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2. La definizione di ‹‹pratica commerciale sleale››

2.2. Segue Il parametro del consumatore medio Cenni

Il secondo parametro che interessa, enunciato alla lett. b) dell’art. 5, è quello del “consumatore medio”.

In particolare, la norma afferma che la pratica commerciale è sleale quando, oltre che essere contraria alla diligenza professionale, ‹‹falsa o è

idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta ad un determinato gruppo di consumatori››.

Si tratta di una clausola generale avente ad oggetto la tutela della libertà di autodeterminazione del consumatore rispetto alle scelte di carattere economico.

Dalle lettere e) e k) dell’art. 2 della direttiva, che definiscono rispettivamente l’espressione “falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore” e “decisione di natura commerciale”, si ricava che una pratica commerciale è scorretta solo se è astrattamente idonea ad alterare in modo sensibile, apprezzabile, considerevole, la capacità del consumatore di adottare scelte autonome e consapevoli concernenti il modo, il prezzo, il tempo, l’oggetto, la convenienza dell’atto di acquisto di un prodotto, influenzandolo così a prendere decisioni che altrimenti non avrebbe preso. Quindi, per infrangere il divieto di pratiche commerciali sleali è sufficiente la mera idoneità della condotta del professionista ad arrecare un danno ai consumatori48 senza che assuma alcun rilievo la

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P. AUTERI, Introduzione, cit., p. 16-18, si sofferma su un parallelismo tra l’idoneità al danno prevista dalla lett. b) dell’art. 5, par. 2, della direttiva 2005/29/Ce e la clausola generale della

33 mancanza di prove sull’effettività di un pregiudizio sofferto da parte del destinatario della pratica.

L’idoneità del comportamento imprenditoriale ad incidere sulla capacità valutativa e decisionale dei consumatori è valutata alla stregua del “consumatore medio”.

L’art. 2, lett. a), della direttiva si limita a definire la figura del “consumatore”, mentre in sede di valutazione della eventuale slealtà della pratica si guarda al parametro del “consumatore medio” sviluppato dalla giurisprudenza comunitaria49.

La Corte di Giustizia ha elaborato un modello di consumatore virtuale tipico e lo ha riconosciuto in colui che è mediamente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto anche dei fattori sociali, culturali e linguistici.

La direttiva non va a proteggere indiscriminatamente tutti i soggetti che ricadono sotto la definizione di consumatore dell’art. 2, lett. a), ovvero tutte le persone fisiche che agiscono per fini estranei alla loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, in quanto essa non persegue la tutela dei soggetti distratti, disinformati e negligenti bensì, come afferma il Considerando n. 18, “conformemente al principio di

concorrenza sleale: tra le due la prima si riferisce all’idoneità dell’atto a danneggiare i consumatori in luogo, come invece è per l’altra, dei concorrenti. Da questo punto l’Autore sottolinea che mentre una pratica idonea a danneggiare i consumatori implica di regola che essa è idonea a danneggiare anche i concorrenti ‹‹(…) poiché, indicendo i consumatori a prendere decisioni diverse da quelle

che avrebbero altrimenti preso, la pratica sposta la domanda dei consumatori a favore dell’autore della pratica e a danno degli altri concorrenti (…)››, la circostanza che la pratica, pur traendo in

errore il consumatore su dei fattori rilevanti per le sue scelte, non sia idonea a condurlo all’adozione di decisioni che altrimenti non avrebbe preso non fa venir meno la sua idoneità a danneggiare i concorrenti. Infatti, i consumatori che ricevono informazioni non veritiere o fuorvianti sulle caratteristiche del prodotto o le condizioni dell’acquisto potrebbero neutralizzare l’inganno derivante dal messaggio pubblicitario, e non subire, così, alcun pregiudizio, ma in ogni caso, avendo gli stessi orientato la loro domanda verso quello che il messaggio del professionista pubblicizzava, i concorrenti ne subiranno un danno.

