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La slealtà contrattuale avente ad oggetto la genuinità, la provenienza, le

5. La frode in commercio e la tutela del consumatore

5.1. La slealtà contrattuale avente ad oggetto la genuinità, la provenienza, le

la provenienza, le qualità dei prodotti alimentari e dei beni industriali

.

Particolarmente vicina alla salvaguardia dei diritti fondamentali dei consumatori si pone la fattispecie della frode sulla genuinità dei prodotti e in particolare dei beni alimentari disciplinata dall’art. 516 c.p. ai sensi del quale “chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come

genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032”.

La genuinità è fra le principali qualità che il consumatore si attende dai prodotti acquistati e per quanto riguarda quella “alimentare”, la quale è solitamente ripartita tra genuinità “naturale”466 e genuinità “formale”, l’attenzione del legislatore nella predisposizione della norma da prevalenza a quest’ultima accezione (anche detta “legale”) ovvero a quella fissata in apposite normative recanti l’indicazione delle caratteristiche e dei requisiti essenziali per qualificare un determinato tipo di prodotto alimentare467.

Tanto la frode in commercio quanto la frode sulla genuinità sono sì poste a presidio della lealtà e della chiarezza dei rapporti commerciali, ma ognuna secondo un’angolazione e uno scopo diverso con la conseguente possibile simultanea applicazione nella medesima vicenda: ciascuna delle due copre un diverso profilo comportamentale.

Dunque, se il soggetto agente mette in vendita o in commercio sostanze non genuine e al contempo tenta di consegnarle o riesce a recapitarle a

idoneo a caratterizzare un determinato prodotto e dunque esso tende a ricomprendere anche dati relativi all’origine e alla provenienza i quali sono ugualmente oggetto di valutazione e comparazioni da parte dei consumatori. Ma dato che il legislatore ha predisposto il testo dell’art. 515 c.p. scandendo singolarmente i tre concetti di “origine”, provenienza” e “qualità”, quest’ultima deve essere oggetto di un’interpretazione restrittiva.

466 E’ considerata tale la condizione del prodotto alimentare la cui condizione bio-chimica non sia

stata oggetto di intervento da parte dell’uomo e la composizione fisico-chimica è rimasta come quella con cui lo stesso si presenta in natura. Sul punto si vedano V. MANZINI, Trattato di diritto

penale italiano, Torino, 1987, IX, 250 e C. CORRERA, La difesa del consumatore, cit., p. 186-187.

467

187 determinati acquirenti egli risponderà ex art. 516 c.p. nonché del delitto tentato o consumato di frode in commercio ai sensi dell’art. 515 c.p.468.

In generale, una condotta integrante la cd. “fraudolenza commerciale” integra la consumazione del delitto di cui all’art. 515 c.p., o il delitto tentato laddove non sia stata avviata una specifica trattativa negoziale (oppure nel caso di mera detenzione per la somministrazione del bene469), ove riguardi un qualsiasi tipo di prodotto commerciale, mentre laddove lo stesso comportamento abbia ad oggetto sostanze alimentari integrerà il delitto consumato di cui all’art. 516 c.p.470.

Quest’ultimo articolo disciplina un illecito di pericolo che si consuma con la mera messa in vendita di un prodotto alimentare la cui genuinità sia venuta meno per azione dell’uomo o a causa di un processo di alterazione naturale, e non è richiesto il requisito della pericolosità delle sostanze non genuine per la salute471.

Un altro fattore che contribuisce a rassicurare il consumatore sulla qualità della merce che gli viene offerta è quello della “provenienza” concernente l’individuazione di quale rinomato, affidabile produttore abbia

468

In questo senso la recente dottrina e Cass. Pen., sez. III, 22 novembre 1961. In senso opposto F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 591, il quale contesta la simultanea applicazione delle due norme asserendo che ‹‹se la vendita o il tentativo di vendita ha luogo, si realizza la fattispecie

della frode in commercio››, poiché questa assorbirebbe il reato previsto dall’art. 516 c.p. esistendo

tra l’uno e l’altro un rapporto di progressione.

