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4. The Remains of the Day: la versione cinematografica.

4.2. Illuminazione e punto di vista.

La seconda macrosequenza si apre con la macchina da presa che effettua una panoramica ruotando in senso orizzontale535, da sinistra verso destra, per seguire il

531 G. CANOVA, op. cit., p. 242.

532 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 112. 533 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 227. 534 R. COWDERY, K. SELBY, op. cit., p. 15. 535 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 94.

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movimento di una cameriera che trasporta dei vassoi ricolmi di cibo dalla cucina alla tavola dove hanno preso posto gli altri membri dello staff di Darlington Hall, inquadrati tramite un campo medio, che circoscrive l’ambiente e vi inserisce i vari personaggi, i quali occupano circa metà dell’altezza dell’immagine536. La composizione è perfettamente simmetrica,537 perché la posizione centrale, che corrisponde al capo della tavola, è occupata da Stevens, e ai due lati dell’immagine, corrispondenti ai due lati della tavola, sono posizionati, alla sinistra dello spettatore, i membri maschili dello staff, mentre i membri femminili si trovano sulla destra. Si tratta di una collocazione rigidamente gerarchica, per cui più i personaggi sono seduti lontano da Stevens, meno prerogative hanno nella gestione della casa. Miss Kenton, ad esempio, che è il capo delle domestiche, è posizionata subito alla sinistra del maggiordomo.

Una menzione particolare, in questa sequenza, merita la luce. Come il colore, essa è già presente sul set sotto forma di luce naturale, ma è la composizione complessiva dell’inquadratura che definisce l’intensità e la funzione della fonte luminosa538. Pertanto, la luce viene collocata tra la dimensione profilmica dell’inquadratura (tutto ciò che sta davanti alla telecamera per essere ripreso) e la componente filmica (l’atto di organizzare il materiale profilmico in un’immagine)539,

in quella che viene definita dimensione “interfilmica”, una zona di confine tra filmico e profilmico. In un film, la luce dipende dalla disposizione delle fonti luminose sul set, dalla loro qualità e intensità, dalla sensibilità della pellicola che si usa per riprendere e dalla scelta dei filtri e degli obiettivi. Essa è, comunque, sempre il frutto di una scelta, di una disposizione: si può anche scegliere di usare solo la luce naturale, per dare un maggiore senso di integrità e di adesione alla realtà540. Quella impiegata in questa scena di The Remains of the Day, a mio parere, è una luce low key, ovvero una luce molto bassa541. La sala dove lo staff è riunito appare infatti moderatamente buia, ma questo non crea un’atmosfera cupa, bensì rafforza il piacere della convivialità. Tutti, infatti, sono allegri, si sentono a proprio agio, ridono e condividono

536 Ibidem, p. 76.

537 R. COWDERY, K. SELBY, op. cit., p. 18. 538 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 68. 539 Ibidem, p. 59.

540 Ibidem, pp. 68-69.

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aneddoti in modo informale, e l’abbondanza delle pietanze consumate dimostra che, a Darlington Hall, anche la “servitù” vive bene.

Le uniche fonti luminose visibili sono due lampadari collocati esattamente sopra la tavola e due lampade poste a maggiore distanza. I due lampadari svolgono la funzione della luce principale, la key light, secondo una tripartizione comunemente impiegata nella prassi hollywoodiana. La luce principale è la più intensa e mette in rilievo gli elementi principali della scena. Di solito, è impiegata anche la fill light, che gerarchizza gli elementi e dà loro rilievo plastico, riempiendo o ammorbidendo le ombre della key light. La fill light, infatti, è meno potente della luce principale e si trova vicino alla macchina da presa. La terza luce è la back light, che, trovandosi dietro gli elementi principali, li stacca dal fondo, conferendo alla scena profondità spaziale542. Si vede chiaramente come la luce dei due lampadari, essendo questi le fonti luminose principali, scolpisca i vari membri dello staff. In questa scena, infatti, i personaggi sono inquadrati, mentre dialogano, tramite la “mezza figura”, ovvero dalla vita in su543, fatta eccezione per Stevens, ripreso in primo piano. I loro volti, in particolare quello del maggiordomo, sono illuminati dall’alto per dare risalto all’espressione facciale, mentre il resto dell’ambiente, di cui si può comunque scorgere qualche dettaglio, rimane nella penombra.

