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3. L’elemento soggettivo: il dolo rilevante ai sensi dell’art 640 c.p

3.1. Quale dolo nelle pratiche commerciali ingannevoli?

Il dolo riveste un ruolo diverso e più labile per le condotte dei professionisti rientranti nella definizione di pratica commerciale dell’art. 20 cod. cons..

Sicuramente quando un professionista pone in essere una condotta, come ad esempio la mera proposta di un’offerta commerciale, agisce

intenzionalmente perseguendo nell’esercizio della sua attività,

imprenditoriale o artigianale che sia, uno scopo preciso composto dall’incremento del volume di affari, dalla realizzazione di un profitto economico, da una crescita della propria posizione nel settore del mercato di sua competenza.

Il soggetto agente pianifica e struttura in un preciso modo una determinata attività professionale al fine di ottenere il suddetto scopo primario e fin qui nulla di penalmente rilevante o eticamente riprovevole.

Ma quando il professionista adotta delle decisioni, delle strategie di marketing, dei comportamenti negoziali definibili come pratiche commerciali ingannevoli si può parlare di condotte dolosamente preordinate a ledere gli interessi dei consumatori?

Gli artt. 20, 21 e 22 cod. cons., nella definizione, rispettivamente, generale di pratica commerciale scorretta e specifica di azioni ed omissioni ingannevoli, non contengono alcun esplicito riferimento all’elemento soggettivo che deve contraddistinguere il comportamento del professionista ai fini della configurazione di una pratica illecita e sanzionabile.

Ed inoltre, come si è avuto modo di esaminare alla fine precedente capitolo, secondo i primi interventi dei giudici amministrativi sembrerebbe che ai fini dell’integrazione di una pratica commerciale ingannevole si

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150 possa prescindere da un’indagine sull’articolazione dell’elemento soggettivo essendo sufficiente la mera imputabilità della condotta in termini di coscienza e volontarietà.

Eppure, nonostante alcune pratiche scorrette siano integrate anche mediante condotte meramente negligenti, va detto che in talune ipotesi, e specialmente per alcune pratiche elencate nella black list dell’art. 23 cod. cons., l’elemento soggettivo gioca un ruolo determinante e differente a seconda che il professionista abbia operato dolosamente o per sola negligenza.

Alcune fattispecie sono descritte in modo così puntuale, ricorrendo all’uso di espressioni come “occultare”, “generare l’impressione”, “dare

l’impressione”, “dare la falsa impressione”, “fuorviare deliberatamente”,

da poter essere realizzate solo laddove l’autore si sia prefissato a monte un fine preciso (quanto meno strumentale all’obiettivo primario di natura prettamente economica): indurre in errore uno o più consumatori, condizionandone e limitandone la libertà di scelta, per conseguire un vantaggio economico.

E, proprio in funzione di tale disegno, adotterà intenzionalmente determinate tecniche, strumenti, strategie di marketing e agirà secondo precise modalità e tempistiche.

Di conseguenza, il “dolo” assume un ruolo che, a mio parere, è ben più pregnante di quello fino ad oggi riconosciuto e forse in determinate ipotesi dovrebbe essere esplicitamente individuato come uno dei tasselli portanti.

Inoltre, se il bene giuridico tutelato dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette è la libertà di autodeterminazione dei consumatori, non ci si può “accontentare” ed “arrestare” alla mera imputabilità della condotta, ma sarebbe opportuno assicurare un efficace intervento sanzionatorio punitivo che sprigioni un altrettanto efficiente effetto deterrente376 mediante la previsione di sanzioni amministrative calibrate, attraverso l’ingresso di significativi inasprimenti, in funzione della

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E cioè dissuadere i professionisti dalla commissione di ulteriori violazioni degli artt. 20-26 cod. cons..

151 maggiore gravità dell’infrazione dolosa (nonché attraverso una rigida limitazione delle cause di giustificazione).

Al riguardo, solo per citare alcune delle pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli contenute nella lista nera dell’art. 23 cod. cons.377, si pensi alla pratica prevista alla lett. a) che vede il professionista affermare, nonostante non sia vero, di essere firmatario di un codice di condotta378.

