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Il romanzo giudiziario dell’Italia postunitaria

Capitolo 1 Il romanzo giudiziario e la critica: ogg

1.3 Il romanzo giudiziario come preistoria del giallo (italiano)

L’analisi della studiosa si apre infatti sollevando almeno qualche dubbio in merito a quei tentativi «di individuare nel Cappello del prete uno dei primi gialli italiani, se non il primissimo esempio di un filone e di una tradizione che si vuole oggi ricostruire, o forse, secondo il più tipico degli atteggiamenti, inventare»85.

Il riferimento è al lavoro di Luca Crovi, Tutti i colori del giallo. Il giallo italiano da De

marchi a Scerbarenco a Camilleri86. Lo stesso autore, per contro, provvederà in altra sede a retrodatare ulteriormente le origini del genere individuando nel «birro» Lucertolo,

84 Ivi, pp. 152-153. 85 Ivi, p.125.

86 Luca Crovi, Tutti i colori del giallo. Il giallo italiano da De Marchi a Scerbarenco a Camilleri, Venezia, Marsilio, 2002.

protagonista dei libri di Giulio Piccini “Jarro”, il nuovo padre fondatore: anzi, in ossequio all’atmosfera positivista ed evoluzionista del tempo, si sceglie di definirlo «l’anello mancante» tra la narrativa appendicistica in senso lato e il romanzo poliziesco vero e proprio87. A darne notizia e a corroborare tale linea interpretativa è Maurizio Pistelli, che nella sua Storia del poliziesco italiano (1860-1960), a fronte di una ricerca documentaria e bibliografica condotta con grande precisione, sostiene addirittura l’esistenza di un intero

Secolo in giallo:

Considerando che i suoi detective novels precedono cronologicamente non solo Il cappello

del prete di De Marchi, ma addirittura quelli dello stesso Conan Doyle, ci sembra

convincente la riflessione di Luca Crovi, il quale individua proprio nella serie di libri con protagonista Lucertolo l’«anello mancante» di collegamento tra il romanzo d’appendice a trama gialla e la narrativa poliziesca italiana88.

Quanto alla pura «italianità» di questo «anello mancante» non dovrebbero esservi dubbi, stanti queste dichiarazioni dello stesso autore:

Io fui il solo, alcuni han detto, l’unico, a cercar di dare tra noi il Romanzo giudiziario, con un’impronta tutta italiana: senza andar nulla a pescare negli stranieri. Cercai, prima di tutto, addestrarmi a saper maneggiare lo strumento, che m’era più necessario: il raro e prezioso strumento della nostra lingua: e fui in ciò molto scrupoloso. Poi studiai, per anni, gli ordinamenti della polizia toscana, modella a tutte le altre, e sulla quale si foggiò […] la stessa polizia inglese; mi appassionai del soggetto, per alcuni mesi seguii in persona certe operazioni della polizia criminale, assistei agli interrogatorii di delinquenti, appena arrestati, mi fu permesso di rivolger loro alcune domande che mi parevano abilissime: durante un certo tempo mi son creduto un Vidoq, un uomo dei più destri in tal materia; mi sembrava che, al posto di tutti i questori del regno, in certi frangenti io avrei operato meglio, con più intelligenza. Mi direte che non sarebbe stato difficile… […] Quindi mi studiai di innestare al romanzo giudiziario, che mi pare troppo fosco, se dev’essere tutto di un pezzo, il romanzo d’amore, e contemperarvi un po’ di umorismo, e dargli sempre, nella lingua, nello stile, uno schietto sapore di italianità89.

87 Luca Crovi, L’anello mancante, in Jarro [Giulio Piccini], I ladri di cadaveri (1884), Reggio Emilia, Aliberti, 2004.

88 Maurizio Pistelli, Un secolo in giallo. Storia del poliziesco italiano (1860-1960), cit., p. 33. 89 Jarro [Giulio Piccini], Prefazione, in Id. L’istrione, cit. pp. X-XI.

Pistelli suddivide il secolo di storia del poliziesco italiano in tre sezioni. La prima è, per l’appunto, una sezione preistorica durata ben sette decenni, che testimonierebbe una lunga gestazione del genere nel periodo compreso tra il 1860 e il 1929. A questa segue «il periodo d’oro», che coincide con la comparsa della celebre collana edita da Mondadori e che segna il punto più alto raggiunto dalla narrativa poliziesca. Un periodo piuttosto breve, tuttavia: appena dieci anni più tardi, questo genere letterario doveva già registrare l’inizio della sua «parabola discendente», ossia della terza ed ultima sezione inauguratasi attorno al 1940 col «primo Scerbanenco» e che proseguirà sino al 196090.

