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Per una ridefinizione del romanzo giudiziario postunitario

3.1 Un’ossessione non solo lombrosiana

Pur se all’interno di alcune contraddizioni, sulle quali ci siamo ampiamente soffermati, la rassegna dei contributi della criminologia lombrosiana ci invita a rintracciare nella figura del delinquente l’elemento centrale e caratteristico sia della cultura letteraria sia della cultura giuridica dell’Italia postunitaria. Si tratterà ora di verificare la validità di questa indicazione su una serie di romanzi giudiziari, per capire se davvero il delinquente rappresenti il principale «protagonista» di questo genere narrativo.

Per un corretto inquadramento della questione, ci sembra necessario sottolineare sin dall’inizio due aspetti fondamentali. In primo luogo, la ridefinizione di questa figura e la sua centralità, per certi versi ossessiva, all’interno dell’opinione pubblica, non sono certo novità introdotte dall’antropologo veronese e dai suoi allievi. Neppure, tali novità sarebbero limitate al solo contesto italiano. Si tratta al contrario di un processo in buona parte precedente la comparsa della nuova scuola e che ha caratterizzato per intero il vecchio continente.

Nella seconda metà dell’Ottocento, oltre a quello del comunismo, un altro spettro si aggira per l’Europa: quello dei recidivi, «biechi militi dell’armée du crime», una moltitudine di incorreggibili delinquenti incalliti, sempre pronti, appena usciti di prigione, a commettere nuovi reati, in particolare contro la proprietà, una folla che turba i sonni di benpensanti, antropologi, giuristi e legislatori254.

Come si è ricordato nell’introduzione a questo lavoro, in età moderna il crimine non era percepito come un vero e proprio fenomeno collettivo, in grado di suscitare la preoccupazione

254 Mario Da Passano, Echi parlamentari di una polemica scientifica (e accademica), «Materiali per una storia della cultura giuridica», a. XXXII, 1 (giugno 2002).

e il coinvolgimento dei più diversi settori della società. Alle soglie del XIX secolo, invece, il sapere giuridico iniziò a dedicare sempre maggiore attenzione alla delinquenza recidiva, introducendo all’interno della pratica giudiziaria una serie di misure repressive precedentemente estranee al proprio ambito disciplinare.

All’origine di questa presa in carico da parte del sapere giuridico della figura del recidivo può essere individuata una sorta di reintegrazione delle pratiche poliziesche di selezione sociale nell’ambito della pratica giudiziaria. Quel settore della repressione penale, gestito dalle polizie, che in antico regime si era costituito […] al di fuori della giurisdizione venne, nel corso del XIX secolo, riassimilato al suo interno. Inizialmente in Francia, ma poi in tutta Europa, sulla base del modello napoleonico, polizia, giustizia e istituzioni penitenziarie furono saldamente agganciate le une alle altre255.

In sostanza, quello spostamento dell’attenzione dal reo al reato – che Ferri e i suoi allievi rivendicarono come innovazione fondamentale apportata dalla nuova scuola256 – fu tutt’altro che riconducibile ai soli positivisti. In qualche modo era dall’inizio del secolo che si andavano formalizzando una serie di provvedimenti e pratiche punitive che «sembravano ruotare, più che sul crimine, sulla persona del criminale»257.

Non a caso, appena la grande stagione dei codici prese avvio, il principio generale dell’astrattezza del soggetto giuridico che avrebbe dovuto abitarli venne stemperato da interventi normativi come quelli sulle circostanze attenuanti, sulla recidiva o sulla libertà condizionale i quali, nel loro complesso, sembravano prendere in considerazione, al di là degli atti, proprio chi li aveva commessi.

255 Paolo Marchetti, Le ‘sentinelle del male’. L’invenzione ottocentesca del criminale nemico della società tra

naturalismo giuridico e normativismo psichiatrico, cit. p. 1024.

256 Così, ad esempio, Alfredo Niceforo e Scipio Sighele in prefazione al loro volume su La mala vita a Roma, cit. pp. 7-8: «Discepoli di una scuola che ha posto per base d’ogni teoria sulla criminalità lo studio antropologico e psicologico dei delinquenti – innalzando la bandiera di rivolta contro il classicismo e lo spiritualismo che trascuravano lo studio dell’uomo colpevole per limitarsi a notomizzare la figura astratta del reato, - noi crediamo che – come nella scienza in generale – così anche nel ramo della sociologia criminale – i fatti siano gli unici argomenti degni di essere discussi, e l’osservazione sperimentale il solo terreno sul quale siano possibili ed utili i duelli del pensiero».

