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4. Reati in contratto e reati-contratto Cenni

4.2. Il silenzio doloso e gli obblighi d’informazione

Nelle pagine addietro si era soltanto accennata la discussa, ma comunque diffusa, ammissione del “silenzio” tra le condotte assimilabili agli artifici o raggiri richiesti dalla norma penale per l’integrazione del reato di truffa.

La giurisprudenza afferma che il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi ha un dovere specifico di farle conoscere è riconducibile alla condotta fraudolenta incriminata dall’art. 640 c.p. .

Il disvalore penale di tale condotta omissiva si fonderebbe sull’esistenza di un obbligo giuridico di informazione in capo al soggetto agente secondo quanto statuito dall’art. 40, comma 2, c.p., il quale dispone che “non

impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”403.

Vi è poi chi, prescindendo dallo strumento tecnico-normativo dell’art. 40, cpv., c.p., riconosce rilievo al silenzio sulla base della teoria del

403

162

“comportamento concludente”: la reticenza andrebbe distinta

dall’omissione pura e collocata tra i comportamenti concludenti.

Ciò in quanto, ogni qual volta il diritto imponga a chi riveste una certa posizione l’obbligo di informare e riferire di specifiche circostanze, il silenzio diviene una reticenza dal valore concludente poiché la mancata comunicazione da parte di colui che ha il dovere di informare viene interpretata dalla collettività come inesistenza di circostanze che dovrebbero esser rese note ove presenti404.

In tale ottica, di fronte alle contingenze del singolo caso e in considerazione della condotta posta in essere dal soggetto attivo il silenzio deve assumere un valore risolutivo idoneo a circuire la vittima405.

E, sebbene non sia mancato chi, intravedendo nell’assimilazione del silenzio agli artifizi e raggiri una vera e propria interpretatio abrogans di tale requisito ed una violazione del principio di tassatività, negasse il riconoscimento di ogni rilevanza penale al comportamento omissivo406 e ritenesse non equiparabile l’omettere all’agire per i reati di evento a forma vincolata (come quello di truffa)407, la giurisprudenza ormai costante riconduce il silenzio maliziosamente serbato su circostanze che si ha il dovere di riferire nell’alveo delle attività classificabili come artifici e raggiri ma, è bene precisarlo, solo laddove esso assuma una carica di disvalore idonea a determinare nel destinatario della condotta omissiva una falsa rappresentazione e/o valutazione del reale.

Il che sta a sottolineare che deve essere provato un nesso di causalità diretta tra la condotta dell’agente artificiosamente preordinata ad ingannare e l’errore in cui cade il soggetto passivo.

Il rilievo del silenzio si manifesta in modo ancor più evidente nella truffa contrattuale dove l’incriminabilità del comportamento omissivo posto

404

Così C. PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, 198 e ss..

405

G. MARINI, Profili della truffa nell’ordinamento penale italiano, 1970, 88.

406

U. LUCARELLI, La truffa, cit., 22 e I. LEONCINI,cit. .

407

Così G. FIANDACA-E. MUSCO e F. MANTOVANI, Delitti contro il patrimonio, i quali sostengono che non sarebbe possibile riscontrare un nesso di causalità tra l’assenza di una rappresentazione, quale il silenzio e l’induzione in errore della vittima.

163 in violazione dell’obbligo giuridico d’informazione è stato fatto risalire alla norma extrapenale dell’art. 1337 c.c. ‹‹ben potendo la fonte del dovere di

informazione risiedere anche in una norma extrapenale››408.

Ma, rinvenire gli artifici e raggiri nel dovere dei contraenti di comportarsi secondo buona fede rischia di far coincidere ogni illecito precontrattuale civile con l’illecito penale della truffa contrattuale.

Ed allora per sostenere che anche il mero silenzio, dolosamente finalizzato all’induzione in errore per il conseguimento di un ingiusto profitto, costituisca un comportamento sanzionabile ai sensi dell’art. 640 c.p. il solo obbligo giuridico del soggetto agente di comunicare determinate circostanze non è sufficiente e deve essere integrato da altri elementi.

Sul punto ritengo interessante la riflessione dottrinaria409 che, partendo dal presupposto che il delitto di truffa contrattuale sia integrato solo da quel silenzio costituente un comportamento “concludente”, riconosce come simile carattere possa variare in funzione di fattori quali le regole sociali, le convenzioni e gli accordi intervenuti nella formazione di un contratto, le consuetudini, la qualità delle parti.

Si tratta di elementi che ‹‹attribuiscono al silenzio un chiaro valore

espressivo, come di linguaggio muto, (…) un linguaggio convenzionale

(…)››410, che devono andare a colmare e completare la mera violazione del dovere di correttezza perché solo così procedendo il silenzio assume un significato espressivo univoco.

Non solo. Il silenzio oltre ad essere concludente deve possedere un’efficacia genetica dell’errore. Perché ciò accada nel rapporto tra il contraente inadempiente all’obbligo d’informazione e la sua controparte quest’ultima non deve essere caduta in errore per fatto suo proprio, né

408 Cass. Pen., sez. II, 13 novembre 1997, n. 870 e C. PEDRAZZI, ult. Op., cit.. 409

Che appartiene a G. SAMMARCO, Truffa contrattuale, cit..

410

G. SAMMARCO, ult. Op., cit., p. 196-198. L’Autore afferma che ‹‹(…) quando si parla di

silenzio, non ci si deve limitare a constatare il nascondimento di un particolare contenuto, il tacere di una determinata informazione, sia pure in violazione di un obbligo giuridico che impone di palesare ciò che sia. Ma al contrario, sintonizzando l’atteggiamento complessivo di chi tace con l’attività interpretativa del soggetto verso cui l’atteggiamento è diretto, si deve valutare il silenzio nella sua effettiva concludenza e significatività alla stregua di qualsiasi altro comportamento attivo che, (…), costituisca un valido strumento di inganno.››.

