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Il romanzo giudiziario dell’Italia postunitaria

Capitolo 2. Il romanzo giudiziario visto dai criminologi: fin de siècle

2.5 Il romanzo giudiziario secondo Alfredo Niceforo

Secondo queste stesse linee di ricerca, ponendo cioè la massima attenzione alla formazione dell’opinione pubblica, all’integrità del «senso morale» e ai meccanismi di produzione e sviluppo delle narrazioni del crimine e della giustizia, un altro allievo di Enrico Ferri si interessò al romanzo giudiziario, tentando, ancor più dei colleghi già citati, di evidenziarne il carattere politico: cioè sottolineando come questo genere narrativo dovesse essere letto, criticato (e pure esplicitamente osteggiato, almeno in alcuni casi) secondo una prospettiva di classe (che nel corso della sua carriera, come vedremo, arrivò sempre più a coincidere con una prospettiva di «razza»). Si tratta infatti di Alfredo Niceforo, il sociologo e criminologo italiano che in maggior misura si occupò di romanzo giudiziario, lavorando a più riprese verso una vera e propria canonizzazione del genere; e si tratta, allo stesso tempo, della «piccola vedetta delle teorie positiviste sulla razza»209, ossia del noto teorico dell’inferiorità della «razza» meridionale, autore della celebre210, contro la quale si scagliò la polemica di Napoleone Colajanni211.

I suoi studi sul romanzo giudiziario risultano particolarmente utili alla nostra ricerca, soprattutto per due motivi: in primo luogo, perché ci forniscono ulteriori dati in merito agli elementi fondamentali del dibattito critico sul genere giudiziario nel primo Novecento (centralità della détection o del personaggio; presenza della fase dibattimentale o dell’inchiesta; centralità della figura del delinquente o del poliziotto, ecc…); in secondo luogo perché, nelle analisi di Niceforo, la riflessione su tali elementi risulta ormai indissolubilmente legata alla riflessione politica.

209 Vito Teti, La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma, Manifestolibri, 1993, p. 113. 210 Alfredo Niceforo, La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale, Palermo, Sandron, 1897; Id.

L’Italia barbara contemporanea, Palermo, Sandron, 1898; Id. Italiani del Nord e Italiani del Sud, Torino,

Bocca, 1901.

2.5.1 Un immenso intertesto non solo letterario

La prima occasione in cui Niceforo sviluppa la sua analisi sul romanzo giudiziario è all’interno del volume Parigi, una città rinnovata, in cui lo scienziato analizza i cambiamenti in atto nella capitale francese, rivolgendo una particolare attenzione agli aspetti sociologici della produzione culturale: il fatto che la sua analisi sul romanzo giudiziario (alla prima occasione; che è anche la più corposa) sia inserita in un libro come questo, e soprattutto in un capitolo come questo – dall’eloquente titolo: Le Immagini, le Gazzette, il Libro – è già una conferma di quella “intertestualità” delle scritture sul crimine sottolineata da Kalifa e posta alla base della sua ridefinizione della «littérature criminelle».

Le nuove forme del giornalismo quotidiano. Le immagini per la folla.

Tra le vivaci trasformazioni della vita parigina una delle più sorprendenti è quella che ha rinnovato la vita del quotidiano. Da quattro pagine a sei, da sei a dodici, dal disegno e dalla macchietta – isolata in questa o quella colonna della gazzetta – tutta una valanga di illustrazioni e di fotografie che gridano e che urlano, da ogni colonna, la più inattesa attualità.

Hanno trovato, ad esempio, frugando la valigia di un incolpato assassino, una chiave misteriosa. Subito, lampeggia un dubbio: la chiave misteriosa aprirà la porta, bianca e verde, tutta chiazzata di sangue, del piccolo giardino, ove il delitto fu commesso? E poiché il pubblico dimentica, anche le più affannose questioni della vita nazionale, per quella breve chiave, esile e arrugginita, e per quella porticina bianca e verde, striata da gocciolature sanguigne, il grande giornale, il giornale del boulevard, illustrerà la preoccupazione del momento collocando in prima pagina la riproduzione fotografica della posta serrata e intorno alla serratura disegnerà, maestoso e nero, un colossale punto interrogativo. La chiave misteriosa – si legge sotto tale composizione iconografica – aprirà la posta insanguinata?