In questa sequenza, Stevens introduce il concetto di “dignità” su cui si sofferma la prima parte del romanzo. Charlie, uno dei ragazzi più giovani dello staff, ammette di voler diventare maggiordomo così da poter “sit in my own pantry by my own fire, smoking my cigar”. Stevens spiega che essere un great butler significa e

542 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., pp. 69-70. 543 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 79.

Figura 2: il pasto dei membri dello staff inquadrato tramite un campo medio.

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richiede molto di più di quanto affermato da Charlie, e subito viene interrotto da Mr Stevens, il quale riporta prontamente la definizione di great butler che si trova, come nel romanzo, in A Quarterly for the Gentleman’s Gentleman. Tale definizione nel testo compare come “The most crucial criterion is that the applicant be possessed of a dignity in keeping with his position” (p. 33), nel film come “A great butler must be possessed of dignity in keeping with his position”. Nel romanzo, Stevens racconta in terza persona l’episodio della tigre e del maggiordomo, che dimostra come il padre sia la personificazione di tale ideale di “dignità”, e nel film lo stesso episodio viene raccontato in prima persona da Mr Stevens, mentre tutti gli altri commensali lo guardano con stupore. Il racconto, nell’adattamento, ha chiaramente un intento edificante, soprattutto per i membri più giovani dello staff, infatti Stevens afferma in tono compiaciuto: “That’s the ideal, Charles, that we should all aim for. Dignity”. In una singola scena si riescono a rendere sullo schermo dei passaggi che nel romanzo sono sia riflessivi, perché Stevens vi spiega al lettore cosa significhino i concetti di “dignità” e di great butler, sia narrativi, perché il maggiordomo vi riporta la storia della tigre raccontata dal padre. Viene quindi messo in atto un lavoro di “condensazione”, perché non è necessario tenere a mente ogni particolare del testo originale, che esercita la sua influenza in modo indiretto, ma bisogna ricordarne il movimento d’insieme, la totalità del significato544, ovvero è sufficiente ricordarsi che,

nel romanzo, Stevens riflette sul valore della “dignità” e riporta l’aneddoto della tigre e del maggiordomo.

Il regista è riuscito, in questo modo, anche a delineare nel dettaglio il personaggio di Mr Stevens e, soprattutto, il suo carattere di uomo ligio ai doveri e ai valori imposti dalla sua professione. La vecchiaia gli impedisce, tuttavia, di svolgere al meglio i compiti che gli spettano, e ciò si nota soprattutto nella scena successiva, in cui Mr Stevens, indaffarato nella pulizia dell’imponente scalinata di Darlington Hall, è costretto momentaneamente a interrompere il lavoro, perché troppo affaticato. Nel tornare, probabilmente, nella sua stanza, tuttavia, dimentica la porta aperta e gli arnesi sulle scale. Nell’analisi di questa scena è importante sottolineare l’angolazione della macchina da presa, ovvero il rapporto tra la posizione della macchina stessa e la scena inquadrata. Va segnalato, innanzitutto, che “ogni mutazione del punto di vista rispetto al piano di base è già l’esplicito segno del lavoro di un’istanza narrante che mira a

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conferire un particolare valore all’oggetto rappresentato”545. Il cinema delle origini

impiegava spesso le inquadrature frontali, che, però, impediscono una piena partecipazione emotiva546. Mr Stevens, nella suddetta scena, viene inquadrato dall’alto, quindi la macchina da presa si trova in una posizione sopraelevata rispetto al soggetto ripreso, e questo permette allo spettatore di sentirsi più potente rispetto al soggetto stesso547. Ciò è particolarmente funzionale perché Mr Stevens è anziano e vulnerabile, e il regista, facendogli compiere il primo, piccolo errore, sta mettendo in guardia il pubblico sul deperimento delle condizioni di salute dell’uomo e, allo stesso tempo, vuole suscitare compassione. L’angolazione dall’alto, qui, ha anche la funzione di mostrare esplicitamente che, in quel dato momento, Mr Stevens si sta occupando della pulizia della scalinata. Se il regista avesse scelto una visione frontale, ad esempio, non si vedrebbero chiaramente gli utensili impiegati dall’uomo e si rischierebbe di non capire di cosa egli si stia occupando.