164 tantomeno per un suo affidamento spontaneo circa il rispetto del generico dovere di correttezza, bensì a causa di un affidamento più forte basato su specifichi doveri di informazione gravanti sul contraente-soggetto attivo.

Quindi l’inganno viene perpetrato se, accanto al reciproco affidamento delle parti alla diligenza dell’altra, sussiste un’effettiva attesa del contraente-vittima al rispetto di uno o più obblighi di informazione stabiliti dalla legge o da accordi intercorsi tra le parti stesse411.

Ricapitolando, la truffa contrattuale è integrata dalla condotta di colui che tace sull’esistenza di una o più circostanze quando il silenzio acquista valore concludente, ovvero quando ricorre una reticenza dolosa (in termini dolo omissivo) preordinata a trarre in inganno la controparte per conseguire un ingiusto profitto (mediante la violazione di specifici obblighi d’informazione gravanti sull’autore del silenzio ai sensi di norme, usi, consuetudini o convenzioni derivanti da precedenti accordi o sorte nel corso delle trattative contrattuali412) e attuata con la ‹‹consapevolezza che la

conoscenza delle circostanze maliziosamente omesse avrebbe avuto rilievo nella formazione della volontà negoziale››413.

E, alla stregua delle esigenze e delle aspettative della vittima, nonché tenendo conto delle singole circostanze della fattispecie concreta, tale silenzio, doloso e concludente, dovrà essere idoneo ad indurre in errore il soggetto passivo e ad influenzarne la formazione della volontà negoziale persuadendolo a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe concluso.

411

Tali obblighi sono di per sé idonei ad indurre l’altra parte a confidare di essere informata e quindi il silenzio ‹‹assumerà il valore di una tacita, contrapposta dichiarazione che non tanto non previene

o sventa, ma essa medesima genera o conserva l’errore›› (Cass. Pen., sez. VI, 3 aprile 1998).

412

Infine, per quanto concerne gli obblighi di informazione che giustificano la rilevanza penale dell’omessa comunicazione del contraente silente, in dottrina G. BELLANTUONO, Polizza

fideiussoria, reticenza e obblighi di informazione, nota a Cass. Civ., 11 ottobre 1994, n. 8295, in Foro it., 1995, I, 1905, espone una sua teoria fondata sulla distinzione di tre tipologie di

informazioni alla luce della quale riconosce l’integrazione della truffa contrattuale omissiva solo laddove siano state nascoste le informazioni cd. “distruttive”, cioè quelle circostanze che, se taciute, possono nuocere ad una delle parti. Ove, invece, siano taciute le informazioni cd. “produttive” (idonee a produrre un aumento di ricchezza) ovvero quelle “redistributive” (idonee a permettere il conseguimento di un vantaggio alla parte meno informata ma senza creare una nuova ricchezza), il silenzio non dovrebbe rilevare ai fini dell’integrazione del reato di truffa contrattuale, poiché si tratterebbe di una condotta priva del disvalore lesivo di interessi penalmente rilevanti.

413

165 Il labile confine tra diritto civile e penale si avverte soprattutto quando il silenzio subentra nella fase successiva alla stipula del contratto integrando l’ipotesi di truffa contrattuale realizzata durante l’esecuzione del negozio.

Infatti, la giurisprudenza di legittimità riconosce che la truffa contrattuale sia configurabile quando ‹‹una delle parti, nel contesto di un

rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifici e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno››414.

Nei contratti a prestazioni corrispettive, il momento consumativo della truffa è ricondotto all’inadempimento contrattuale del soggetto attivo dato che l’ingiusto profitto e l’altrui danno sono realizzati proprio mediante il mancato soddisfacimento dell’obbligazione del contraente truffaldino a fronte del corretto adempimento del soggetto passivo415.

A questo punto sorge spontaneo domandarsi se il proposito di non adempiere agli obblighi assunti al momento della conclusione del contratto integri gli artifici o raggiri attraverso il silenzio maliziosamente serbato descritto poc’anzi.

A bene vedere, la riserva mentale di inadempimento non può essere aprioristicamente riconosciuta come elemento costitutivo della truffa contrattuale, poiché non sussiste in capo alle parti l’obbligo giuridico di comunicare alla controparte il proposito di non adempiere, o meglio, pur riconducendo tale dovere all’art. 1337 c.c. sarebbe sicuramente dubbia la rilevanza penale del mero silenzio.

Questo, infatti, non avrebbe ad oggetto circostanze che il contraente reticente ha l’obbligo giuridico di rendere note, ma le sue intenzioni personali circa la futura esecuzione del contratto416.

414

Cass. Pen., sez. II, 2 marzo 1996.

415

Ma è palese come in simile contesto il giudice debba valutare attentamente se il presunto soggetto attivo del delitto abbia posto in essere, anche mediante la reticenza, artifici o raggiri nella fase di esecuzione del contratto, o se abbia dato luogo a un mero inadempimento contrattuale penalmente irrilevante e ciò alla luce di tutte le pattuizioni contrattuali intervenute tra le parti al momento della stipulazione dell’accordo.

416

Inoltre, in relazione a tale questione U. LUCARELLI, La truffa, cit., 296, osserva che in caso di riserva mentale di inadempimento sarebbe dubbia l’esistenza dell’errore: su cosa cadrebbe se il

166 Ne consegue che la riserva mentale di non adempiere gli obblighi contrattuali non può mai da sola integrare la truffa contrattuale, salvo nel caso in cui il soggetto attivo sia insolvente e ponga in essere artifici e raggiri mediante una condotta reticente (o attiva) diretta a simulare uno stato di solvibilità417.