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La vittima della truffa, tra potenzialità ed effettività del danno, e la

2. L’elemento oggettivo del reato di truffa: gli “artifici e raggiri”,

2.3. La vittima della truffa, tra potenzialità ed effettività del danno, e la

del danno, e la lesione degli interessi dei consumatori

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Venendo ora all’esame più dettagliato delle due normative, penalistica e consumeristica, è opportuno valutare eventuali divergenze e similitudini con un occhio di riguardo riservato agli interessi tutelati ed al ruolo del “danno”.

L’art. 640 c.p. ha ad oggetto la tutela del patrimonio (inteso in senso economico) e la libertà di autodeterminazione della persona fisica.

Invece, quando ci si addentra nel territorio poliedrico delle pratiche commerciali, il bene primario della relativa normativa non è l’integrità patrimoniale del consumatore, ma la sua libertà di autodeterminazione nel momento in cui entra in contatto e si appresta ad instaurare rapporti giuridici, il più delle volte di natura negoziale, con soggetti professionisti.

E così, mentre il reato di truffa è integrato solo laddove si realizzi la precisa “scaletta” composta dalla caduta in errore del soggetto passivo (quale prima conseguenza diretta della condotta fraudolenta del soggetto attivo), dal concreto compimento di un atto di disposizione patrimoniale (la cui fisionomia è condizionata dalla previa induzione in errore) e dalla conseguente deminutio patrimonii, dove, come vedremo più avanti, il

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L’esempio classico è dato dall’atto di distruzione del proprio francobollo con conseguente aumento del valore dell’esemplare superstite posseduto dal soggetto agente. Diversamente, una dottrina minoritaria, che vede tra i suoi più autorevoli esponenti G. PECORELLA, voce Patrimonio,

(Delitti contro il), in Novissimo Digesto, XII, Utet, 1965, 628 e P. MANGANO, Frode e truffa nel processo, Milano, 1976, 101 e ss., esclude che l’atto di disposizione sia un requisito della truffa

accontentandosi del mero nesso causale tra l’errore indotto nella vittima e il danno patrimoniale prescindendo così dall’atto dispositivo con cui il soggetto passivo contribuisce al suo stesso danneggiamento. Questo orientamento minoritario viene criticato in considerazione del fatto che negando che l’atto dispositivo sia un requisito della fattispecie, da un lato, diverrebbe pressoché impossibile distinguere il reato di truffa da altre figure criminose (come ad esempio il furto), e, dall’altro, tenendo contro del fatto che la truffa è un’ipotesi di reato che mira a tutelare, oltre il patrimonio, anche la libertà del consenso la quale si manifesta proprio attraverso il compimento di un atto di disposizione patrimoniale.

139 soggetto agente è penalmente responsabile ai sensi dell’art. 640 c.p. solo ove ricorrano in concreto i suddetti eventi, il professionista autore di una pratica commerciale è perseguibile e sanzionabile laddove essa sia ingannevole anche per la mera idoneità in astratto a ledere gli interessi del consumatore medio, e ciò indipendentemente dal verificarsi di un’effettiva alterazione della sua volontà e del relativo danno economico.

Le pratiche commerciali ingannevoli (o aggressive), diversamente dal “reato di danno” della truffa, sono degli illeciti di pericolo340 (come del resto hanno ribadito le sentenze del T.A.R. Lazio), dove la valutazione di ingannevolezza deve essere condotta unicamente alla luce della violazione del dovere di correttezza e della potenziale distorsione della volontà del consumatore, a prescindere dall'entità del danno economico cagionato o che potrebbe verificarsi341.

L’oggetto immediato della tutela dettata dagli artt. 18-27-quater cod. cons., è costituito da una pluralità di interessi dei consumatori, perciò in tale sede può parlarsi di “danno” in senso lato, perché qui l’elemento danno va oltre una valenza puramente economica e consta dell’insieme dei diritti e degli interessi del consumatore tra cui primo fra tutti il diritto alla libertà di autodeterminazione.

Il T.A.R. Lazio, infatti, concorda con il parere dell’Autorità Antitrust, quando afferma che “l’idoneità del messaggio a pregiudicare il

comportamento economico dei consumatori, ai sensi del Codice del Consumo, (…) è del tutto svincolata dalla presenza di un danno valutabile in termini monetari e non coincide con la nozione civilistica di danno patrimoniale, economicamente valutabile e qualificabile”.

