano una lista di loci similes: vi domina incontrastato Virgilio, ma sono rappresentati anche Omero, Ovidio, Orazio, Seneca tra- gico, Lucano, Silio, Stazio, Claudiano, Ausonio, Manilio, Lucrezio, Giovenale, Tibullo, Properzio. Shanzer 1986, pp. 17-21 individua numerosi loci paralleli in Draconzio, Reposiano e nei poeti dell’Anthologia La- tina, dai quali deduce indicazioni per la datazione di Marziano in epoca vandalica, ma è evidente che tali paralleli sono «perfettamente reversibili» (Cristante 2013).

16 Basti Le Moine 1972, pp. 7-8.

17 Una rassegna di passi marzianei in rapporto con Apuleio è in Morelli 1909, pp. 256-260; sullo stesso tema nessuna novità in Ramelli 2002.

18 Argomento assai discusso nella bibliografia: cf. ad es. l’intera dissertazione di Barthelmess 1974 e in par- ticolare pp. 21 e 258-279, nonché Ferrarino 2011, p. 70 e, da ultimo, Cuhlled 2015, p. 375.

con Platone stesso20, ma anche Plotino21, Giamblico22, Numenio di Apamea23 e Porfirio24, con particolare

riferimento al Περὶ ἀγαλμάτων25 e al De abstinentia26. Parte di questa tradizione è oggi ricavabile dai

commenti di Proclo, autore posteriore rispetto a Marziano: entrambi sembrano citare le stesse fonti27.

Riferimenti filosofico-allegorici di questo tipo dimostrano che Marziano leggeva direttamente le sue fonti greche: è sufficiente sfogliare i commenti ai libri I e II28 per osservare come la timida proposta

di Barthelmess 1974, pp. 271-272 («It is therefore possible, if not probable, that Martianus acquired his Platonism not only through Latin intermediaries but from direct knowledge of the dialogues») sia ormai data per scontata, pace Norden e Courcelle.

20 Oltre al Timeo, sono variamente ricordati i dialoghi Fedro (Le Moine 1972, pp. 40-42; Cristante 2011, pp. 117, 178, 331; Chevalier 2014, p. xlvi), Fedone (Cristante 2011, p. 244), Repubblica (Shanzer 1986 b, pp. 56s; Cristante 2011, pp. 157 e 205; Chevalier 2014, pp. xxxi, xxxiii; Veronesi 2016, pp. 130-132), Teeteto (Chevalier 2014, p. xxxvi), Parmenide (Chevalier 2014, p. xliv), Simposio (Barthelmess 1974, in particolare pp. 258-279; Cristante 2011, p. 232).

21 Lenaz 1975, pp. 23-25; Cristante 2011, pp. 298-299. 22 Turcan 1958.

23 Shanzer 1986 b, pp. 187-201; Numenio è più volte citato anche in Tommasi Moreschini 2015.

24 Secondo Gersh 1986, pp. 621-637, Marziano riprenderebbe la dottrina porfiriana degli intelletti collegati a ciascuna delle sfere planetarie, ma cf. le precisazioni di Cristante 2011, p. 239.

25 Cf. Préaux 1955 e le precisazioni di Shanzer 1986, pp. 133-137.

26 Schievenin 2009, pp. 1-17 (con bibliografia) e Cristante − Veronesi 2016. 27 Cf. anche infra, A.1.