ARCHETIPO Δ inizio VII secolo
A) testo latino di Marziano Capella
V. PER UN RIESAME DELLA TRADIZIONE MANOSCRITTA
V.2. GLI STEMMATA PROPOSTI DAGLI EDITOR
Il cosiddetto ‘canone Préaux’ si è rivelato funzionale a un primo orientamento nell’enorme (e con- taminata) tradizione manoscritta delle Nuptiae105, ma le indicazioni dello studioso francese non trovano
riscontro nella edizione Willis 1983, funestata da una messe di interventi ope ingenii e ope codicum106:
particolare, quest’ultimo, che potrebbe costituire motivo di apprezzamento, se non fosse che Willis, pur dichiarando di non amare gli stemmata (p. XIII), ne fornisce uno limitato ai soli codici A, B, D ed R, il cui accordo (assieme a M) restituirebbe l’archetipo.
Appare evidente che non si può ricostruire alcun archetipo basandosi solamente su quattro manoscritti, all’interno di una tradizione che ne comprende oltre 240, di cui almeno 20 fondamentali. Questo modo di procedere, tuttavia, ha provocato conseguenze a cascata: secondo Shanzer 1986 a, p. 63, a dimostrare che l’intera tradizione deriva da un solo capostipite sarebbero le lacune a V 522 e VIII 887 attestate nei codici ‘poziori’, ma è sufficiente osservare altri codici per trovare i passi correttamente registrati, a torto ritenuti restauri altomedievali107. Tali lacune riguardano i soli ABDR, che andranno pertanto riuniti in
una famiglia all’interno di uno stemma comprendente anche altri rami (grazie ai quali si può ricostruire il testo di V 522 e VIII 887). Rimane comunque vero che tutta la tradizione marzianea deriva da un solo esemplare tardoantico: in questa sede basti citare la lacuna − questa sì presente in tutti i codici a noi noti− di IX 994-995 ex trochaei positione et <. . .> dicio numeri.
I codici privi della lacuna a V 522 e VIII 887 sono quelli che Willis definisce interpolati, ritenen- doli derivati da un lavoro di emendazione compiuto sul gruppo ABDR, ma Shanzer 1986 A, p. 73 rileva che il testo ‘interpolato’ è attestato a partire da manoscritti precedenti rispetto ad A, B e D. Di qui la proposta della studiosa: i cosiddetti interpolati discenderebbero da un secondo stadio dell’archetipo, sottoposto a un massiccio intervento di restauro dotto (Ω2), a differenza dei codici ABDR derivati diret-
tamente dall’archetipo ‘puro’ (Ω1); le buone correzioni di Ω2 potrebbero essere frutto di collazione con
un altro manoscritto, indipendente da tutti gli altri. Su queste basi la Shanzer fornisce uno stemma co- dicum (p. 77) comprendente tredici manoscritti (i sei ‘fondamentali’ più sette ‘utili’ del canone Préaux):
105 Cf. Cristante 2018, pp. 176-177. 106 Recensione in Cristante 1986.
Non meno problematica risulta la fisionomia e la collocazione spazio-temporale dell’archetipo. Préaux 1978, p. 81 afferma che R «évoque, à maints égards, un codex en capitales rustiques du début du VIe siecle, du genre de Mediceus» e presenta «caractéristiques d’une transcription, vraisemblablement exécutée sous Louis le Pieux, d’un modèle en scriptio continua, dans un scriptorium important». La tesi di Préaux si basa sul fatto che R presenta effettivamente una scrittura capitale per tutte le parti in versi del prosimetro marzianeo (caratteristica che in T è limitata unicamente al prologo in versi, mentre in B ai soli versi 1-4 del prologo stesso), ma ciò potrebbe essere una semplice soluzione ‘editoriale’, di mise en page, compiuta dal copista. Diversa l’ipotesi di Willis 1983, p. VII:
Ex ortographia quoque conicere licet Merovingica aetate potius quam mediante sexto saeculo archetypon fuisse conscriptum, nam sescentis locis invenimus e et i, o et u, b et v confusa, item e litteram quam protheticam dicunt, ut estadiis pro stadiis, escribitur pro scribitur, item i littera aphaeresin ut Spania pro Hispania, strumentum pro eo quod est instrumentum, etc. Non id quidem affirmare velim, aetatis Merovingicae vel Latinitatis Gallicae propria haec fuisse, quae sciantur per omnes fere imperii Romani regiones inde a quarto saeculo passim reperiri; sed vix crediderim aut ipsum Martianum aut Securum illum Meliorem sic scripsisse. Questa proposta è arbitrariamente rielaborata in Shanzer 1986 a, p. 63: «as far as we can tell, this ma- nuscript was written throughout in Merovingian scriptio continua»; la «Merovingica aetate» di Willis (confermata a p. IX: «septimo fortasse saeculo exarato») è diventata ‘scrittura merovingica’ 108.