Ciò in quanto “la ratio dell'articolo 20 del Codice del Consumo è

quella di proteggere non già l'integrità del patrimonio del consumatore, bensì la sua libertà di autodeterminarsi, di scegliere con 'cognizione di

340 In particolare, si tratterebbe di un illecito di pericolo in concreto poiché il giudice deve accertare

e valutare l’ingannevolezza della condotta imprenditoriale alla stregua di un giudizio ex ante, il che esclude che sia sufficiente ad integrare il divieto di pratiche commerciali ingannevoli una qualsiasi idoneità in astratto.

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causa', ovvero di prendere decisioni 'informate' e determinare la sua volontà negoziale o prenegoziale senza dover subire alcun tipo di influenza esterna, anche indiretta a causa del carattere decettivo del messaggio pubblicitario”342.

In secondo luogo, non si tratta di un danno effettivo degli interessi del consumatore mediamente avveduto, bensì di un danno meramente ipotetico. Dunque l’illiceità della pratica ricorre a prescindere dalla concreta dimostrazione di un evento pregiudizievole ed è sufficiente la prova della “potenzialità lesiva” della condotta del professionista343.

Nella truffa, in merito all’elemento del danno, tanto in dottrina quanto tra le pronunce dei giudici, ricorre disaccordo sul suo significato al punto che dalla sua originaria natura prettamente economico-patrimoniale si è assistito ad una sorta di sua “spiritualizzazione”344.

Da sempre si sono contrastate la concezione “giuridica” e la concezione “economia” del danno.

La prima345, muovendo dalla concezione di “patrimonio”come somma di rapporti giuridici attivi e passivi relativi alle cose di pertinenza di una persona, interpreta il danno come la perdita di un diritto o l’assunzione di un obbligo346.

Trattasi cioè di un danno inteso come mancata realizzazione dello scopo prefissato dalla vittima degli artifizi e raggiri, o come squilibrio del rapporto giuridico347.

342

TAR, sez. I, 8 settembre 2009, n. 8394.

343

In questa direzione si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa e si veda la citata sentenza TAR, Lazio, sez. I, 8 settembre 2009, n. 8394.

344

Così G. FIANDACA- E. MUSCO, cit., 181.

345

La quale ha tra i suoi fautori A. DE MARSICO e A. ALBAMONTE.

346

Quindi ricorrerebbe il danno di cui all’art. 640 c.p. anche qualora il soggetto ingannato addivenisse alla stipula di un contratto a condizioni sfavorevoli, o laddove lo stesso concedesse un credito indipendentemente dall’effettiva diminuzione del patrimonio quale conseguenza dell’impegno assunto.

347

Anche un filone giurisprudenziale minoritario condivide la natura “giuridica” del danno affermando che “nella truffa contrattuale non è necessario che il danno sia costituito dalla perdita

economica di un bene subita dal soggetto passivo, potendo anche consistere nel mancato conseguimento di una utilità economica che lo stesso si riprometteva di ottenere in conformità alle false prospettazioni dell'agente, dal quale sia stato tratto in errore, e anche nell' assunzione, altrimenti ingiustificata, di obbligazioni”(Cass. Pen., sez. II, 1 marzo 1986 e nello stesso senso Cass.

141 Ma riscuote maggiori adesioni, in dottrina e in giurisprudenza, la tesi economica del danno348 la quale, prendendo le mosse dalla definizione di patrimonio come insieme dei beni economicamente valutabili spettanti sia di fatto che di diritto ad una persona, attribuisce al danno caratteristiche economico-patrimoniali.

Ed allora, il giudice riscontrerà che c’è il danno laddove, tenendo conto dei valori oggettivi di mercato nonché alla luce del giudizio di equivalenza tra le rispettive prestazioni del soggetto attivo e del soggetto passivo, accerti una concreta deminutio patrimonii.

La concezione obiettivo-economica del danno lo identifica con un danno patrimoniale necessariamente “effettivo” sia come “danno emergente” che come “lucro cessante”349.