469

In questo senso si era espressa la Corte di Cassazione, sez. VI, con la pronuncia del 24 luglio 1980 n. 9238 dove si affermava che ‹‹il fatto di detenere per la vendita in un ristorante prodotti

surgelati non indicati come tali nella lista menù del giorno, costituisce tentativo di frode in commercio››. Ed ancora, con riferimento ai prodotti di genere alimentare la Cassazione ha affermato

che ‹‹Nell'ipotesi di esposizione alla vendita di salsicce confezionate con carne mista, mentre il

cartellino indicava la composizione con carne di solo suino, non è configurabile il delitto tentato di frode in commercio , di cui agli artt. 56 e 515 c.p., poiché gli atti idonei diretti in modo non equivoco devono concernere un inizio di contrattazione con un acquirente determinato, nè il reato di cui all'art. 13 l. 30 aprile 1962, n. 283, perché attiene ad un bene giuridico diverso (la pubblicità ingannevole) ed il cartellino non assolve a detta funzione. L'ipotesi criminosa sopra indicata appare qualificabile come delitto ex art. 516 c.p. (vendita di sostanze alimentari non genuine), poiché la genuinità è intesa in senso naturale e formale-giuridico e, nella fattispecie, il prodotto non è genuino e si è violata la previsione normativa che stabilisce una presunzione di confezionamento come carne suina›› (Cass. Pen., sez. III, 13 ottobre 1994).

470

Procedendo in questa direzione la Cassazione ha poi rinvenuto nell’art. 516 c.p. un ruolo “sussidiario” rispetto all’art. 515 c.p. volto a coprire e sanzionare le attività “preparatorie” di una futura frode in commercio e di quelle che nemmeno ne integrano gli estremi del tentativo (così Cass. Pen., sez. III, n. 6667 e n. 7843 del 1998).

471

Una specifica ipotesi di frode sulla genuinità dei prodotti alimentari è stata disciplinata autonomamente da parte dell’art. 4 d.l. 17 gennaio 1977, n. 3, convertito con modificazioni nella l. 18 marzo 1977, n. 63 concernente la frode in commercio realizzata mediante la vendita come fresca di carne scongelata o ripetutamente scongelata.

188 realizzato, elaborato o posto in essere l’atto di immissione sul mercato di un certo prodotto.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, sul piano penale tale aspetto qualitativo è in primis tutelato mediante la previsione della frode in commercio.

Ma accanto all’art. 515 c.p. ricorre l’art. 473 c.p. avente ad oggetto la repressione di quelle condotte fraudolente che precedono la distribuzione commerciale quali la contraffazione, l’alterazione o l’uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali472.

Qui il bene tutelato della pubblica fede si estrinseca come affidamento riposto dai consumatori su prodotti industriali, la cui provenienza è garantita da determinati e noti “marchi o segni distintivi”473.

Dunque, la norma tutela anche la stessa fiducia che i consumatori nutrono verso i mezzi, simbolici o reali, che hanno la funzione di contraddistinguere e garantire la circolazione dei prodotti industriali.

L’articolo enuclea quali segnali di “provenienza” il marchio e i segni distintivi474.

Sebbene il marchio rilevi sotto tre distinte funzioni, ovvero quella distintiva della provenienza del prodotto, una funzione distintiva dei suoi requisiti qualitativi ed una funzione persuasiva o suggestiva, l’art. 473 c.p. mira a preservare il marchio come “indicatore” della “provenienza”.

472

Il testo della norma afferma che ‹‹chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi,

nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 2.065. Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati››.

473

Ambedue le condotte previste dai due commi si configurano come reato di pericolo concreto, posto che non si richiede la lesione della fede pubblica: non è, cioè, necessario un effettivo collegamento tra attività illecita e percezione della stessa da parte dei destinatari, ossia del pubblico. L'integrazione dell'elemento oggettivo richiede invece la specifica attitudine offensiva della condotta, vale a dire l'effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori.

474

T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, 1960, 395, raggruppa sotto i segni distintivi “la ditta, l’insegna e il marchio”, mente R. FRANCESCHELLI, Sui marchi

d’impresa, Giuffrè, 1969, 3, li definisce come ‹‹un insieme di mezzi e strumenti adoperati nello svolgimento dei rapporti di produzione, commercio, distribuzione di beni o di servizi e , più in generale, nello svolgimento di un’attività di impresa per designare, individuare o distinguere gli elementi o i momenti più interessanti o tipici di tale attività››.

189 Dal punto di vista oggettivo le condotte che integrano il delitto in esame sono: i) la ‹‹contraffazione››, consistente in una pedissequa ed anche solo parziale riproduzione di tutti gli elementi del segno distintivo (o almeno dei suoi elementi essenziali) in modo tale da recare confusione in ordine alla provenienza dei prodotti475; ii) l’‹‹alterazione››, data dalla modificazione di uno o più elementi del marchio genuino476; iii) l’‹‹uso›› di marchi contraffatti o alterati (senza aver contribuito alla loro contraffazione) e quindi tutte le possibili modalità di impiego del marchio falsificato che non siano appositamente previste dall’art. 474 c.p.477 .

La fattispecie dell’art. 473 c.p. si pone poi in stretto rapporto con un'altra frode ossia quella disciplinata dall’art. 517 c.p.478 riguardante la vendita di prodotti industriali con segni mendaci.