Tale operazione di “reincarnazione” del diritto penale si basò, sostanzialmente, sulla costruzione di figure criminali capaci di dare anima e corpo all’asetticità enunciativa del “chiunque” codicistico258.

Allo stesso tempo – ed è questo il secondo aspetto, su cui ora conviene concentrare l’attenzione – non si può non osservare come l’affermazione delle teorie lombrosiane abbia certamente influito nell’alimentare questa ossessione, attirando verso «l’armata del crimine» gli interessi di settori e discipline tradizionalmente non votate allo studio della delinquenza: prima fra tutte, la letteratura. Anche grazie agli studi di Lombroso – alle metodologie a dir poco poliedriche con le quali furono condotti – si consolidò quel rapporto sempre più stretto tra scienza e letteratura osservabile nel secondo Ottocento, tanto che nell’elenco di coloro ai quali gli “spettri” della delinquenza “turbavano il sonno”, accanto ad antropologi, giuristi e legislatori, potremmo tranquillamente aggiungere i letterati.

Ancora una volta, non si trattò di una caratteristica rilevabile nel solo territorio italiano, data la grande eco internazionale che le teorie lombrosiane seppero suscitare. Tuttavia, è bene notare come al di là delle Alpi, sul finire del XIX secolo, la stretta vicinanza tra teorie lombrosiane e scrittura romanzesca poteva essere rilevata come una caratteristica in primo luogo italiana: anzi, come l’elemento principale della narrativa italiana di fine Ottocento. Con queste parole, infatti, sulle pagine della prestigiosa Revue des deux mondes, Theodore de Wyzewa descrisse Le roman italien en 1897:

Sur vingt livres italiens qui paraissent à présent, dix au mois sont manifestement inspirés des doctrines lombrosistes; et dans la plupart des dix autres ou peut être assuré de trouver à chaque page quelques-unes de ces formules imposantes et vides qui constituent, en somme, le plus clair des conquêtes scientifiques du professeur de Turin. «Dégénérescence», «sexualité», «type mattoïde», voilà des mots qu’on rencontre, à présent, jusque dans les poèmes, et dans les romans feuilletons259.

Ma anche restando all’interno dei confini italiani è possibile rintracciare testimonianze dello stesso tipo. Due anni più tardi Fausto Squillace pubblicava uno studio su Le tendenze presenti

della Letteratura Italiana, della quale analizzava i caratteri psicologici e psicopatologici,

258 Ibidem.

giungendo ad affermare che «il fondo della letteratura italiana contemporanea è l’isterismo»260.

Per un verso, dunque, i letterati furono particolarmente ricettivi nei confronti delle nuove conquiste scientifiche; ma per un altro verso, gli scienziati stessi non furono meno attenti alle opere letterarie, di cui vollero osservare tanto gli sviluppi recenti quanto i classici dell’antichità. Lombroso, come si è visto, aprì un percorso che molti suoi allievi e colleghi continuarono a praticare e che si estendeva lungo due binari fondamentali: da una parte, fu l’interesse verso l’uomo di genio – nei suoi rapporti con follia e degenerazione – ad attivare gli studi di una certa «critica psico fisiologica e psichiatrica delle opere d’arte», o più semplicemente «critica scientifica»261; ma da un’altra parte – e con la medesima urgenza – fu proprio lo studio della figura del delinquente a spingere gli scienziati verso le pagine delle opere letterarie, per osservare in che modo la letteratura avesse fino a quel momento riprodotto e costituito tale figura. Sul finire del secolo Lombroso tracciò un suo breve bilancio sulla presenza de Il delinquente ed il pazzo nel dramma e nel romanzo moderno262, segnalando una netta discontinuità con le epoche precedenti – cosa che confermerebbe una volta di più la centralità del delinquente nella cultura europea del secondo Ottocento:

Romanzo moderno.

Chi frequentando le scene confronta il dramma moderno coll’antico, ed anche con quello di pochi anni fa, è sorpreso dall’enorme differenza dei caratteri dei personaggi; e soprattutto dalla strana frequenza dei protagonisti pazzi o criminali. Siamo giunti a tanto che si può esser sicuri, andando ad un nuovo capolavoro di Ibsen, per esempio, di vedervi tre o quattro pazzi o birbi, quando i personaggi non lo siano tutti, e ciascuno di essi ha dei caratteri così particolari che sembrano proprio scolpiti da un alienista o da un antropologo criminale. […] e noi siam fieri di vedere Zola prendere dall’uomo delinquente il suo Jaques per farne una statua immortale e Dostoiewski dipingere i criminali nati nella Casa dei morti e il criminaloide in Delitto e pena, e perfino non respingiamo nemmeno Bourget quando,

260 Fausto Squillace, Degenerazione o isterismo?, in Id. Le tendenze presenti della Letteratura Italiana, Torino, Frassati, 1899, pp. 284-313.