A confermare tale concezione sono intervenute le Sezioni Unite le quali hanno sancito che “oltre la realizzazione della condotta tipica da parte

dell’autore, è necessario, ai fini dell’integrazione del reato di truffa, che si

348

Infatti, la concezione giuridica è stata criticata sulla base di più argomentazioni. Prima di tutto, è stato obiettato come essa trascuri le situazioni economiche non inquadrabili nello schema del diritto soggettivo e che la stessa finisca per considerare quali elementi costitutivi del patrimonio anche i diritti privi di un reale valore patrimoniale. Ancora, è stato criticato come simile tesi comporti una snaturalizzazione del reato di truffa che da reato di danno (così è stato infatti concepito dal legislatore) sarebbe trasformato in reato di pericolo: se il momento decisivo diviene quello in cui la vittima pone in essere l’atto dispositivo costitutivo di diritti od obblighi, la truffa sarebbe già integrata in questa fase, ovvero nella fase in cui la perdita patrimoniale non è effettiva bensì soltanto possibile o probabile. Inoltre, la concezione giuridica, proprio in virtù dell’integrazione del danno pur in assenza della deminutio patrimonii, comporterebbe un’estensione eccessiva della portata incriminatrice dell’art. 640 c.p..

349

E così in materia di truffe realizzate mediante la consegna di titoli di credito o di assunzione di un’obbligazione della dazione di un bene economico, il momento consumativo della truffa non si verifica con la mera assunzione dell’obbligazione, bensì con l’effettiva, concreta e definitiva lesione del bene tutelato, la quale si verifica solo con la diminuzione del patrimonio del soggetto passivo (ed il correlativo arricchimento del soggetto attivo) realizzatasi una volta adempiuta l’obbligazione. Ed allora, laddove la truffa abbia ad oggetto titoli di credito, il danno sarà integrato nel momento in cui il soggetto agente acquisisce la relativa valuta, e non quando il titolo viene posto in circolazione (così Cass. Pen., sez. II, 28 ottobre 1997). E , ancora, Cass. Pen., sez. II, 24 gennaio 2003, n. 28928, dove si legge che “Il delitto di truffa si perfeziona non nel momento in cui il soggetto passivo

assume un'obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene economico da parte dell'agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato; pertanto, quando il reato predetto abbia come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all'incasso ovvero usati come normali mezzi di pagamento, mediante girata, a favore di terzi i quali portatori legittimi, non sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario: in entrambi i casi, infatti, si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa, inteso come complesso di diritti valutabili in denaro”. In materia di truffa contrattuale si

veda la sentenza della Corte di Cassazione del 3 giugno 1998 in cui si afferma che la consumazione del delitto deve essere ravvisata non nel momento della consegna del bene, bensì in quello dell’inadempimento del soggetto agente che, a bene vedere, altro non è che il momento in cui viene in essere la definitiva perdita patrimoniale per il soggetto passivo.

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verifichi anche un’effettiva deminutio patrimonii, intesa in senso strettamente economico, del soggetto passivo”.

La pronuncia, ribadito come la truffa non sia un reato di pericolo “poiché, a differenza di altre ipotesi criminose che pure offendono il

patrimonio per le quali basta una situazione di pericolo, l’evento consumativo risulta esplicitamente tipizzato in forma di conseguimento del profitto con il danno altrui”, afferma che “l’elemento del danno, proprio in virtù dell’evento consumativo che caratterizza tipicamente la realizzazione della fattispecie criminosa, deve avere necessario contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre – mediante la “cooperazione artificiosa della vittima” (...) - la perdita definitiva del bene da parte della stessa”350.

Va detto però come tale concezione, fondata sul riconoscimento del danno in senso oggettivo in luogo dell’accezione di carattere soggettivo351, sia stata recentemente integrata e perfezionata da alcuni criteri soggettivi di

valutazione del danno incentrati sull’utilità personale della

controprestazione del soggetto ingannato al fine di ottenere una soluzione più aderente alle esigenze di tutela richieste dalla realtà352.

Questa sorta di parziale “dematerializzazione” del danno è stata attuata dalla giurisprudenza con particolare riferimento alle ipotesi di truffa contrattuale per quelle fattispecie in cui il soggetto raggirato riceve una controprestazione economicamente equivalente o proporzionale alla propria, ma inidonea a soddisfare un suo bisogno personale353.

350

Cass., sez. Un., 16 dicembre 1998.

