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NELLA FABULA E NELLE ARTES

VIII. DICHIARAZIONI PROGRAMMATICHE SUL VERTERE NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLE ARTES

VIII.2. PER UNA NUOVA IMPOSTAZIONE TEORICA

Prima di analizzare la questione nel dettaglio, sarà utile ripartire dalle parole di Vössing 1993, pp. 787-788, dedicate alla situazione del greco nella pars Occidentis dell’Africa:

È vero che, ancora nell’epoca di Agostino, per la strada si sentiva parlare il greco (cfr. Serm., 180 5 e 288 3); i contatti con l’Oriente – anche per i commercianti, gli artisti, i medici greci, ecc. – furono mantenuti su questo piano. Tuttavia, quale mezzo di comunicazione letteraria pubblica, evidentemente la lingua greca non aveva piu alcun valore, mentre aveva giocato ancora un certo ruolo ai tempi di Apuleio e Tertulliano. Tuttavia, il bilinguismo rimase in seguito un importante status symbol per i membri della classe superiore avidi di cultura che nondimeno poteva essere impiegato anche da chi – come ad esempio Agostino – non era andato oltre Omero. Il divario tra pretese e realtà era diventato evidentemente molto piu profondo. D’altro canto, non bisogna trascurare il fatto che anche coloro che avevano interesse per l’approfondimento delle conoscenze del greco (ad esempio medici la cui lingua professionale era il greco, oppure aspiranti filosofi) avevano ancora a disposizione buone possibilità di formazione; al riguardo sono da considerare anche gli istitutori privati. Sappiamo dell’esistenza nella città di scuole filosofiche fino al V secolo compreso e conosciamo alcuni medici africani del IV e V secolo il cui prestigio di scienziati era dovuto soprattutto alle loro prestazioni di traduttori: Elvio Vindiciano, il suo discepolo Teodoro Prisciano, Cassio Felice e Celio Aureliano; anche nelle loro rispettive cerchie scolastiche dovrebbero esserci state conoscenze del greco di un certo riguardo. Tuttavia è certo che le litterae Graecae si sono spostate al margine della vita letteraria pubblica. Il loro posto non è piu nelle basiliche, nelle terme oppure in teatro, bensi negli studi privati o semiprivati.

Questo arretramento dalla sfera pubblica agli ambienti privati coincide con la situazione descritta da Marziano, secondo cui le artes sono state bandite dalla scuola (terris indecenter expulsae, IX 899), i (mentre ben poco, in assenza dei Disciplinarum libri, possiamo dire sulla sezione armonica nell’opera di Varrone). Sull’argomento vd. Guillaumin Jr. 2011, pp. XLIV-LII e LXIII-LXX.

ginnasi sono diruta e depauperati della musica (IX 899), le nuove generazioni crescono nell’ignoranza (indocta saecula, IX 999), ormai estesa a tutti i livelli (terrigenae stoliditatis ignavia, IX 899; humanitatis ignavia, IX 929), e vi è addirittura una profonda ingratitudine nei confronti delle artes (ingrata mortali- tas, IX 921; ingrata humanitas, IX 929). Difficile credere che si tratti di pura topica: la crisi degli studia humanitatis, per loro natura bilingui, sembra anzi il motivo per cui Marziano ha progettato e realizzato le Nuptiae, un «piano paideutico [...] che anzitutto si configura come recupero delle discipline enciclope- diche (a rischio di andare perdute) e del loro statuto epistemologico, degli ambiti e delle arti che le costi- tuiscono, con ricostruzione documentata della storia specifica e della evoluzione di ciascuna ars e delle competenze che può fornire, secondo un programma definito (come possiamo presumere) in relazioni a particolari esigenze del momento storico in cui si colloca» (Cristante 2001, p. LIII).