All’interno della «preistoria» del giallo disegnata da Pistelli trovano spazio autori e testi molto diversi tra loro. Ripercorrendo a ritroso il filo rosso che li terrebbe uniti, quindi muovendosi all’indietro nell’asse cronologico a partire dalla comparsa dei gialli Mondadori e verso le origini del genere, incontriamo autori come Salvatore Farina, Federico De Roberto e Vittorio Imbriani; possiamo inoltre attraversare tanto Il cappello del prete di De Marchi quanto Il processo di Frine di Scarfoglio, per ridiscendere ben oltre Jarro, fino a raggiungere – scavalcando addirittura Gaboriau – il Francesco Mastriani autore dei Misteri e de Il mio

cadavere (1853). Tale linea interpretativa sembrerebbe condivisa e anzi affermata di recente

con ancora più forza da Luca Crovi, che individua proprio ne Il mio cadavere di Mastriani la «paternità del primo giallo italiano», appoggiando l’iniziativa del responsabile della nuova collana Gialli Rusconi, il noirista Divier Nelli, che ha deciso di ripubblicare il testo di Mastriani91, cogliendo l’occasione per «dargli una bella sistemata lessicale e grammaticale, riscrivendo alcune parti che forse sarebbero risultate ostiche ai più»92. Operazione che – tanto

90 Tuttavia, se osservata da un’altra prospettiva, l’involuzione di questa parabola appare assai meno netta e più problematica. Infatti, come ha osservato Laurent Lombard, è possibile rilevare una «frattura tra una letteratura dell’omicidio prima e dopo gli anni ’60 ’70. Il romanzo poliziesco si smarca lentamente […] dall’ottimismo della Chiesa cattolica alla Scerbanenco per sprofondare in un tragico greco alla Carlotto: nessuna salvezza, nessun paradiso, nessun perdono (è addirittura questa la molla dei racconti dello scrittore padovano), come un rituale della disperazione. È segnatamente in questa forma di letteratura dell’omicidio che si legge meglio oggi quanto esso sia un movimento della complessità, delle modernità, come hanno ben interiorizzato scrittori quali A. Fogazzaro, E. De Marchi, L. Pirandello, C. E. Gadda, L. Sciascia…», Laurent Lombard, I segreti

dell’omicidio: una improbabile ricerca di architettura delle modernità…, in «Sinestesie», a. X, 2012, p. 127.

91 Francesco Mastriani, Il mio cadavere, Divier Nelli (riscritto da), Sant’Arcangelo di Romagna, Rusconi 2010. 92 Luca Crovi, Il mio cadavere di Francesco Mastriani, in http://giallo.blog.rai.it/2011/01/11/il-mio-cadavere-di- francesco-mastriani/.

per restare sullo stretto rapporto tra narrativa e giornalismo in questo genere narrativo – sembra essere piuttosto apprezzata sulle colonne dei quotidiani (online) che in qualche caso hanno salutato questa riscrittura definendola:

“una sorta di lifting o di restauro” della lingua originale. In un certo senso, [Divier Nelli] è tornato su un problema sul quale si era arrovellato lo stesso Mastriani, spesso incerto, nella sua fluviale attività di giornalista, romanziere, autore di teatro. Se accogliere le contaminazioni dialettali e riprodurre il parlato, oppure se attenersi all’italiano letterario, adoperando, per creare vivacità, qualche termine straniero93.

Quanto alla nascita del poliziesco in Italia, vi sono altri contributi meno recenti, ma che forse è il caso di richiamare alla memoria: non solo perché più cauti sull’effettiva esistenza di una «preistoria» del giallo94, ma anche perché molto utili dal punto di vista metodologico, nella misura in cui evitano (oltre a un certo «sciovinismo letterario») il rischio di proiettare le opere in questione esclusivamente sullo sfondo di ciò che verrà, cogliendole invece in tutta la complessità del periodo in cui sono sorte.