351

Si tratta delle ipotesi di acquisto di beni o di servizi inutili per l’acquirente e pagati al loro affettivo valore di mercato: l’atto dispositivo compiuto in seguito agli artifici e raggiri può integrare il reato di truffa? La risposta affermativa dei sostenitori della lettura del danno in chiave “soggettiva”, è criticata in quanto secondo simile soluzione sarebbe danno tutto ciò che viene avvertito come tale dalla vittima e quindi tutto ciò che appare rilevante alla stregua della mera utilità subiettiva dell’atto dispositivo indipendentemente dall’effettivo depauperamento patrimoniale, si assisterebbe ad un’eccessiva estensione della portata della norma.

352

Al riguardo A. ALBAMONTE, Riflessioni in tema di danno patrimoniale nel delitto di truffa, in

Giust. Pen., 1973, II, 709, parla di “canone oggettivo ponderato”.

353

In tale ricostruzione, viene respinto l’indirizzo più rigoristico che, sempre in tema di truffa contrattuale, riconosce il danno nel nocumento alla mera libertà contrattuale. Esempio classico è quello del rappresentante che, mediante artifici e raggiri, fa acquistare e consegna ad un

143 La tendenza, ormai condivisa anche in dottrina354, è quella di valutare il danno come danno patrimoniale in senso “soggettivo” ma non “individualista”355: la deminutio patrimonii deve essere stimata alla stregua dell’utilità personale (a sua volta ancorata alla posizione individuale della vittima) ma ad opera di un “osservatore obiettivo e ragionevole”356.

Inoltre, in un’ottica di tutela che si rivolga anche al consumatore, una nozione del danno attenta anche ai profili soggettivi pare essere più appropriata, dato che si tratta di un individuo che, agendo per scopi estranei all’esercizio della sua attività professionale, adotta determinati comportamenti perseguendo in via primaria esigenze esistenziali, personali e quindi adotta decisioni difficilmente riconducibili nei rigidi confini di valutazioni squisitamente economiche ed oggettive.

Ora, nonostante la tutela penale prevista in materia di truffa interessi quegli artifici o raggiri che sfociano in un danno “effettivo”, mentre per la sanzionabilità dell’autore di una pratica commerciale ingannevole ricorre una tutela di tipo preventivo volta a colpire la condotta che è fonte anche di un danno “potenziale” (che può consistere tanto in una deminutio

patrimonii del consumatore che nella lesione della libertà di scelta e di

agire del consumatore), tra le due discipline si innesta un tratto comune. Infatti, l’osservatore obiettivo dell’evento che investe la sfera patrimoniale-personale della vittima della truffa deputato a valutare il ricorrere o meno del danno richiesto dall’art. 640 c.p. non è il generico uomo medio, ma sarà, di volta in volta, colui che possiede le peculiarità di un modello specifico ricostruito secondo le caratteristiche tipiche dei

commerciante una partita di merce superflua aggiunta a quella commissionata: i giudici hanno ritenuto che sebbene la cosa sia stata acquistata al giusto prezzo di mercato il danno penalmente rilevante consista nell’assenza di un’effettiva utilità della stessa per l’acquirente nonostante il denaro impiegato per il suo acquisto. In questo senso Cass. Pen., 20 settembre 1989; Cass. Pen., 1 marzo 1974.

354

F. ANTOLISEI e G. FIANDACA-E. MUSCO.

355 Si deve tener conto delle circostanze del caso concreto, tra cui la situazione patrimoniale della

vittima, l’attività da essa svolta, il fine in vista del quale, ingannato dal soggetto agente, pone in essere l’atto di disposizione patrimoniale, ma non al punto di dar peso ai meri “capricci” e all’arbitrio della vittima.

356

144 soggetti rientranti nella cerchia sociale/professionale cui la vittima della fattispecie concreta appartiene.

Parallelamente, l’idoneità a falsare in modo apprezzabile il comportamento economico del consumatore “medio” (art. 20, comma 2, cod. cons.) è per l’appunto valutata alla stregua di un parametro, variabile in funzione del singolo caso concreto, che viene costruito sulla base dei fattori sociali, culturali e linguistici e di quello che, in funzione di tali elementi, è il grado di attenzione e avvedutezza che normalmente sono ragionevolmente ritenute in suo possesso.