Ancora, la pratica descritta al n. 3) della lett. f) dell’art. 23, integrata dal professionista che prima invita all’acquisto ad un determinato prezzo “e

successivamente fa la dimostrazione dell’articolo con un campione379 difettoso, con l’intenzione di promuovere un altro prodotto”: qui è lo stesso

dato letterale della norma ad invocare quale requisito della fattispecie l’agire doloso (intenzionale) del professionista.

La lett. o), invece, concerne la promozione di “un prodotto simile a

quello fabbricato da un altro produttore in modo tale da fuorviare deliberatamente il consumatore inducendolo a ritenere, contrariamente al vero, che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore”. La definizione

di questa pratica commerciale non ne permette l’automatico riconoscimento come ingannevole, ma implica un previo necessario giudizio di scorrettezza poiché è proprio l’espressione “fuorviare deliberatamente” a richiamare l’elemento soggettivo del dolo che, allora, dovrà ogni volta esser provato ai fini dell’integrazione della fattispecie.

Ed è evidente, in tutte le ipotesi appena descritte, il labile confine con la condotta dolosa del reato di truffa e come, anche nelle pratiche previste alle lett. g), i), m), aa), bb) dell’art. 23 cod. cons., non sia possibile prescindere dal giudizio di contrarietà alla diligenza professionale e di idoneità all’inganno, ovvero da un’indagine puntuale dell’elemento soggettivo il

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La ratio su cui poggiano le pratiche ingannevoli descritte in tale elenco, permette di suddividerle in due sottogruppi: da un lato quello delle pratiche incentrate sull’”inganno dell’apparenza” (lett.

a)-d); h), i), l), n),o),r), s),aa)) e dall’altro quelle basate sull’ingannevolezza della propaganda. Con

riferimento a tale ripartizione si veda M. DONA, L’elenco delle pratiche considerate, cit., 196 e ss..

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Vedi retro.

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Si ricorda che ai sensi dell’art. 1522, comma 1, c.c., il campione è quel bene utilizzato nella cd. vendita a campione “deve servire come esclusivo paragone per la qualità della merce”.

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quale non può rilevare in termini di mera consapevolezza

dell’antigiuridicità della condotta.

La presunta ingannevolezza delle pratiche commerciali elencate dall’art. 23 non è certa e quindi non esime l’interprete dal giudizio in concreto della contrarietà della condotta alla diligenza professionale, la quale concorre nella composizione dell’elemento soggettivo che rileva in termini di dolo, e l’idoneità della condotta ad indurre in errore il consumatore380.

In conclusione, emerge la necessità di individuare ed affermare il giusto peso assunto dall’elemento psicologico nelle pratiche commerciali ingannevoli, in quanto spesso è proprio dalla sua forma e dalla sua intensità che dipende l’integrazione di determinate fattispecie.

In particolare, bisogna inquadrare la diversa portata decettiva della condotta mossa dal dolo in luogo della mera volontarietà dell’atto.

Il passaggio dalla semplice imputabilità della condotta alla sua intenzionalità costituisce uno step fondamentale ai fini di una corretta valutazione dei comportamenti dei professionisti che permetta di delineare in modo chiaro, univoco, avulso da sovrapposizioni o conflitti di tutele, fattispecie molto simili dal punto vista oggettivo e soggettivo, nonché ai fini di un efficiente trattamento sanzionatorio.

Detto questo, il “dolo” compare più o meno esplicitamente in materia di pratiche commerciali in un’altra veste che è quella del cd. dolus bonus.

Si tratta di una sottocategoria del dolo vizio che non integra il raggiro e che consiste nelle “generiche vanterie o nella iperbolica esaltazione della

propria prestazione” cui ricorre durante le trattative il contraente che

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M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche

commerciali scorrette, in Contratto e impresa, n. 1/2009, 117 e ss.; V. MELI, Le pratiche sleali ingannevoli, in I decreti legislativi sulle pratiche, cit., 110. Entrambi gli Autori rilevano una sorta di

“fallimento” dell’intento che ha determinato prima il legislatore comunitario e poi quello interno alla creazione delle cd. “liste nere” delle pratiche ingannevoli (art. 23 cod. cons.) e aggressive (art. 26). Infatti, esse contengono ipotesi che non è possibile considerare oggettivamente ed automaticamente scorrette, le quali invece necessitano di una valutazione peculiare che ne investa anche il profilo soggettivo. E’ stato dunque mancato l’obiettivo di dare maggiore certezza ai diritti dei consumatori, uniformità tra le legislazioni degli Stati membri ed efficienza all’azione delle Autorità preposte alla repressione delle pratiche commerciali scorrette mediante tale elencazione di divieti per se .