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Cfr. CGE, sentenza del 13 dicembre 1990, C-238/89; CGE, sentenza del 2 febbraio 1994, C- 315/92; CGE, sentenza del 16 luglio 1998, C-210/96; CGE, sentenza del 26 ottobre 1995, C-51/94; CGE, sentenza del 13 gennaio 2000, C-220/98. La pronuncia che ha dato i natali alla nozione di consumatore medio è stata la sentenza C-210/96 in cui la Corte aveva affermato che ‹‹per stabilire

se una dicitura destinata a promuovere le vendite sia idonea a indurre in errore l’acquirente, il giudice nazionale deve riferirsi all’aspettativa presunta connessa a tale dicitura di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto››. Inoltre, nella stessa

sentenza, era stato statuito che la national court, nel rispetto della legge processuale applicabile, potesse ricorrere all’impiego di sondaggi, ricerche demoscopiche e ricerche statistiche per verificare sul piano concreto se e a quali livelli la condotta dell’imprenditore fosse capace di influenzare la società consumeristica.

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proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, prende in considerazione il consumatore medio delineato dalla Corte di Giustizia”.

Solo i consumatori che si informano ed aggiornano50 sui loro diritti e sulle tipologie di pratiche commerciali sleali che sono solite realizzare le imprese, coloro che non si lasciano facilmente attrarre da informazioni, offerte e messaggi magnificanti, sono i consumatori meritevoli della protezione messa a punto dal legislatore comunitario con la direttiva 2005/29/Ce51.

La direttiva, dunque, accanto agli obblighi informativi e

comportamentali imposti ai professionisti, pone in capo alla figura dei consumatori destinatari delle pratiche commerciali un onere di diligenza52: comportarsi con attenzione e giudizio, essere soggetto attivo e consapevole, non un mero spettatore, del mercato interno.

Il criterio del consumatore medio tipico, individuato dalla giurisprudenza sulla base del contesto storico, sociale, linguistico, culturale, si completa con quello della “specificità” che compare al Considerando n. 19 ed al paragrafo 3 dell’art. 5 della direttiva, ed in virtù del quale qualora alcune caratteristiche, quali l’età, l’infermità fisica o mentale o l’ingenuità, rendano solo un determinato gruppo di consumatori particolarmente vulnerabili ad una pratica commerciale o al prodotto cui essa si riferisce ed il professionista possa ragionevolmente prevedere che solo il

50 C. ALVISI, Il consumatore ragionevole e le pratiche commerciali sleali, in Contratto e Impresa,

3/2008.

51 A. SACCOMANI, Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/Ce,

in AA.VV., Le pratiche commerciali, cit., 153, parla di weaker parties per indicare i soli consumatori che, tenendo conto delle peculiarità del singolo caso concreto, sono destinatari della difesa approntata a garanzia dei loro interessi economici. L’Autore, poi, ricorda come la nozione di consumatore medio elaborata dalla Corte sia una nozione dinamica che muta da Stato membro a Stato membro in funzione di fattori sociali, culturali, linguistici che variano con il passare del tempo. Ricorrono dunque diversi “consumatori medi”, in quanto si tratta di un modello mutevole e plasmabile a seconda del paese e del momento storico. La nozione di consumatore medio, e quindi quelli che ne costituiscono gli elementi portanti, sono dunque rimessi ad una continua evoluzione attuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Proprio con riferimento alla variabilità del concetto di consumatore derivante dalle pronunce giurisprudenziali nazionali e dalle diverse caratteristiche sociali e culturali che vi incidono, M. DONA, Pubblicità, pratiche commerciali e

contratti nel Codice del Consumo, Utet, Torino, 2008, è scettico e ritiene che l’introduzione del

modello del consumatore medio possa portare ad un generale ‹‹livellamento verso il basso del grado

di tutela riconosciuto ai consumatori››.

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35 comportamento economico di siffatti soggetti rischi di esserne distorto, la