261 Sulla legittimità di queste ricerche scientifiche sui testi letterari si discusse in varie sedi, tra cui «Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», Torino, Bocca, 1898, pp. 492 ss, in cui Lombroso riporta e discute ampi stralci dell’articolo di Max Nordau, Critica estetica e critica scientifica, in «L’Avanti!», 9 e 10 giugno 1898.

262 Cesare Lombroso, Il delinquente ed il pazzo nel dramma e nel romanzo moderno, in «Nuova Antologia di scienze lettere ed arti», 1899, pp. 665-681.

facendo più una caricatura psicologica che una psicologia, pretende applicarla alla toelette delle donne, anzi delle cocottes parigine, sotto forma della psicologia dell’amore263.

Come si vede, lo scienziato non ha alcun timore di attribuire al lavoro suo e dei suoi colleghi il merito di aver prodotto una discontinuità così significativa all’interno dell’immaginario collettivo. Per motivare il grande successo del personaggio delinquente nel romanzo contemporaneo, a fronte della sua assenza nella letteratura delle epoche precedenti (salvo, ovviamente, geniali eccezioni come Dante, Euripide e Shakespeare che «si accorsero subito della potenza drammatica [dei caratteri] pazzeschi e criminali»264), Lombroso individua, per un verso, alcune cause materiali, come l’aumento del numero dei pazzi («che si sono moltiplicati, centuplicati con la civiltà, tanto che dove pochi anni sono bastava un manicomio, ce ne vogliono 5 o 6»265). Aumento che di per sé, indipendentemente dalla comparsa delle nuove discipline, avrebbe potuto provocare la maggiore attenzione a queste figure da parte dei letterati. Ma accanto a queste motivazioni lo scienziato non manca di aggiungere

che ai nostri tempi la psicologia è penetrata per tutti i pori. Vi è già una psicologia dei sensi, dei sentimenti, della volontà (Ribot), la psicologia della folla (Ferri, Sighele), dei pazzi, dei criminali; è tentata fin la psicologia delle cellule o almeno degli infusori (Binet).

Perciò, come la statistica mano a mano si applica alla storia, alla politica, alla religione, così la psicologia ha finito per penetrare nel romanzo e nel dramma, e prendersi la parte del leone266.

È vero che le analisi letterarie condotte da Lombroso e colleghi devono sempre essere lette in controluce, poiché ogni volta che questi studiosi si sono avvicinati ai testi letterari lo hanno fatto con precisi e mai celati intenti di legittimazione e costruzione di consenso attorno alle proprie teorie267. Ciò non significa che non si sia effettivamente verificato Un amore

263 Ivi, pp. 665 e 671. 264 Ivi, p. 679. 265 Ivi, p. 676. 266 Ivi, p, 678.

267 Si veda, ad esempio, il paragrafo intitolato Perché il vero si accetta dai romanzieri e non dagli scienziati?, posto a conclusione dello studio in oggetto: «Ma a questo proposito è da dimandarsi: perché, mentre nel mondo letterario ufficioso trovano un’accettazione, se non immediata, certo benevola e facile, le creazioni dell’Argenson, di Daudet, del Jaques di Zola, dei Befi di Dostoiewski, dell’Elisa di Goncourt; mentre tutti i

corrisposto268 tra scienza e letteratura nella cultura italiana di fine Ottocento e che la figura del delinquente sia stata l’oggetto privilegiato di questa relazione