Una proposta culturale così alta non può certo essere avanzata da un autore ignaro di greco, tal- mente sprovveduto da infarcire il testo di vocaboli tratti da una lingua poco familiare. Lo stesso Marziano affronta più volte il tema del vertere, affidando le proprie dichiarazioni programmatiche alle virgines dota- les: una nuova impostazione del problema dovrà quindi ripartire non solo dall’analisi dell’analisi del testo artigrafico, ma anche dalla sua cornice allegorica, due unità inscindibili nell’architettura delle Nuptiae.

VIII.3. GRAMMATICA

La prima disciplina ad entrare in scena è Grammatica64 (§ 223):

Admoverat igitur Letoides unam priore loco Mercurialium ministrarum aetate quidem longaevam, sed comitate blandissimam, quae se in Memphide ortam rege adhuc Osire memorabat, diuque obtectam latibulis ab ipso repertam educatamque Cyllenio. Quae femina, licet in Attica, ubi maiore aevi parte floruerat, se assereret incedere palliatam, tamen ritu Romuleo propter Latiare numen et Oli caput propterque Martiam gentem Venerisque propaginem senatum deum ingressa est paenulata.

La virgo afferma di essere nata in Egitto, dove è stata inventata la scrittura65, e di essere stata scoperta ed

educata da Mercurio66; dice di avere il pallio greco, ma in realtà si presenta vestita ‘alla romana’, metafora

della sua doppia natura greco-latina, confermata al § 229 (chiara ripresa di Svet. gramm. 4):

Romulus Litteraturae nomen ascripsit, quamvis infantem me Litterationem voluerit nuncupare, sicut apud Graecos Γραμματιστική primitus vocitabatur, tunc et antistitem dedit et sectatores impuberes aggregavit. Ita, quod assertor nostri nunc litteratus dicitur, litterator antea vocabatur. Hoc etiam Catullus quidam, non insuavis poeta, commemorat dicens “munus dat tibi Sylla litterator”. Idem apud Graecos γραμματοδιδάσκαλος vocitatur. Grammatica è vestita alla romana e parla la lingua di Romolo sin dall’infanzia, dunque il lettore è avver- tito: le fonti del III libro saranno prevalentemente latine. La tradizione greca è comunque imprescindi- bile; emblematica, da questo punto di vista, l’affinità fra il § 230

Officium vero meum tunc fuerat docte scribere legereque; nunc etiam illud accessit, ut meum sit erudite intellegere probareque, quae duo mihi vel cum philosophis criticisque videntur esse communia. Ergo istorum quattuor duo activa dicenda sunt, duo spectativa; siquidem impendimus actionem, cum quid conscribimus legimusve, sequentum vero spectaculo detinemur, cum scripta intellegimus aut probamus, [et] licet inter se quadam cognatione coniuncta sint, sicut ceteris artibus comprobatur. Nam et actor cognoscit primo, quae valeat actitare, et astronomus quaedam facit, ut per ea cognoscat, quae debeat comprobare. Miscet etiam utrumque geometres; quippe formas theorematum cum rationibus certis efficit et cognoscit.

Il mio compito, in quel tempo, era stato di scrivere e leggere correttamente; ora si è aggiunto anche il se- guente: il fatto che sia di mia competenza comprendere e valutare con erudizione: due attività, queste, che 64 Sulla rappresentazione allegorica di Grammatica cf. Bovey 2003, pp. 117-129.

65 Marziano cita esplicitamente i geroglifici egiziani a II 137-138. 66 Cf. la rappresentazione di Astronomia infra, VIII.8.

mi sembra di avere in comune persino con i filosofi e i critici. Dunque, di questi quattro compiti, due van- no chiamati attivi, due contemplativi; se dunque ci dedichiamo all’azione quando scriviamo o leggiamo qualcosa, d’altra parte siamo trattenuti dall’osservazione delle cose che seguono quando comprendiamo e giudichiamo ciò che è scritto, anche se i due aspetti sono fra loro collegati da una qualche affinità, così come è provato per le altre arti. Infatti l’attore conosce precedentemente ciò che è capace di recitare, men- tre l’astronomo fa determinate cose per conoscere, attraverso di esse, ciò che deve dimostrare. Il geometra mescola l’uno e l’altro aspetto, poiché crea e conosce le forme dei teoremi per mezzo di procedimenti certi. e un frammento di Cratete di Mallo (17 Mette = 94 Broggiato) trasmesso da Sext. Emp. gramm. I 7967:

καὶ γὰρ ἐκεῖνος ἔλεγε διαφέρειν τὸν κριτικὸν τοῦ γραμματικοῦ, καὶ τὸν μὲν κριτικὸν πάσης, φησί, δεῖ λογικῆς ἐπιστήμης ἔμπειρον εἶναι, τὸν δὲ γραμματικὸν ἁπλῶς γλωσσῶν ἐξηγητικὸν καὶ προσῳδίας ἀποδοτικὸν καὶ τῶν τούτοις παραπλησίων εἰδήμονα· παρὸ καὶ ἐοικέναι ἐκεῖνον μὲν ἀρχιτέκτονι τὸν δὲ γραμματικὸν ὑπηρέτῃ. Era solito dire che il critico differisce dal grammatico: mentre il critico deve essere esperto di tutta la scienza del linguaggio, il grammatico deve limitarsi a interpretare le locuzioni dialettali e a dar conto degli elementi prosodici e di essere conoscitore di altre particolarità simili a questa: e per queste ragioni egli affermava che il critico si può paragonare a un capomastro, il grammatico a un semplice manovale. La testimonianza di Cratete riflette un’epoca in cui κριτικός era l’interprete di scuola pergamena, la cui λογικὴ ἐπιστήμη di matrice stoica era finalizzata all’interpretazione allegorica della poesia, alternativa alla pura analisi linguistico-letteraria propria della scuola alessandrina68. Nella stessa Alessandria, tutta-

via, critica e grammatica erano già riunite nella figura di Eratostene, il primo a definirsi φιλόλογος69 in

virtù del suo «vario e molteplice sapere»70 di scienziato, grammatico e studioso di letteratura. È proprio

in questa prospettiva ‘eratostenica’ che si pone la virgo Grammatica nelle Nuptiae, in quanto dedita sia a docte scribere legereque (come il γραμματικός) sia all’erudite intellegere probareque (come il κριτικός), poiché i due aspetti sono inter se quadam cognatione coniuncta.

Il passo marzianeo acquista ulteriore importanza se letto alla luce dell’inno di Polinnia, dove (II 120) si allude ai σημεῖα usati per la colometria dei testi poetici71; è inoltre fondamentale II 136-138, la

celebre scena in cui Filologia, per ascendere alle dimore celesti, vomita tutta la sua conoscenza terrena costituita da libri e codices dal contenuto più disparato (il «vario e molteplice sapere» di ascendenza eratostenica), compresi testi lirici classificati secondo i modi musicali e trascritti ἐν εἰσθέσει (distinctae ad tonum ac deductae paginae)72. Questi indizi di sopravvivenza della tecnica editoriale alessandrina

nella tarda antichità trovano riscontro, in ambito latino, ad es. nel Bembino di Terenzio73 e nei cantica di

Plauto così come li leggiamo nel Palinsesto Ambrosiano74 e nei codici Palatini75.

Il breve quadro presentato76 conferma la posizione autorevole di Marziano nel dibattito culturale

della tarda antichità e il ruolo guida del III libro all’interno delle Nuptiae: non un semplice trattato a fini meramente scolastici (del resto la sua impostazione non trova paralleli nella tradizione grammaticale a noi nota), bensì una summa di saperi linguistici, letterari, ecdotici e financo editoriali per «l’esegesi del tutto, non solo dello scritto» (Ferrarino 2011, p. 372).

67 Segnalazione in Cristante 2009, p. 7.

68 Su questi problemi basti il rinvio a Pfeiffer 1973, pp. 157-80 e 361-384, ma cf. anche le sintesi di Funaioli 2007, pp. 1-18 [= 1946, pp. 185-203] e Ferrarino 2011, pp. 360-365.