[…] Così l’«iconografia giornalistica» – questo nuovissimo portato del giornalismo parigino – offre ogni dì il meraviglioso e il sorprendente nell’illustrazione del giornale, e lo da in pasto alla folla. Dispacci, fotogrammi, notizie in tre righe, interviste, lotterie, sorprese, tutto ciò non basta. Occorre l’illustrazione. E non l’illustrazione banale, la fotografia istantanea; ma l’illustrazione composta, combinata, preparata, truccata, in vista d’un effetto sorprendente212.

Sin da questo incipit è il caso di compiere qualche annotazione, per evidenziare alcuni elementi innovativi rispetto alle altre analisi precedentemente osservate. Nel 1911, uno scienziato positivista che intende studiare il romanzo giudiziario – precisamente, colui che lo farà più di ogni altro suo collega – colloca questo suo studio all’interno di un libro che, complessivamente, analizza i più recenti cambiamenti socioculturali di una città. Anzi, di una metropoli. Dal che si potrebbe cavare l’indicazione che il genere giudiziario è ormai percepito come parte integrante del tessuto metropolitano, cui risulta legato a doppio filo, tanto che al nostro scienziato è parso impossibile – o almeno sconsigliabile – osservarlo autonomamente da tale contesto. Inoltre, questo studio sul romanzo giudiziario trova la sua sede specifica all’interno di un capitolo che prende avvio dall’analisi della fotografia giornalistica. Insomma, sempre nel 1911, si può parlare del romanzo giudiziario contemporaneo e farlo iniziando non dalla scrittura, ma dall’immagine: cioè analizzando la composizione narrativa delle illustrazioni e delle fotografie «giudiziarie». Il che costituisce certamente un dato significativo sia dei mutamenti della produzione culturale all’interno della società di massa, sia della percezione sociale di quegli stessi mutamenti.

In particolare, l’impostazione dello studio in oggetto testimonia senz’altro la spiccata sensibilità nel cogliere i mutamenti socioculturali che ha caratterizzato la carriera del Niceforo, non meno di quanto, in generale, avesse caratterizzato i suoi predecessori. Tuttavia, proprio come per i suoi maestri, anche nell’allievo questa sensibilità nel cogliere tali mutamenti non corrisponde – nell’ambito giudiziario – ad una pacifica accettazione degli stessi: non per incapacità quanto, come già si è ipotizzato, per una precisa strategia politico- culturale. Il modo con cui Niceforo interpreta il diffondersi dell’illustrazione fotografica «composta» e «truccata» è di fatto ancora riconducibile a quella linea tracciata da Lombroso, che individuava l’origine della narrativa criminale nei canzonieri e negli almanacchi popolari illustrati; e che legava questa tipologia di narrazioni (le più rozze come le più letterarie) ad un segmento ben preciso della composizione sociale, fondando tale corrispondenza su basi antropologiche.

Dalle vecchie «stampe» popolari alla «iconografia giornalistica» moderna.

[...] Che cos’è, in generale, l’iconografia popolare? L’iconografia popolare è l’immagine del popolo, fatta dal popolo o per il popolo, e nella quale il popolo scrive la storia delle sue impressioni, delle sue aspirazioni, dei suoi delitti. [...] Ogni contadino, sino a ieri, ornava le pareti del suo tugurio con simili stampe ricche di colori e di disegni; e ancor oggi, anzi, in qualche contrada della Francia nera, della Francia, cioè, meno moderna e dove

sporadicamente ancora si abbarbica l’analfabetismo, il contadino attacca accanto al letto la stampa di Epinal rappresentante le gesta di Giovanna d’Arco, l’eroina consunta dal rogo corrusco, o di Napoleone il Grande, vittorioso e devastatore, o quella (ironia ineffabile del riavvicinamento tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande) o quella, dico, che espone tutta la cinematografia della vita di Félix Faure[213].

Oggi invece – sotto l’atmosfera della moderna civiltà a pressione sempre più crescente – la «stampa» popolare tende, se non a scomparire, a diminuire di frequenza ed efficacia. [...] Il popolo che ha imparato a leggere – ma che ancora conserva nel cuore il licore aspro della ingenuità rozza e primitiva, quasi diamante non ancora divelto dalla ganga che lo avviluppa – abbandona la vecchia stampa colorata per la gazzetta; e la gazzetta, d’altro canto, per acquistare e conservare quel pubblico [...] introduce nella composizione e nella tecnica delle sue pagine quelle immagini che, sotto l’abito esterno della modernità, conservino tuttavia quel sapore acre di primitività, quel fascino di meraviglioso, quella suggestione sorprendente che tanto innamorano le primitive anime delle folle or ora venute alla civiltà moderna...