153 interagisce con una controparte particolarmente sprovveduta381 per convincerla a concludere un contratto382.

Nell’ambito della clausola generale che definisce la nozione di pratica commerciale “scorretta”, l’ultimo periodo dell’art. 20, comma 3 cod. cons.383, esclude dal novero delle pratiche scorrette la “pratica pubblicitaria

comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera”384.

In ambito consumeristico, il dolus bonus, sul quale mi riservo di tornare nel prosieguo della trattazione, è generalmente associato alla pubblicità cd. iperbolica che secondo la giurisprudenza è caratterizzata da affermazioni generiche “sulla superiorità di un prodotto rispetto ad altri attraverso

espressioni quali ‹‹il più››, ‹‹il vero››, l’‹‹unico››, ‹‹il solo›› ecc., che

381

Così V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con

asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001,

818.

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In tali ipotesi, il comportamento dell’autore delle dichiarazioni esagerate viene valutato alla stregua dei canoni della correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1337 c.c.. Sul dolus bonus C. M. BIANCA, Il Contratto, cit., 66 e in rapporto alla pubblicità F. GAZZONI, Manuale di diritto

privato, ESI, Napoli, 2009, 969.

383

Il comma 3 dell’art. 20 cod. cons., concerne la tutela dei soggetti ritenuti più vulnerabili, deboli e che quindi hanno bisogno di maggiore attenzione. Nello specifico la norma si rivolge a coloro che soffrono di infermità mentale o fisica e a quei soggetti che hanno un’età o un’ingenuità che li espone a un maggior numero di rischi.

384

D. PARROTTA, Escluse le dichiarazioni esagerate dal novero delle pratiche scorrette, in Guida

al Diritto, n. 39/2007, 28 e ss.. Non v’è chi non abbia rilevato, e criticato, la superfluità di tale

comma. Ad esempio G. DE CRISTOFARO, La nozione generale di pratica commerciale scorretta, in Pratiche commerciali, cit., 173, la riconosce come “del tutto inopportuna all’interno di una

disposizione finalizzata ad assicurare forme speciali di protezione ai consumatori più deboli, dal momento che proprio le affermazioni esagerate ed iperboliche sono quelle maggiormente idonee a distogliere i consumatori più vulnerabili dall’acquisire le informazioni e dal prendersi i tempi necessari per assumere decisioni ponderate e razionali”. Lo stesso Autore, poi, ritiene che la

disposizione sia ambigua sia per l’incertezza dei presupposti che permettono di riconoscere che una dichiarazione non vada “presa alla lettera”, sia per il dubbio circa il parametro, consumatore medio o consumatore vulnerabile, alla stregua del quale debba essere valutata la “riconoscibilità della

natura esagerata o non seria della dichiarazione”. Ancora, M. RABITTI, sub art. 20, in Le modifiche, cit., 157, e V. MELI, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., 103, osservano una

perplessità sull’utilità della norma poiché, da un lato, già la normativa dettata in materia di concorrenza sleale e di pubblicità hanno da sempre tollerato l’impiego di affermazioni non veritiere o iperboliche, ovvero il cd. dolus bonus, e, dall’altro, considerando che ove il mendacio è grossolano la scorrettezza della pratica commerciale sarebbe già esclusa dall’esito del giudizio sull’idoneità dell’inganno. Sul punto M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., 113, enuclea all’interno del dato testuale del comma 3 due distinzioni: da una parte la norma si riferirebbe alle pratiche pubblicitarie esagerate comuni, le quali sarebbero ammesse solo se legittime, e dall’altra parte vi sarebbero le pratiche inconsuete ammesse solo se “non destinate ad essere prese alla

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tuttavia configurano un illecito, avendo un mero valore di generica vanteria ed esagerazione”385.

Quando un messaggio è costruito su un’iperbole non potrebbe generare alcuna aspettativa nei suoi destinatari a causa della (presunta) riconoscibilità del contenuto “gonfiato”e proprio per tale motivo sarebbe innocua.