69 Svet. gramm. 10,4.

70 È citazione svetoniana in Cristante 2008. 71 Vd. supra, IV.3.2.

72 Cf. Cristante 2008, pp. 355-359.

73 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3226. 74 Milano, Biblioteca Ambrosiana, G 82 Sup. 2. 75 Cf. Questa 1984, pp. 23-379.

VIII.4. DIALETTICA

Mentre Grammatica è bilingue sin dall’infanzia, Dialettica dimostra una titubanza iniziale nell’ac- cogliere l’invito di Giove a parlare in latino (§§ 334-335):

[334] Ac mox Dialectica, quamquam parum digne Latine loqui posse crederetur, tamen promptiore fiducia restrictisque quadam obtusus vibratione luminibus etiam ante verba formidabilis sic exorsa: [335] “Ni Varro- nis mei inter Latiares glorias celebrati mihi eruditio industriaque suppeteret, possem femina Doricae nationis apud Romuleae vocis examina aut autmodum rudis aut satis barbara reperiri. Quippe post Platonis aureum flumen atque Aristotelicam facultatem Marci Terentii prima me in Latinam vocem pellexit industria ac fandi possibilitatem per scholas Ausonias comparavit. Hinc igitur praeceptis parere colluctans nec Graia deseram ordine disserendi nec Laurentis assertionis effamina remorabor”.

Le parole di Marziano inducono a ritenere l’autore dei Disciplinarum libri il semplice fondatore della logica a Roma, non un traduttore di testi77: Dialettica si limita a dire che l’industria di Varrone l’ha spinta

(pellexit) verso la lingua latina e le ha offerto la possibilità di parlare nelle scuole dell’Ausonia. Ma se la Virgo afferma che i Romani non sono riusciti a inventare per lei un nome originale (§ 336 mihi Romanos togatamque gentem vocabolum nondum novare potuisse), limitandosi a chiamarla Dialettica come fanno ad Atene (§ 336 Dialecticen, sicut Athenis sum solita, nuncupari), è probabile che dietro alla finzione della fabula si celi un giudizio negativo, da parte di Marziano, sui trattati di logica in lingua latina che circolavano nelle scuole. Dialettica, infatti, parlerà Latialiter solo per omaggiare l’autorità di Varrone, ma chiederà agli uditori un po’ di tolleranza (§ 340):

Debetis quippe insolentiam perferre sermonis, qui Graiam dissertare Latialiter compulistis.

L’insolentia (‘inusualità’, ma anche ‘stranezza’) della lingua latina in bocca a Dialettica è metafora della si- tuazione in cui versava la disciplina nel mondo romano, evidentemente priva di una trattazione adeguata.

Di fronte a questi dati pare naturale propendere per una consultazione diretta delle fonti greche da parte di Marziano, tanto più ovvia se prestiamo fede alla testimonianza di Girolamo, che in epist. 50,1 pp. 388,13-389,6 Hilberg elenca le letture-tipo di un intellettuale della tarda antichità interessato alla logica, ovvero le Categoriae, il De interpretatione e gli Analytica priora e posteriora di Aristotele, i Topica di Cicerone78 e l’Isagoge di Porfirio. A questa conclusione arriva infatti Siben 2012, che conduce

un’analisi contenustica79 e linguistica80 del IV libro dalla quale emerge chiaramente l’uso non mediato

dei testi greci, sottoposti alle esigenze dell’esposizione.

VIII.5. RETORICA

Se Dialettica è di madrelingua greca e si sforza di parlare in latino, Retorica è invece perfettamente bilingue sin dall’infanzia (§ 427)81:

Haec etiam senatum, rostra, iudicia domuisse in gente Romulea, Athenis vero curiam, gymnasia theatraque pro arbitrio reflexisse ac totam funditus Graeciam miscuisse ferebatur.