Figura 3: esempio di angolazione dall'alto.

Nel film lo spettatore vede in prima persona gli errori commessi dall’anziano maggiordomo, non si deve affidare alla memoria di Stevens per recuperare i commenti fatti dagli altri personaggi sulle distrazioni del padre, come avviene, invece, nel romanzo. Ciò significa che il film presenta gli eventi in modo oggettivo548, nel senso che non c’è un punto di vista particolare e non ci si focalizza su un determinato personaggio. Tuttavia, nei film è presente un’istanza paragonabile al narratore letterario, definibile “narratore invisibile”, la cui presenza è essenziale e il cui compito

545 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 89. 546 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 77. 547 R. COWDERY, K. SELBY, op. cit., p. 51. 548 J. KARLSSON, op. cit., p. 10.

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è quello di mostrare, far sentire e, soprattutto, narrare549. La resa di una strategia

tipicamente narrativa come la focalizzazione diventa, in un film, un compito complicato che si cerca di semplificare affermando che il punto di vista, in un film, è fisso e determinato una volta per tutte perché la macchina da presa deve necessariamente essere collocata da qualche parte, e alla sua posizione corrisponde l’agente da cui si focalizza550. Molti credono che “film does not describe at all but

merely presents; or better, it depicts, in the original etymological sense of that word: renders in pictorial form”551. In questo senso, nei film non esisterebbe il punto di vista,

e ciò sembra confermato dall’espressione camera eye usata nella teoria letteraria per descrivere una narrazione non-focalizzata, neutrale, per trattare la quale si prende come esempio, di solito, lo stile di Hemingway552. È interessante il fatto che, per spiegare una strategia letteraria, si ricorra al mondo del cinema e alla metafora della macchina da presa. I teorici che impiegano questa metafora, però, vedono la stessa macchina da presa come un semplice strumento che copia oggettivamente la realtà senza cambiarla. Questo utilizzo dell’espressione camera eye rischia di rivelarsi impreciso, perché, spesso, ciò che viene mostrato dalla telecamera è anche ciò che un personaggio vede in prima persona, quindi non c’è sempre neutralità e oggettività553.

Secondo Brian McFarlane, tutti i film sono onniscienti e oggettivi, anche quando viene impiegato l’espediente della voce fuori campo, e l’approccio più adatto a rappresentare il punto di vista nei film è la restricted consciousness, con la quale si sceglie un personaggio da cui osservare le vicende554.

La focalizzazione è una strategia che si costruisce attraverso la relazione tra l’istanza narrante, il personaggio e lo spettatore. Tuttavia, è l’istanza che sa tutto e decide cosa dire, quando e come dirlo. Nei film, il discorso si complica proprio per la presenza delle immagini555, per cui “attraverso il mostrare un film ci fa sapere”556. Da queste premesse, François Jost sviluppa il concetto cinematografico di “ocularizzazione”, che viene accostato a quello di focalizzazione in letteratura e che serve per determinare il valore narrativo di ciò che viene mostrato dalla macchina da

549 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 21. 550 S. CHATMAN, op. cit., p. 132.

551 Ibidem, p. 128. 552 Ibidem.

553 F. JOST, op. cit., p. 72.

554 B. McFARLANE, Novel to Film: An Introduction to the Theory of Adaptation, cit., pp. 18-19. 555 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 42.

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presa557. La focalizzazione determina ciò che si sa, l’ocularizzazione ciò che si

vede558. Tra le due c’è un rapporto, che non è, però, di coincidenza, infatti “in un caso,

quello dell’ocularizzazione, io mi riferisco al vedere, implicando il sapere che questo vedere può comportare, e nell’altro, quello della focalizzazione, io mi riferisco al sapere, implicando il vedere che può essere fra le cause di questo sapere”559.

Come la focalizzazione, anche l’ocularizzazione può essere suddivisa in ocularizzazione zero e ocularizzazione interna. Si osserva l’ocularizzazione zero quando le immagini non vengono viste da un’entità facente parte della diegesi560, non sono riconducibili a nessun personaggio e c’è, quindi, un punto di vista anonimo. Ogni film, infatti, filtra gli eventi attraverso la visione di un osservatore invisibile, una sorta di silenzioso testimone oculare, mentre la macchina da presa è un occhio con cui si identifica lo sguardo dello spettatore561.