[...] L’iconografia giornalistica, d’altra parte, forma un blocco, da cui è impossibile svellere soltanto ciò che è tumore e lasciar viva e fiorente la parte sana. Ieri l’iconografia popolare non avrebbe mai potuto offrire agli occhi delle folle semicolte i disegni scientifici che oggi, istruendo ed educando, offre l’iconografia giornalistica – nuova forma, e più evoluta, dell’antica iconografia popolare. Il giornale, dunque, può diventare un agente di diffusione di alcuni veleni, ma è e rimane, soprattutto, portatore e araldo di civiltà, di pensiero, di coltura214.

Analizzate le prerogative delle narrazioni, per così dire, iconografico-giudiziarie, Niceforo passa ora ad affrontare questa narrativa nel suo corpus più letterario – o “subletterario”. Evidentemente l’analisi del Niceforo è condotta su materiali francesi; ma è scritta, al contrario di altre sue precedenti, in lingua italiana, quindi rivolta, con altrettanta evidenza, all’attenzione del pubblico italiano, e pensata perché agisse nel contesto culturale della penisola. In questo senso, si tratta della testimonianza più importante – almeno tra quelle che qui si è stati in grado di rintracciare – del successo e della grande diffusione del romanzo

213 Presidente della repubblica Francese dal 1895 al 1899: a lui rivolse Zola il suo J’accuse...!. Paolo Valera si occupò l’anno successivo delle circostanze che portarono alla morte del presidente francese e del ruolo in esse ricoperto dall’amante Marguerite Steinheil, a causa della quale, secondo la celebre espressione di George Clemenceau, il presidente, “che voleva impersonare Cesare”, era invece “morto da Pompeo”. Sulla vicenda, Valera scrisse due romanzi giudiziari: Il processo celebre: Madama Steinheil alla Corte d’Assise della Senna, Milano, Floritta, 1910; e La donna più tragica della vita mondana: romanzo ambientale, Milano, La Folla, 1923. 214 Alfredo Niceforo, Parigi, una città rinnovata, cit. pp. 222-229.

giudiziario, apertamente riconosciuto come genere letterario. Ciò non significa che il nostro criminologo volesse concedergli la stessa dignità riconosciuta agli altri generi, cosa che ovviamente non fece: non perché lo considerasse inferiore in quanto genere – cioè meno compatto, definito o riconoscibile rispetto ad altri generi letterari – bensì inferiore, proprio in quanto letteratura.

2.5.2 Il romanzo giudiziario come «subletteratura» delle «classi inferiori»

Quella cornice degradante con cui Niceforo aveva inquadrato l’iconografia giudiziaria, costantemente ricondotta ad uno stadio «primitivo» della civiltà, è ora riutilizzata per descrivere un corpus di testi letterari che ormai porta il segno della (bassa) metropoli finanche nel nome che lo definisce.

La subletteratura del boulevard: la letteratura rossa.

Questa letteratura quotidiana del boulevard, anche se macchiettata di stille di veleno e di sangue, è pur sempre una nobile letteratura in confronto alla sub-letteratura che fungheggia dappertutto venendo su dal sottosuolo del boulevard e della vita sociale parigina. Voglio parlare della letteratura rossa, la letteratura del sangue, del delitto e della lotta contro il delitto. È la letteratura del momento. Una tempesta rossa – il romanzo giudiziario – è piovuta tumultuosamente su di noi. Gli eroi antichi hanno vissuto. Sono scesi nella tomba, e vi riposano come antiche mummie coperte di bende e cosparse di profumi. Non vivono più. Sono diventati oggetto da musei. Uno solo, oggi, è l’eroe del romanzo, dell’appendice, della novella giudiziaria: il detective... o il malfattore. E la trama della letteratura popolare, oggi, è anche una sola: è fatta di delitto e di sangue. La matita e il colore, pazzamente, hanno illustrato con un mosaico di tinte disordinate e di cattivo gusto questa letteratura rossa di sangue. Ogni settimana, a Parigi, sono gettate sul mercato librario – mercato librario a prezzi infimi, per il popolo – dispense e puntate narranti, in pochi fogli, le più strane, le più deformi, le più orrende avventure che malata fantasia di romanziere alcoolico possa immaginare; - e tragiche figure di uomini assassinati, riversi a terra, o di donne dal capo reciso, accompagnano tali narrazioni215.