Dietro di lei (§ 429) sfilano due schiere di oratori, capeggiate l’una da un uomo pallio circumactus, l’altra da un trabeatus: si tratta di Demostene e Cicerone, rispettivamente alla guida (§ 432) della fila greca 77 Cf. supra, I.3.4. Sulla questione cf. Bovey 2003, pp. 167-180 e la bibliografia ivi citata.

78 Ad accostare i due autori è già Stromer Aurbachensis 1510, che nello stesso volume pubblica prima il IV delle Nuptiae (ff. A2-L2r) e poi i Topica ciceroniani (L2v-E2v).

79 Cf. la sinossi delle fonti alle pp. 32-35. 80 Cf. le tavole lessicali alle pp. 38-41.

(dove si distinguono Eschine, Isocrate e Lisia) e della fila romana (nella quale spiccano i Gracchi, Regolo, Plinio il Giovane e Frontone). Davanti a tutti avanza un vecchio con una torcia in mano (§ 434): è Tisia, ‘padre’ della Retorica. Quest’ultima, tuttavia, non ha dubbi (§ 436): Inter utrumque vero columen secta- torum praeniteat Tullius meus, qui non solum in foro, senatu rostrisque grandiloquae facultatis maiestate tonuerit, verum etiam ipsius artis praecepta commentus libros quamplures saeculorum usibus consecrarit..

La vittoria è dunque assegnata a Cicerone, che rispetto a Demostene (incapace di parlare la lingua dei Romani) può vantare di essere bilingue (§ 429):

Diversus utrique oris sonus, licet alius (sc. Cicerone) etiam Athenis se diceret Graia didicisse promptus gym- nasiorum studiis et reluctantibus semper Academiae altercationibus haberetur.

Il brano dev’essere letto come indizio programmatico: il V libro si collocherà nella tradizione latina e greca (sancita dal rilievo di etiam), nella consapevolezza della sua «inscindibile unità [...], che non cono- sce (o supera) i confini dell’Occidente (latino) e dell’Oriente (greco)»82.

VIII.6. GEOMETRIA

VIII.6.1. L’Inno a Pallade (§§ 567-574) e la prima sezione allegorica (§§ 575-589)

L’inno a Pallade Atena (§§ 567-574) che apre il VI libro (e idealmente l’intero ‘quadrivio’) presenta «una fitta rete di riferimenti a diversi elementi religiosi, filosofici e culturali del mondo antico (greci, ro- mani, caldaici, ermetici, biblici), che sono ricondotti, per il loro significato e la loro funzione, alla figura simbolica della dea, nel quadro di una concezione del sapere (frutto dell’ellenismo maturo) di cui si ricono- scono la varietà e complessità delle sue manifestazioni, sia in senso diacronico sia sincronico, ma anche la sua sostanziale unità» (Filip 2010 b, p. 419). In questa sintesi che mette assieme Porfirio e Anneo Cornuto, Giamblico e Filone d’Alessandria, gli Oracula Caldaica e l’etica stoica (non senza polemica nei confronti del Cristianesimo, i cui aspetti fondamentali sono ben noti a Marziano)83, prende forma la visione unitaria

del sapere che caratterizza l’intera opera marzianea, vera e propria reductio omnium artium ad philologiam (Ferrarino 1969). L’inno si chiude con una preghiera dello stesso Marziano (§ 574):

O sacra doctarum prudentia fontigenarum, sola novem complens, Musis mens omnibus una, deprecor: ad proprium dignata illabere munus inspirans nobis Graias Latiariter artes.