L’ocularizzazione interna, invece, permette allo spettatore di identificare il suo punto di vista con quello di un personaggio, vedendo, di conseguenza, ciò che egli stesso vede562. Essa si suddivide ulteriormente in ocularizzazione interna primaria, che reca le tracce di chi guarda rinviando a situazioni come lo sguardo di un personaggio miope o immagini in movimento che segnalano, a loro volta, un personaggio in movimento, e ocularizzazione interna secondaria, la quale alterna un’immagine che mostra chi guarda a un’immagine che mostra chi ascolta563.

È in questo modo che viene resa la soggettività in un film, in quanto essa dipende, appunto, “dall’atto di legare l’inquadratura a un personaggio”564. Si hanno

anche altre distinzioni, ad esempio la soggettiva diretta, che corrisponde all’ocularizzazione interna, e che consiste nell’osservare attraverso gli occhi di un personaggio, e la semi-soggettiva, in cui la macchina da presa si colloca in una posizione non identica, ma molto simile a quella del soggetto, ad esempio dietro la sua spalla565. È però la cosiddetta “oggettiva” ad essere maggiormente impiegata nei

557 F. JOST, op. cit., p. 74.

558 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 43. 559 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 45. 560 F. JOST, op. cit., pp. 75-76.

561 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 40. 562 Ibidem, p. 43.

563 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 44. 564 A. SAINATI, M. GAUDIOSI, op. cit., p. 133. 565 Ibidem, pp. 133-34.

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film, perché ci permette di vedere il volto dei personaggi su cui si dipingono i segni delle emozioni566.

L’adattamento di The Remains of the Day, a mio parere, è realizzato quasi interamente facendo ricorso all’ocularizzazione zero, in quanto le immagini non sono viste tramite lo sguardo di un personaggio che fa parte della diegesi, ma c’è un occhio esterno, il “narratore cinematico”567 o quello che, in precedenza, abbiamo definito “narratore invisibile”. Sono presenti, tuttavia, alcune immagini in cui è stata impiegata l’ocularizzazione interna.

Figura 4: esempio di ocularizzazione interna o soggettiva diretta.

Una di queste si trova nella scena in cui Miss Kenton ha appena avvertito Stevens dell’ennesimo errore del padre e i due iniziano a discutere futilmente, come fossero dei bambini. Appena la domestica esce dalla stanza in cui si trova Stevens e decide di aspettarlo fuori dalla porta, il maggiordomo osserva la donna attraverso il buco della serratura. Per qualche secondo anche lo spettatore può godere della scena dallo stesso punto di vista di Stevens, perché, al centro della visuale, corrispondente al centro della serratura, di cui si nota chiaramente la forma, si vede Miss Kenton: gli occhi del maggiordomo, in poche parole, corrispondono alla macchina da presa. Nello specifico, questa scena è ripresa attraverso un’ocularizzazione interna primaria, perché le immagini presentano lievi oscillazioni che riflettono i piccoli movimenti eseguiti inconsciamente da Stevens nell’atto di osservare Miss Kenton. Il maggiordomo si trova all’altezza della serratura, pertanto si è dovuto abbassare, azione che si può osservare nell’immagine precedente, perciò, in una tale posizione e da un punto di vista così “innaturale”, è pressoché impossibile riuscire a rimanere completamente fermi. L’immagine si può anche definire “soggettiva stilistica”, poiché reca il marchio della soggettività, sottolineato dalle oscillazioni e dai movimenti della

566 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 112. 567 F. JOST, op. cit., p. 76.

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macchina da presa568. Per realizzarla è stata impiegata la cosiddetta “macchina a

mano”, cioè la macchina da presa non più fissata sul cavalletto, ma tenuta tra le mani o sulle spalle dell’operatore569. Il movimento, infatti, non è fluido, ma, al contrario, è

irregolare, come evidenziato dalle lievi oscillazioni.