215 Ivi, pp. 229-230.

Una volta rilevate, la grande diffusione di questa letteratura e la centralità in essa della figura del delinquente, costituiscono per lo scienziato due elementi problematici e pericolosi, come pure si era visto nell’analisi della «letteratura dei processi» condotta da Sighele. Anche per Niceforo si tratta allora di individuare da dove provengano il «fascino» e il successo di queste narrazioni, perché il «male» di cui sono portatrici non si propaghi nella società – e quel che è peggio, tra le «classi superiori».

Perché trionfa la letteratura rossa?

Non è che letteratura di infimo ordine. Gli esempi dati dai creatori di questo genere, quali il Gaboriau e il Conan Doyle, sono, in se stessi, originali e interessanti; ma la rapida moltiplicazione delle imitazioni non costituisce che una contraffazione spregevole. Eppure è una contraffazione che ha trionfato. E che trionferà ancora per lungo tempo facendo ardere della più viva luce la fiamma di primitiva barbarie che arde – più o meno nascosta – nel cuore degli uomini appartenenti alle più basse stratificazioni sociali. La letteratura rossa, infatti, è oggi diventata la letteratura del popolo; tra il popolo ha solennemente trionfato. Quali ragioni complesse hanno permesso e decretato tale trionfo?

In primo luogo la psicologia stessa dell’anima popolare. [...] Scendete nel più profondo del cuore del basso popolo d’ogni grande nazione e d’ogni grande città delle nostre più moderne civiltà europee, e sotto la crosta delle diversità più o meno appariscenti troverete qualche cosa di identico: troverete quella certa fiamma nascosta di cui parlava Tommaso Carlyle, la fiamma nascosta della barbarie che brucia, eterna, sotto la scorza della civiltà. [...] Per l’appunto questa psicologia di primitivi propria al basso popolo, esige che il popolo abbia sempre avuto una letteratura da primitivi. [...] Letteratura d’ordine inferiore, che non può davvero soddisfare pienamente lo spirito di individui e di classi più moderne e più evolute; letteratura che è simbolo di una fiamma nascosta e primitiva – letteratura popolare che oggi, mutati i tempi e le forme della civiltà, ha per l’appunto preso come aspetto la forma della «letteratura rossa» - di quella letteratura rossa di cui vogliamo parlare.

[...] Ma ora il popolo sa leggere, e legge correntemente, ed anzi ama leggere; è necessario dunque che questo nuovo bisogno trovi soddisfazione [...]. Questa nuova letteratura scritta, destinata a soddisfare le esigenze del primitivo che ha imparato a leggere e che vuole leggere, e che sente l’irresistibile bisogno di ricrearsi con la lettura, è precisamente la letteratura rossa.

La quale, così, diventa un portato, quasi una necessità, un «precipitato» – direi quasi, della nostra civiltà, che avendo creato il bisogno della lettura nelle anime primitive, è costretta ugualmente a creare forme scritte di letteratura primitiva e barbara.

[...] Il popolo si è innamorato della letteratura rossa, e per contraccolpo anche le classi superiori hanno subito la suggestione. [...] Il trionfo della letteratura rossa trova, è vero,

cause di trionfo d’ordine generale in tutte le classi della società; ma cause specialissime e potentissime trovò nelle basse classi sociali216.

Si ricordi quanto aveva osservato Lombroso, sin dalla prima edizione dell’Uomo delinquente, in merito alla «letteratura criminale»: vengono alla mente, in particolare le sue affermazioni attorno ai ladri di un’altra metropoli, quella londinese, i quali credono con le loro azioni di «far male» alla società non più di un qualunque bancarottiere; poiché «la lettura continua dei processi criminali e dei giornali li persuade che v’hanno delle birbe anche nell'alta società» e li porta a confondere «la regola coll'eccezione»217. Tanto da queste dichiarazioni di Lombroso quanto dalle altre che si vanno ora osservando negli studi di Niceforo, appare evidente come i discorsi sul crimine e sulla giustizia, ancorché votati alla più pura e incontaminata scientificità, siano animati da una ben precisa idea di società, essendo quello politico niente meno che il campo della loro esistenza. Una teoria sul delinquente entra dunque in rapporto con un modello di stratificazione sociale, e può risultare funzionale al cambiamento oppure al mantenimento di quel modello. Anche la letteratura sul delinquente, nell’Europa del secondo Ottocento – sembra dirci Niceforo – costituisce una parte integrante e viva di quello stesso terreno.