Dopo aver dato la parola alle virgines Grammatica, Dialettica e Retorica, Marziano rompe il velo dell’al- legoria e interviene direttamente nella trama al solo scopo di chiedere aiuto: da qui in poi Atena dovrà ispirarlo nell’esporre in latino Graias artes, ossia le quattro scienze del numero (geometria, aritmetica, astronomia, musica). Il gioco metaletterario prosegue nel § 575: Marziano vede due electissimae femi- narum procedere verso di lui, ma non le riconosce, ignaro di come si svolgeranno gli eventi successivi (quae ista sint quidve gestitent, gerendorum inconscius non adverto). Come sottolineato da Schievenin 2009, p. 49, «l’autore nega se stesso come narratore della trama per proporsi come narratore di se stesso nella trama», al punto da ritrovarsi a dialogare direttamente con Satura, che lo rimprovera (§ 576-579)84

82 Cristante 2011, p. LVIII. 83 Vd. infra, C.3.

84 Satura punta il dito contro la forensis rabulatio (§ 576) di Marziano: il nesso è «un modo particolarmente screditante per indicare il dispendioso ed inutile sudare dell’autore alle prese, nel libro precedente, con l’elogio di Retorica: le sue fatiche oratorie, tutt’altro che onorevoli, fanno di lui un asino ragliante, che perde se stesso ed i propri riferimenti, al punto da non esser più in grado di riconoscere chi, come Filosofia e Pedia, avrebbe dovuto essere invece a lui particolarmente noto» (Bonsangue 2012, p. 32).

per non aver saputo riconoscere Filosofia e Pedia85. Concluso l’intervento di Satura, entra finalmente in

scena Geometria (§§ 580-582), introdotta da un inno (§§ 583-585); la virgo, dopo aver mosso la polvere sull’abaco che userà per tracciare le figure (§ 586), spiega agli astanti le sue origini (§ 587):

Licet Archimedem meum inter philosophos conspicata Euclidemque doctissimum in astruendae praeceptionis excursus potuerim subrogare, ne impolitum quicquam subsisteret assertorum aut profunditas caligaret, tamen congruentius ipsa vobiscum, quia et Cyllenium e x c u d i t ornamen, illi etiam Helladica tantummodo facultate, nihil effantes Latiariter, atticissant, quae etiam ipsos edocui, quod numquam fere accidit, Romuleis ut potero vocibus intimabo.

Avrei la possibilità di farmi supplire dal mio caro Archimede e dal dottissimo Euclide, che ho visto tra i filosofi, nell’esposizione degli elementi costituivi della disciplina; tuttavia, perché nessun enunciato rimanga imperfetto o la profondità dei concetti non oscuri la comprensione, sarà più conveniente che d’ora in poi sia io in persona, come sono in grado di fare nella lingua di Romolo – fatto quasi mai accaduto –, a rendervi familiare quanto ho insegnato anche a loro due, sia perché è plasmato sull’esempio della maestria oratoria del Cillenio sia perché quei sapienti, che non parlano latino e sanno esprimersi solo in greco, ‘atticizzano’. Il passo è citato secondo l’edizione Cristante – Filip (in preparazione), che restituisce la lectio diffici- lior dei manoscritti excudit in luogo di excludit pubblicato dalla quasi totalità degli editori86. La lezione

tràdita indica che la bravura retorica e oratoria del Cillenio (un topos: cf. I 36) fornisce l’abilità a Geome- tria, in qualità di Mercurialis ministra, di illustrare con una efficacia e una eleganza maggiore in lingua latina i concetti tecnici espressi originariamente dalla lingua greca. Il neologismo ornamen, il cui valore compendia l’eleganza e la grazia dell’ornatus, riassume le caratteristiche già elencate per Mercurio a I 36: ait (sc. Iuppiter)... ipsum (sc. Cyllenium) linguae insignis ornatibus fandi nimiam venustatem, quo placeret virgini (sc. Philologiae) consecutum87. Come nel confronto fra Demostene e Cicerone, si dà la

preferenza all’espressione bilingue anziché a coloro che sanno parlare Helladica tantummodo facultate: è esattamente quello che Geometria / Marziano farà nella sezione ‘euclidea’ del VI libro (§§ 710-723), dove agli originali termini greci affiancherà costantemente le relative traduzioni latine, cosa quasi mai accaduta nella letteratura di Roma (quod numquam fere accidit); un’operazione tanto nuova (nihil effan- tes Latiariter) quanto complessa, che la virgo condurrà in rapporto alle proprie forze (ut potero).