In un segmento della scena, la musica svolge una funzione particolare, in quanto sottolinea il movimento e le azioni dei personaggi. Appena Stevens apre la porta e percorre le scale che lo conducono da Miss Kenton, ancora in attesa, lo spettatore sente degli archi che suonano brevi note dalla tonalità sempre crescente, che si interrompono quando la domestica si rivolge nuovamente al maggiordomo. Le brevi note, interrompendosi quando raggiungono la tonalità più alta, comunicano la sensazione che ci sia qualcosa in sospeso nella narrazione, che la scena non sia terminata, e, soprattutto, sottolineano il passo lesto con cui Stevens si appresta a uscire dalla stanza, nonché l’impetuosità con cui Miss Kenton si rivolge a Stevens.

La tabella nella pagina seguente (Tabella 2) mostra, ove presenti, le differenze stilistiche nel dialogo tra Stevens e Miss Kenton all’interno della scena presa in esame. Tranne in un caso (riga 4), in cui il dialogo si mantiene identico, i cambiamenti sono di minima portata. Si è in presenza di un avvenimento cruciale nella narrazione, poiché Miss Kenton permette a Stevens di aprire gli occhi sulle reali condizioni di salute del padre, in una scena che anticipa i risvolti successivi della vicenda. Ritengo, pertanto, che l’aderenza al romanzo si manifesti con maggiore consapevolezza in occasione di eventi che fungono da colonne portanti per la struttura sia del romanzo che dell’adattamento.

Il deterioramento di Mr Stevens è presentato in un climax ascendente di inquadrature pregnanti, tra cui un dettaglio, ovvero una singola parte del corpo descritta da molto vicino570, sul naso del personaggio, da cui cade una goccia proprio nel momento in cui Mr Stevens è impegnato a servire Lord Darlington, durante un’importante cena diplomatica. È chiaro che, se la macchina da presa avesse inquadrato la scena da lontano, lo spettatore non si sarebbe mai accorto del particolare, il quale indica la spossatezza del maggiordomo e, di conseguenza, non avrebbe mai provato la stessa compassione suscitata, invece, da una visione ravvicinata.

568 G. RONDOLINO, D. TOMASI, op. cit., p. 109. 569 Ibidem, p. 122.

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Tabella 2

Il picco del climax si raggiunge nella scena in cui Mr Stevens, mentre trasporta un vassoio, inciampa e cade. Per non esaurire il segmento in pochi secondi, per dargli la rilevanza necessaria e per sottolineare la sua funzione di “punto di svolta” nelle condizioni di Mr Stevens e nella narrazione, viene impiegato lo slow motion. Questo espediente, in narratologia, viene chiamato “estensione”, e si verifica quando il tempo del racconto è maggiore del tempo della storia. Con lo slow motion la velocità rallentata impone che il tempo filmico abbia una durata maggiore rispetto al tempo

Romanzo Adattamento

1 “Miss Kenton, I am very busy. I am surprised you have nothing better to do than stand in corridors all day”

“Miss Kenton, I’m very busy, and I’m surprised that you have nothing better to do than stand around all day”

2 “Mr Stevens, is that the correct Chinaman or is it not?”

“Mr Stevens, look at that Chinaman and tell me the truth”

3 “Miss Kenton, please keep your voice down. What would employees below think to hear us shouting at the top of our voices about what is and what is not the correct Chinaman”

“Miss Kenton, I would ask you to keep your voice down. What would the other servants think to hear us shouting at the top of our voices about Chinamen”

4 “And I would ask you, Mr Stevens, to turn around and look at that Chinaman”

“And I would ask you, Mr Stevens, to turn around and look at that Chinaman”

5 “It will not be long before your father commits an error of major proportions”

“You must recognize this before he commits a major error”

6 “I believe there are many duties your father should now be relieved of”

“Your father should be relieved of a number of his duties for his own good”

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diegetico571, enfatizzando, quindi, la scena rappresentata nel mondo diegetico. La

preoccupazione principale di Mr Stevens non è di essere appena caduto e di aver riportato qualche lieve trauma, ma “The silver”, ovvero l’implicita possibilità di aver svolto male il proprio lavoro per colpa della caduta.

Mentre a Darlington Hall fremono i preparativi per la conferenza internazionale organizzata da Lord Darlington, un’unica, significativa inquadratura di