3.1.1 Il romanzo «giurìdico» di Carlo Dossi

Nel 1883 l’editore milanese Angelo Sommaruga, che in quegli anni andava consolidando la sua posizione all’interno del mercato editoriale romano, diede alle stampe la quarta edizione de La Colonia felice di Carlo Dossi. Il romanzo, com’è noto, racconta di come un gruppo di delinquenti, spediti su un’isola deserta, dopo un’iniziale fase di disordini e crudeltà, si rendano conto che la legge procede dall’utilità; che il rispetto del patto sociale è in ultima analisi assai conveniente per l’individuo; che infine l’amore e la famiglia possano trasformare il delinquente in onesto lavoratore ed emendarlo così delle colpe commesse. Come ha osservato Dante Isella, «con sei edizioni in un ventennio, La Colonia felice è certamente l’opera del Dossi di maggior successo editoriale»269. Infatti, dopo una prima pubblicazione (di sole duecento copie stampate a spese dell’autore nel 1874), il romanzo apparve a puntate sul quotidiano romano la «Riforma» nel 1879 e ottenne un successo non trascurabile, se è vero che «il rilancio romano dello scrittore prese avvio proprio da La colonia Felice»270. Si tratterà di un rilancio, allo stesso tempo, letterario271, politico e diplomatico. In questo senso è proprio

grandi artisti, anche i più antichi, hanno dato il tipo che io assegno al delinquente nato, ai carnefici, e ai criminali, il mondo si rifiuta di accettare l’esistenza del tipo criminale, della follia nel genio, e nel criminale i rapporti fra epilessia e il delitto che pure accetta nel romanzo e nel dramma? Gli è che quando siamo in presenza di figure vere, fatteci balenare sotto una forte luce dai grandi artisti, la coscienza del vero che dormicchia in tutti noi compressa e sfigurata dalle stiracchiature delle scuole, si risveglia, si ribella alle ubbie convenzionali che le vengono imposte; tanto più che il lenocinio dell’arte ha ingigantito i contorni del vero, li ha resi più evidenti e così ha reso molto minore lo sforzo necessario per impossessarsene. Quando invece dobbiamo concludere sulle fredde statistiche o sopra uno studio, direi scheletrico, dei fatti, sentiamo tutto il vecchio passato che ci si oppone di mezzo, e si allea col sentimento, e perfino col senso artistico, per obbligarci a negare». Ivi, p. 681.

268 Delia Frigessi, Un amore corrisposto, in Id, Cesare Lombroso, cit. pp. 327-352. 269 Dante Isella, Note ai testi, in Carlo Dossi, Opere, cit. p. 1458.

270 Ivi, p. 1459.

271 «Non si dimentichi che “La Riforma” e lo Stabilimento Tipografico Italiano, rispettivamente quotidiano e casa editrice di Crispi e del suo partito, dello scrittore lombardo pubblicarono e/o ristamparono, a partire dal 1879, La colonia felice, Goccie d’inchiostro e L’altrieri, inaugurando così quello che sarebbe stato il periodo

l’edizione sommarughiana quella su cui conviene concentrare l’attenzione: sia per le caratteristiche dell’editore, sia per la comparsa di un importante elemento paratestuale, che ben esemplifica lo stretto legame tra letteratura, diritto e scienze mediche verificatosi nella cultura italiana postunitaria, proprio in relazione alla figura del delinquente.

La quarta edizione de La Colonia felice appare particolarmente curata, esito di un lavoro di revisione condotto con grande precisione da parte dell’autore: il testo è infatti seguito da una

Nota grammaticale in cui il Dossi illustra i criteri ortografici adottati. «Sennonché, nel

momento stesso in cui veniva licenziata al pubblico, così attentamente “ricorretta” e provveduta, l’autore si premurava di sconfessare la sua opera (e non certo per semplice umore di bizzarria contraddittoria)»272. A precedere il testo è infatti, chiara e netta, una Diffida:

Con la Colonia felice io m’era dunque proposto […] di dimostrare graficamente le seguenti anticipazioni delle cattedre, cioè:

1° che il male insegna il bene; 2° che la giustizia procede dall’utilità

3° che inùtile è la pena di morte, quindi ingiusta;

4° che, come rinnòvasi la materiale compàgine dell’uomo, può parimenti rifarsi quella morale; né il filo della memoria basta a congiungere, in una sola, le varie individualità per cui una persona passa. Conseguentemente, potrebbe qualunque colpèvole riprincipiare, in tutta la virtù della parola, la sua esistenza;

5° infine, che amore ha forza assai più della Forza.