La letteratura rossa, infatti, cominciò a trionfare in modo assoluto nelle classi inferiori, e fu ed è la letteratura del basso popolo; letteratura deforme, orrenda, terrificante. Ma di là, per suggestione, essa si impose – in forme più raffinate – alle classi medie e anche alle superiori, ed è oggi, così quasi diventata una malattia del secolo...

Ogni nuova forma di civiltà porta seco, insieme a fiori vividi di profumi, fiori le cui corolle ascondono il veleno. La civiltà moderna ci ha offerto, insieme a mille beneficî incommensurabili, molti e sottili veleni. La letteratura rossa è uno di questi veleni. È una delle scorie di questa ardente civiltà moderna che è fatta di bisogni intellettuali, di ricchezza, di lusso e d’amore.

Ma il filosofo sa rassegnarsi, ed accetta, insieme alla fiamma che illumina, le inutili ceneri, residuo del fuoco218.

216 Ivi, pp. 229-238.

217 Ivi, p. 161.

Dovrebbe ormai apparire chiaro con quanto interesse e con quale urgenza una nutrita schiera di studiosi si sia posta di fronte al romanzo giudiziario, tentando di coglierne le principali caratteristiche. Altrettanto visibile dovrebbe risultare il fatto che gli elementi fondamentali del genere, alcuni dei quali ancora oggi all’attenzione dei critici, come la centralità della trama o del personaggio; del poliziotto e/o del delinquente; del dibattimento o dell’istruttoria, ognuno di questi elementi fu osservato, percepito e discusso non come questione narratologica e non come oggetto da maneggiare nelle stanze igieniche e incontaminate della scienza. E non ci si appellò a quelle asettiche stanze, non tanto perché una vera e propria disciplina narratologica non era ancora nata, ma perché lo studio delle componenti della narrazione – almeno nel periodo postunitario, almeno da questi scienziati, e soprattutto nell’ambito del romanzo giudiziario – fu praticato in quanto e proprio perché tali componenti venivano percepite in tutta la loro forza politico-culturale.

In questo senso, il modo con cui Niceforo, da Parigi, osserva il romanzo giudiziario francese (per mostrarlo agli italiani), ci sembra funzionale a cristallizzare ulteriormente quel modello sociale (ri)prodotto nella prima pagina dei Mystères de Paris, con quella sorta di “esotismo quotidiano”, attraverso il quale si affermava la presenza di popolazioni selvagge nello stesso tempo vicine e lontane: così diverse come se fossero sempre vissute all’altro capo del mondo; così pericolose perché vivevano, invece, nel fondo delle nostre città. L’operazione di Niceforo si inserisce in questo processo di costruzione dell’alterità, quasi a completarne la definizione: nella sua descrizione, il «basso popolo» del «boulevard», «classe inferiore» e «primitiva», si configura come «popolo» in tutto e per tutto; in tutto (unito) e per tutto (diverso): nell’aspetto, nel corpo, nel sangue, negli usi, nella lingua, ed ora anche nella letteratura. Un popolo provvisto di una letteratura sua propria (rispondente a bisogni suoi propri) che, al pari del suo corpo e del suo sangue, rischia di essere veicolo di contagio verso l’altro popolo delle «classi medie e anche le superiori».

Da dove provengono questa letteratura e il suo fascino? Quali gli elementi, le cause scatenanti? Sighele, come si è visto, aveva dato una sua risposta, istituendo un rapporto tra lo svilupparsi della letteratura giudiziaria e le reali condizioni del sistema giudiziario di riferimento. Era cioè la macchina giudiziaria italiana, per come si configurava in quel determinato periodo, a creare le condizioni perché si sviluppasse una «letteratura dei processi» che presentava quelle precise caratteristiche. Certo questo rapporto andava poi a collegarsi ad altre questioni sociologiche più generali, cioè al fatto che nel pubblico dell’Italia postunitaria il «fascino del male» e del delitto si presentava con forme così acute e diffuse da testimoniare l’esistenza di una vera e propria «patologia sociale». Ma per Sighele, questa

condizione patologica non poteva dirsi che causa «secondaria» della diffusione della «letteratura dei processi», limitandosi insomma ad amplificare un fenomeno che comunque “sorgeva” da una causa più situata e specifica.

Nell’analisi di Niceforo, invece, la questione sociale subentra anch’essa tra le “sorgenti” primarie della letteratura giudiziaria: la sua interpretazione sembra comporsi in un insieme di relazioni allo stesso tempo più stringenti e più generali, in cui questione penale, questione sociale e questione culturale (soprattutto letteraria, in questo caso) arrivano a coincidere l’una