1.3.1 Una convivenza problematica

Un grande studioso come Giuseppe Petronio, che tanto si è speso negli anni per affermare il valore del romanzo poliziesco e in generale per combattere quella sorta di embargo col quale (allora più di oggi) si impediva l’attracco della letteratura cosiddetta “di consumo” nel porto franco della critica accademica, compiva le sue ricerche nel vasto mare della produzione narrativa postunitaria, basandosi su mappe ben più complesse, nelle quali non sembrava possibile tracciare una rotta lineare, che conducesse all’origine del romanzo poliziesco.

93 Apollonia Striano, Torna il giallo di Mastriani, in http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/ 2011/02/08/torna-il-giallo-di-mastriani.html.

94 Loris Rambelli, Il presunto giallo italiano: dalla preistoria alla storia, in «Problemi», 86, settembre-dicembre 1989, pp. 233-256.

In Italia, per quel che ne sappiamo (ma ne sappiamo così poco) «gialli» veri e propri non se ne scrivono; si scrivono però dei romanzi che al giallo somigliano, e soprattutto dei romanzi che, in Francia e in Italia, chiamarono «giudiziari». Un modulo […] che aveva preso le mosse da Poe, si era fatto le ossa con Zola (Thérèse Raquin) e con Dostoevskij (Delitto e castigo) aveva prodotto anche un bel libro italiano (Il cappello del prete di Emilio De Marchi), si apparentava con un filone poliziesco francese, quello, allora famosissimo, di Emile Gaboriau. E su questo modulo il Farina scrisse Il segreto del nevaio […]. Ma intanto, anche i gialli veri e propri, in Italia si traducevano e si vendevano. Le prime ricerche ci stanno svelando, sotto la crosta della letteratura ufficiale, tutta un’altra letteratura, e ci dicono che le letture degli italiani erano assai più varie di quanto non pensino i critici. Oltretutto, questi libri […] li leggevano insomma quelli che leggevano i libri di cui parlano le storie letterarie, quelle storie che secondo uno studioso americano […] dovrebbero filtrare la «letteratura» dalla «non letteratura»: dalla «paraletteratura» o come altro la chiamano95.

A partire dalla grande diffusione di questa produzione, dalla sua rilevanza non solo in termini di formazione dell’opinione pubblica, ma anche in quelli più specifici della cultura letteraria, lo studioso dichiara l’importanza di esplorare il territorio (allora poco conosciuto) della letteratura poliziesca, quindi di «fare la storia» del genere, assumendo tutte le accortezze e le cautele necessarie in ogni percorso di ricerca storica.

Bisogna dunque fare la storia del giallo […] seguendo il processo complessivo del “genere”, e dunque sostituendo a quel modello unico, e perciò astorico, un certo numero di modelli succedutisi nel tempo; a far vedere come questi diversi modelli (questi modi diversi di concepire e raccontare una storia poliziesca) si siano susseguiti non a caso, per volontà o per capriccio di questo o quello scrittore, ma in sintonia col processo evolutivo di tutte le altre forme letterarie di questo secolo e mezzo: di tutto il processo della nostra storia e cultura96.

Certo, anche per Petronio, la direzione cui questo percorso dovrà tendere è chiara, ed è quella designata dal genere poliziesco vero e proprio, inteso come obiettivo da raggiungere. Anche per questo motivo che egli inquadra «il processo della nostra storia e cultura» nei termini del paradigma «evolutivo». Ciò nonostante la sua ricerca non evita di affrontare le difficoltà e le

95 Giuseppe Petronio, Il punto sul romanzo poliziesco, Bari, Laterza, 1985, p. 8. 96 Ivi, p. 26.

contraddizioni che caratterizzano questo percorso: ad esempio, analizzando il Segreto del

nevaio lo studioso non si limita a ricondurre il romanzo di Farina all’interno di una semplice

fase proto-poliziesca, ma tenta di cogliere – come recita il titolo del suo intervento – Quel

pasticciaccio brutto del romanzo poliziesco in tutte le sue intricate problematiche.