Come si scorge, io era in perfetta regola con la filantropia convenzionale, non però con la scienza. La guancia de’ preventivi miei conti non avrebbe potuto mostrarsi più rosata e piacente, ma avèa un piccolo neo, quello di non segnare che un attivo ideale. Ben altre erano infatti le cifre reali raccolte dalla psichiatria, dalla chimica organica, dalla statistica criminale. L’uomo malvagio non è correggibile273

Da quando il romanzo era stato scritto e pubblicato nella sua prima edizione, altre «cattedre», non esattamente votate all’insegnamento della filantropia, avevano iniziato a fornire le loro «anticipazioni»: in particolare, da quella di medicina legale e igiene pubblica dell’Università

delle ristampe e la collaborazione con alcuni degli editori più in vista del tempo, tra cui Angelo Sommaruga e i Fratelli Dumolard», Francesco Lioce, Esperienza letteraria e ideologia politica: il caso Carlo Alberto Pisani

Dossi (Da una lettera dell’inedita Vita di Carlo Dossi), online in http://www.italianisti.it/upload/userfiles/files/Lioce Francesco.pdf

272 Dante Isella, Note ai testi, cit. p. 1461. 273 Carlo Dossi, Opere, cit. p. 525.

di Torino, l’ormai noto Cesare Lombroso teneva il suo insegnamento sin dal 1876, quando era apparso per la prima volta L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla

medicina legale ed alle discipline carcerarie 274. Dossi ebbe modo di leggere lo studio sin da questa prima edizione e pensò di spedire all’antropologo veronese una copia della sua

Colonia felice. Da quel momento iniziò tra i due una serie di corrispondenze che proprio

attorno al 1883 era andata infittendosi, in merito a un’altra pubblicazione che il Dossi stava portando a termine, I mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio

Emanuele II. Fu proprio Lombroso a suggerire il termine “mattoidi” per il titolo dell’opera,

che infatti l’autore volle dedicargli. In cambio l’antropologo inserì parte dei mattoidi dossiani all’interno del suo Genio e Follia275.

Sarebbe certo un errore ridurre la figura del Dossi letterato a una sorta di traduttore romanzesco delle teorie lombrosiane: anzi, dovendo scegliere se tra i due fu il romanziere a “usare” lo scienziato o piuttosto lo scienziato a servirsi del romanziere, la scelta dovrebbe certo cadere sulla prima ipotesi276. Lo stile ironico e caustico dello scapigliato non seppe infatti risparmiare nemmeno l’eminente scienziato veronese, come dimostrano alcune Note

azzurre277. Eppure la convinzione con la quale Dossi accolse in questi anni le conclusioni della scuola lombrosiana non pare possa essere messa in discussione, non ostanti nemmeno quelle stesse Note, se è vero che la Diffida, «vera e propria sentenza di condanna» del testo romanzesco, «è costruita dal Dossi su materiali sparsi nelle Note azzurre»278. D’altronde non fu solo l’autore de La colonia felice a mostrare interesse verso le pubblicazioni della nuova scuola. In quegli stessi anni l’editore Sommaruga, «pur non possedendo una struttura aziendale pronta per il consumo di massa, offr[ì] al raffinato e frivolo pubblico romano, tra le sue primizie letterarie, anche la criminologia»279: infatti, sempre nel 1883, pubblicò i Due

tribuni studiati da un alienista, dove l’alienista è ovviamente Cesare Lombroso.

274 Cesare Lombroso, L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle

discipline carcerarie (1876), cit.

275 Sul punto si veda Delia Frigessi, Cesare Lombroso, cit. pp. 327-352. 276 Ibidem.

277 Si vedano ad esempio le note numero 2352 e 5651 in Carlo Dossi, Note azzurre, Dante Isella (a cura di), Milano, Adelphi, 2010, pp. 192-194 e 955.

278 Dante Isella, Note ai testi, cit. p. 1461.

279 Andrea Rondini, La ricezione letteraria di Cesare Lombroso nell’Ottocento, in Bertrand Marquer (a cura di),

Cesare Lombroso e la fine secolo: la verità dei corpi, in «Publif@rum», 1 (2005), online in

Pur senza raccontare lo svolgimento di un dibattimento processuale, o le indagini di un poliziotto alla caccia di un delinquente, La colonia felice è un romanzo che manifesta un legame significativo col mondo giudiziario dell’Italia postunitaria: sia perché affronta esplicitamente il tema della pena di morte, questione non secondaria all’interno del dibattito sugli ordinamenti giuridici del nuovo stato unitario; sia per lo stretto rapporto sviluppatosi tra l’autore del romanzo e una delle personalità più combattive all’interno di quel dibattito. Ciò nonostante, non ci risulta che quest’opera sia mai stata inserita all’interno del corpus relativo al romanzo giudiziario italiano. In effetti, alcune dichiarazioni dell’autore sembrerebbero sancire una netta incompatibilità tra la sua opere e la tipologia di romanzi oggetto di questa