Più prudente lo stemma codicum «hypothétique» di Guillaumin Jr. 2011, p. CXV, orientato so- prattutto a mostrare la complessità della contaminazione, le cui tappe sono ritenute impossibili da indi- viduare (p. CXI). L’etichetta Ω2 è conservata solo per comodità: più che di esemplare unico, capostipite di
una famiglia omogenea di interpolati, si dovrà pensare a una serie di correzioni apportate nel corso del IX secolo (pp. CXI-CXII), «un travail plus diffus des érudits carolingiens, prenant la forme également de corrections et de variantes interlinéares indiquées de seconde main sur les témoins issus de Ω1» (pp.
CXIII-CXIV).
108 In Shanzer 1986 b, p. 293 la scrittura diventa «some sort of pre-Carolin minuscule».
A = Londinensis, Harleianus 2685 B = Bambergensis, Class. 39 D = Parisinus, BnF lat. 8670 H = Vaticanus, Reg. lat. 1987 R = Carolsruhensis, Augiensis LXXII T = Vaticanus, Reg. lat. 1535 W = Parisinus, BnF lat. 13026
ω1 = consensus primae manus horum codicum, id est lectio quae archetypo proxima videtur ω2 = consensus emendatorum saeculi noni
C = Parisinus, BnF lat. 8669 E = Vesontinus, bibl. num. 594 G = Bruxellensis, B.R. 9565-9566 Gd = Fragmentum Dusseldorpiense K06:014 K = Coloniensis, Dombibl. 193 M = Parisinus, BnF lat. 8671 L = Leidensis, B.P.L. 87 N = Leidensis, B.P.L. 88 Q = Parisinus, BnF lat. 7200 δ = consensus codicum Q, C, et E Notae
Chevalier 2014, p. LIII sottolinea che lo stemma ipotetico di Guillaumin, utile nell’illustrare la com- plessità della contaminazione, rimane comunque l’esito di «impressions de lecture, car aucune généalo- gie assurée n’est possible». Anch’egli, tuttavia, non rinuncia a fornire una classificazione dei manoscritti marzianei (pp. LI-LXXXIV):
1. gruppo RAH, più W che non rientra nel ‘canone Préaux’109: testimonierebbe lo stato più antico del testo marzianeo;
2. gruppo DBT: sarebbe testimone di un primo stadio di correzione; 3. gruppo VCEF: rifletterebbe un secondo livello di emendazione;
4. a) sottogruppo MK: deriverebbe da un antigrafo corretto della prima famiglia110; b) sottogruppo LN
c) sottogruppo GOIZ d) sottogruppo JSXY
La divisione di Chevalier non prefigura un’idea stemmatica rigida, ma il ridimensionamento di B non sembra giustificato (per il VI libro sembra anzi il testimone migliore, almeno nella trasmissione dei dise- gni: vd. infra, V.3.4. e Tav. 16) né è conveniente stabilire classifiche se lo stesso R, da sempre ritenuto il codice migliore, riporta tanti e tali errori da suggerire l’opportunità di una nuova recensio della tradizione. Una strada differente è stata battuta da Sinead O’Sullivan, che ha lavorato solamente sui codici testimoni delle glosse OGT (vd. supra, III.1), sia interni sia esterni al ‘canone Préaux’: una tradizione pa- rallela alle Nuptiae, con una propria contaminazione, pari (se non superiore) a quella del vero e proprio testo marzianeo, al punto da rendere impossibile stabilirne l’Urtext. In O’Sullivan 2010, p. CXXX111
viene comunque presentato uno stemma codicum del corpus OGT:
109 Si tratta del Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 13026, che riporta solo le sezioni poetiche delle Nuptiae. 110 Cristante 2018, p. 177: «in questo gruppo andrebbe annoverato anche il Petropol. Class. lat. F V.10». 111 Ristampato in Teuween – O’Sullivan 2011, p. 55.
Il prezioso lavoro della O’Sullivan ha il grande merito di mettere ordine nella tradizione del cor- pus OGT, ma naturalmente non è in grado di fornire indicazioni più sicure relativamente al vero e proprio testo delle Nuptiae (né è suo compito, essendo una edizione di glosse). Emerge comunque la dimostrazione definitiva di un dato fondamentale: non è affatto vero che i manoscritti glossati siano necessariamente successivi o deteriori rispetto a quelli non glossati (come R, che potrebbe essere, allo stato delle nostre conoscenze, sopravvalutato). Prova ne è la presenza delle glosse OGT in quattro dei sei codici ‘fondamentali’ di Préaux:
• Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Regin. lat. 1987 • Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Regin. lat. 1535 • Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 8670