È ancora la sezione allegorica a chiarire le ragioni dell’unione fra geometria e geografia, a partire dall’autopresentazione della Disciplina dinanzi al consesso celeste (§ 588)88:

Geometria dicor, quod permeatam crebro admensamque tellurem eiusque figuram, magnitudinem, locum, partes et stadia possim cum suis rationibus explicare, neque ulla sit in totius terrae diversitate partitio quam non memoris cursu descriptionis absolvam.

Questa attenzione al dato etimologico89, esplicitato nella traduzione di γεωμετρία con permensio terrae

(VII 725), compare anche in Erone (metr. prooem.)90:

‘Η πρώτη γεωμετρία, ὡς ὁ παλαιὸς ἡμᾶς διδάσκει λόγος, περὶ τὰς ἐν τῇ γῇ μετρήσεις καὶ διανομὰς κατη- σχολεῖτο, ὅθεν καὶ γεωμετρία ἐκλήθη. Χρειώδους δὲ τοῦ πράγματος τοῖς ἀνθρώποις ὑπάρχοντος ἐπὶ πλέον προήχθη τὸ γένος, ὥστε καὶ ἐπὶ τὰ στερεὰ σώματα χωρῆσαι τὴν διοίκησιν τῶν τε μετρήσεων καὶ διανομῶν. 85 Sull’intero episodio fondamentale Schievenin 2009, pp. 47-59. Cf. anche infra, VIII.6.1.

86 Anche Vulcanius 1577 pubblica excudit e a p. 238 commenta il lemma attribuendogli il valore di expetit. 87 Cf. anche ornate a V 508, su cui vd. Zwierlein 2003.

88 Rielaboro qui una parte dei contenuti presenti in Veronesi 2017.

89 Assente in Cic. de orat. I 187 in geometria liniamenta, formae, intervalla, magnitudines e ps.Cens. frg. 5 Geo- metrica est scientia digerendi figuras numeros<que> metiendi cum suis resolutionibus. Numerus est congregatio singulorum finita semper et infinita natura. Sulla geometria nello ps.Censorino vd. Cristante 2016.

90 Erone sarebbe il primo ad avere esplicitato l’etimologia del termine ‘geometria’ (Acerbi - Vitrac 2014, p. 147 nt. 1); cf. anche geom. 2 e 23,1 (IV 176, 2-8 e 398, 13-22 Heiberg), dove si sottolinea l’origine egizia della geometria: così anche Iambl. VP 89.

La prima geometria, come ci insegna l’antico racconto91, si occupava di misure e ripartizioni della terra: per questo fu chiamata geometria. Essendo questo studio molto utile per gli uomini, il genere fu assai ampliato, tanto da abbracciare anche il dominio delle misurazioni e delle divisioni dei corpi solidi.

La geografia, più precisamente la γεωδαισία (γῆ «terra» + δαίω, «dividere»), è definita da Erone πρώτη γεωμετρία: ciò giustifica la prospettiva di Marziano, che antepone la misurazione e la descrizione della terra (permensio terrae: § 590–703) alla geometria vera e propria (§ 708–723)92. Questa unione di geo-

grafia e geometria, caso unico nella letteratura latina93, realizza la visione eratostenica della disciplina94,

incompatibile con qualunque ipotesi di ‘compilatore’ e ‘traduttore’95 (Schievenin 2009, p. 77):

La stessa corografia del libro sesto, apparentemente anomala e isolata, è in realtà l’esito di una geometria astronomica e terrestre: dalla posizione della terra nell’universo e dal problema della sua forma Marziano giunge alla misura della circonferenza terrestre e quindi alla misura delle distanze terrestri, cioè alla descri- zione grafica e letteraria della superficie terrestre (l’aristotelico γεωγραφεῖν): è subito chiaro che la sezione