Nella prefazione al romanzo il Farina delinea i caratteri e il pedigree di un sottogenere, il «romanzo giudiziario» […]. Una prefazione che pone mille problemi. Il «romanzo giudiziario» non è proprio «poliziesco» ma si impernia anch’esso su un delitto e sul processo relativo, suggerisce soluzioni intricate ed effimere, può offrire, come quello del Farina, un mistero che alla fine viene sciolto. Ma allora, quali rapporti sono tra questo romanzo giudiziario e quello veramente poliziesco?97

In altra sede, sempre rispondendo a questa domanda, Petronio illustra le varie stratificazioni con cui si è storicamente sedimentata la letteratura di ambito – per così dire – genericamente criminale, conferendo al filone giudiziario e processuale uno spazio suo proprio, provvisto di una certa autonomia rispetto agli strati limitrofi:

Ed ecco allora che la narrativa criminale, e quella che chiamarono “giudiziaria”, quella “poliziesca” (gialla) nascono contemporaneamente. E l’una narra del delinquente e lo mitizza, ne fa un eroe tra superuomo e dandy (Fantomas, Arsenio Lupin); l’altra inventa storie di casi giudiziari, sfruttando l’attrattiva morbosa che allora esercitava il processo: il poeta Carducci se ne irritava e la sferzava moralisticamente (A proposito del processo

Fadda), il sociologo Scipio Sighele scriveva tutto un capitolo sulla “letteratura dei

processi”, cioè sul risalto dato ai giornali a certi processi. La terza mette al centro del racconto l’indagine: un poliziotto superdotato – tra superuomo e dandy anche lui – che da sparsi indizi, inesistenti per gli altri, risale, con processi logici e analisi proprie della “scienza”, alla scoperta del delinquente, e lo denunzia e arresta, e risarcisce il tessuto sociale lacerato98.

Ma sul pasticciaccio che riguarderebbe nello specifico la produzione narrativa italiana, aggiunge a quanto appena riportato un ulteriore elemento.

97 Giuseppe Petronio, Quel pasticciaccio brutto del romanzo poliziesco, in I canoni letterari. Storia e dinamica, Trieste, Edizioni L.I.N.T., 1981, pp. 22.

I fatti dunque, i documenti da interpretare, sono questi. Comincia, nella seconda metà dell’Ottocento, un filone (o uno strato) di narrativa con varietà diverse: il «poliziesco vero e proprio», se è lecito dir così, il «giudiziario», il «poliziesco avventuroso» (lo chiamo così non sapendo come altro dire: quello del duello tra bandito e poliziotto: Fantomas, Arsenio Lupin). […] Questi filoni o strati ebbero fuori d’Italia una loro storia […] In Italia invece il filone o non arriva mai (cioè arriva come un fatto di lettura, non di produzione e di critica) o si blocca. Ricomincia (o comincia) come fatto di produzione e di attenta critica con «I Gialli Mondadori» nei primi anni Trenta. E da allora ha inizio una sua storia99.

Certo, fino ai primi anni Trenta (almeno) si sentirà la mancanza di un’«attenta critica»: e infatti nel prossimo capitolo valuteremo se, quanto e quali studiosi nel passaggio di secolo si siano interessati a questi filoni narrativi in Italia. Tuttavia, i riferimenti sin qui ricostruiti nel nostro percorso – così come il contrariato intervento di poeti e sociologi, riportato dallo stesso Petronio – non sembrerebbero darci l’idea di un contesto bloccato. Tutto sta, ovviamente, nel punto di osservazione in cui ci si situa. Per Petronio, almeno da un certo momento in avanti, e precisamente da quando comincia la pubblicazione della collana Mondadori, il poliziesco italiano inizia a percorrere una direzione ben precisa e lineare, riconnettendosi alle rotte già tracciate dalle letterature poliziesche degli altri paesi.

In principio è il romanzo poliziesco positivista. Scientista, convinto dell’oggettività del reale (quale che sia: fisico, psicologico, sociale); fiducioso che non vi sono misteri che non si possano sciogliere con l’intelligenza e la tecnica; persuaso che il male esiste, ma che le forze del bene, cioè la società costituita, lo possono vincere.

[…] Un romanzo che in modi immaginifici (artistici) divulga l’ideologia scientista del tempo, sostituendo al mistero del romanzo gotico e ai misteri degli inferni delle grandi città (i Misteri di Parigi, padri di infiniti altri «misteri») gli enigmi di un delitto che vuole restare nascosto ma che può essere svelato da una intelligenza educata all’esercizio della ragione100.

99 Giuseppe Petronio, Quel pasticciaccio brutto del romanzo poliziesco, cit. p. 27. 100 Ivi, p. 99.