Anche questo reato a dolo generico costituisce un illecito di pericolo dove non è necessario che l’inganno si realizzi in concreto ma è sufficiente che esso possa essere determinato da una mera imitazione479, la cui incriminazione mediante un’apposita previsione legislativa mira a garantire sia la correttezza degli scambi e dei rapporti economici sia la difesa degli interessi dei consumatori.

475

Come osserva A. AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffrè, 2003, 265, la confondibilità è oggetto di un giudizio di fatto che deve tener conto anche delle caratteristiche, della diligenza e dell’accuratezza propria della categoria di consumatori destinatari del prodotto con marchio genuino e del prodotto con marchio contraffatto, in quanto ‹‹è evidente l’impossibilità di ipotizzare una

figura di consumatore medio, riferibile ad ogni specie di prodotto››. Lo stesso Autore osserva come

il consumatore, non avendo la contemporanea visione del marchio autentico e di quello contraffatto, non possa che affidarsi alla sua memoria dove sono rimasti impressi gli elementi di maggior risalto che compongono il segno distintivo ed allora dichiara di non condividere l’orientamento giurisprudenziale che richiede che la confondibilità emerga da un esame diretto ed attento.

476

Il legislatore ha preso in considerazione anche l’alterazione e la contraffazione di disegni, brevetti o modelli industriali.

477

La norma si pone in un rapporto di sussidiarietà rispetto all’art. 473 c.p. poiché sanziona chiunque, fuori dai casi di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali, pone in commercio nel territorio nazionale gli stessi prodotti industriali che sono stati alterati o contraffatti nei loro segni distintivi o nei marchi attraverso una precedente attività fraudolenta realizzata all’estero e ad opera di soggetti terzi.

478 La norma recita ‹‹chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno

o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine , provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a ventimila euro››.

479

Ai sensi dell’art. 517 c.p. non è necessaria un’attività di contraffazione o alterazione del marchio o di altro segno essendo sufficiente la semplice imitazione o qualunque altra attività che generi una mera somiglianza tra i nomi, o i marchi, o i segni distintivi, genuini e mendaci.

190 Il mendacio fonte del possibile inganno, differentemente dall’art. 473 c.p., può avere ad oggetto oltre ai marchi, compresi quelli non registrati, qualunque altro segno, forma, colore, emblema, dicitura, immagine480, o il luogo di fabbricazione481 che permetta al consumatore di cadere in errore al momento del collegamento mentale con cui associa il prodotto a determinate qualità o ad una determinata provenienza aziendale o origine geografica482.

Le condotte che integrano tale delitto sono costituite dalle azioni con cui il prodotto contrassegnato in modo mendace viene messo in vendita o in circolazione: sono dunque sufficienti sia la giacenza dei prodotti nei luoghi di deposito, nei magazzini483, sia qualunque altra attività prodromica alla vendita o idonea a mettere in contatto il bene con il pubblico dei consumatori.

480

‹‹In tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, la riproduzione di una figura o di

un personaggio di fantasia di per sé costituente marchio o segno distintivo del prodotto (cosiddetto marchio figurativo) impone, ai fini della configurabilità del delitto di cui all' art . 517 c.p., che detta raffigurazione sia idonea ad ingenerare in qualche modo confusione nei consumatori in ordine ad una determinata origine, provenienza o qualità della merce risultante dal marchio apposto e regolarmente registrato›› (così Cass. Pen., sez. III, 9 aprile 2008, n. 27986).

481

Cass. Pen., sez. III, 10 gennaio 2010, n. 15374, afferma che ‹‹in tema di reato di vendita di

prodotti industriali con segni mendaci dì cui all' art . 517 c.p., l'imprenditore non ha l'obbligo di indicare sull'oggetto quale sia il luogo di fabbricazione dello stesso, ma qualora tale indicazione sia apposta, la falsità della stessa è idonea di per sé sola a trarre in inganno sull'origine del prodotto››.

482

A differenza dell’art. 473 c.p., dove l’inganno viene realizzato mediante marchi o segni falsi, l’art. 517 c.p. ha ad oggetto marchi non veri, poiché non sono la copia di un marchio registrato altrui, che sono idonei ad ingannare i potenziali acquirenti sulle origine, la provenienza e le qualità dei prodotti.

483

Cass. Pen., sez. III, 18 dicembre 2008, n. 3479, afferma infatti che ‹‹In tema di delitti contro

l'industria e il commercio, il deposito nel magazzino dei prodotti finiti di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, è atto idoneo diretto in modo non equivoco a commettere, nel caso di vendita all'ingrosso, il reato di frode nell'esercizio del commercio, in quanto indicativo della successiva immissione nel circolo distributivo di prodotti aventi differenti caratteristiche rispetto a quelle dichiarate o pattuite››.

191