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Prima di addentrarmi nell’analisi della versione cinematografica di The Remains of

the Day, vorrei intrattenermi sulla nozione di adattamento e sui problemi relativi allo

studio dei film adattati dai testi letterari. Mi soffermerò anche sul rapporto tra un romanzo e la sua versione cinematografica, nonché sui luoghi comuni che spesso si incontrano quando si analizza tale relazione.

L’odierna industria del cinema prolifera di adattamenti realizzati soprattutto a partire da romanzi più o meno noti e più o meno apprezzati dall’opinione pubblica, ma, parlando anche più in generale, si può dire che “the desire to transfer a story from one medium or one genre to another is neither new nor rare in Western culture”397,

anzi si tratta di un’inclinazione dell’immaginazione umana. A discapito della diffusione del fenomeno degli adattamenti, però, gli adaptation studies sono emersi solo nel secolo scorso, precisamente negli anni Sessanta e Settanta, come una sorta di appendice ai Dipartimenti di Letteratura Inglese. All’epoca, si riteneva che la versione cinematografica di un determinato romanzo ne fosse una mera copia e distruggesse l’autenticità e l’unicità del testo letterario398. Nella Classic Hollywood Era (1930-

1948), tuttavia, la maggior parte dei film che venivano prodotti erano adattamenti di romanzi. In questi anni sono gli studi cinematografici e non i singoli registi o produttori ad essere considerati i creatori di un film. La cosiddetta auteur theory viene messa a punto per valorizzare il singolo autore e il film inteso come un’arte e non come un tipo di comunicazione di massa399, ma, in realtà, il “cinema d’autore” si afferma già a partire dagli anni Venti.

Gli auteurs e le compagnie hanno uno stile diverso, perciò l’adattamento di uno stesso testo letterario ha un risultato diverso a seconda di chi lo realizza400. La Merchant-Ivory, ad esempio, compagnia che ha prodotto l’adattamento cinematografico di The Remains of The Day, si è rivelata particolarmente adatta alla realizzazione di tale film, in quanto è conosciuta perché impiega attori britannici che recitano la parte di personaggi che soffrono a causa di incomprensioni o conflitti e ambienta i propri film nel XX secolo, di solito nell’Inghilterra edoardiana. In questo

397 L. HUTCHEON, “On the Art of Adaptation”, in Daedalus, 133, 2, 2004, p. 108.

398 D. TECUCIANU, “Fiction to Film: The Everlasting Insistence on Fidelity”, in Research and Science

Today, 1, 7, 2014, p. 178.

399 K. D. EDWARDS, “Brand-name Literature: Film Adaptation and Selznick International Pictures’

Rebecca (1940)”, in Cinema Journal, 45, 3, 2006, pp. 32-33.

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modo, la compagnia basa la sua fama sulla produzione di film che, avendo tutti lo stesso stile, attirano un certo tipo di spettatori401.

Ma chi è l’adapter? Non è facile definire questo ruolo, perché la realizzazione di un film è un processo collaborativo, a cui partecipano le varie figure che lavorano all’interno di una casa di produzione cinematografica. Molti ritengono che l’adapter sia lo sceneggiatore, ma la questione non è così semplice perché spesso la sceneggiatura viene ripresa e modificata più volte, anche nella sala di montaggio e da persone diverse. Sono stati chiamati in causa anche il direttore e il compositore musicale: la musica è importante perché l’adattamento abbia successo, in quanto essa provoca reazioni ed emozioni nel pubblico, ma di solito il compositore lavora direttamente dal copione, non dal testo letterario di partenza, perché deve creare le musiche in basa alla durata delle scene e, non da ultimo, anche in base al budget. I costumisti e gli scenografi potrebbero rivolgersi direttamente al testo per trovare ispirazione, ma anche essi dipendono dall’interpretazione che il regista ha dato del copione, e quindi non possono essere considerati adapters. Gli attori cercano ispirazione nel testo letterario di partenza, soprattutto perché devono interpretarne e incarnarne i personaggi attraverso gesti, espressioni facciali e atteggiamento, ma, in realtà, ciò che essi adattano è la sceneggiatura. Molti hanno pensato che l’adapter, infine, possa essere il tecnico del montaggio, perché è lui, più di chiunque altro, che vede il film prendere forma402. Nessuno degli artisti, in realtà, può essere considerato

il primary adapter, in quanto “performance arts like film are, in fact, resolutely collaborative: as in the building of a Gothic cathedral, there are multiple makers and therefore arguably multiple adapters”403. Si può dire, però, che è allo sceneggiatore

che spetta il compito di iniziare il processo di creazione di un adattamento, mentre il regista si occupa di dare al testo adattato una nuova vita e la responsabilità del risultato finale, quindi, è la sua. Di conseguenza, “in a film the director and the screenwriter share the primary task of adaptation”404 e ci devono essere somiglianze a livello di

sensibilità tra l’adapter e l’autore dell’opera che si sceglie di adattare405. Gli studi

cinematografici non sono composti solo da produttori, ma anche da lettori, poiché chi

401 A. FREIHOLTZ, “A New Original: The Adaptation of The Remains of the Day”, Högskolan i Gävle,

2009, pp. 2-3.

402 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, A Theory of Adaptation, London and New York, Routledge, 2013,

pp. 80-83.

403 Ibidem, p. 83. 404 Ibidem, p. 85. 405 Ibidem, p. 108.

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vi lavora si deve confrontare con testi preesistenti basati su determinate strategie narrative e tecniche406 che, ovviamente, sono diverse da quelle impiegate nel mondo

del cinema. A sottolineare il lavoro di collaborazione insito nella realizzazione di un adattamento, quest’ultimo è stato definito come “a category in which a multitude of individuals, corporations, institutions and even cultural fields interact”407.

Il termine adaptation ha avuto già dagli esordi una connotazione negativa, che pone l’accento su ciò che viene perso piuttosto che sui risultati ottenuti408. Se gli

spettatori, infatti, si rendono conto che la storia originale è stata semplificata o “abbassata”, è probabile che la loro reazione al film sia negativa, ma è anche possibile che tale opinione sia basata sulle aspettative che un lettore, dopo aver apprezzato particolarmente un determinato testo, possa nutrire nei confronti del relativo film. Il fenomeno degli adattamenti, a discapito di tali pareri negativi, è tutt’altro che infecondo nella cultura occidentale, e, considerando che le statistiche del 1992 provano che l’85% dei film ad aver vinto l’Oscar sono adattamenti, si tratta anche di un fenomeno di successo409, non a caso l’epoca in cui viviamo può essere definita “the age of adaptation”410.

Nonostante queste rassicurazioni, sembra che ci sia una gerarchia tra medium, soprattutto tra film e letteratura, in cui i primi si trovano in una posizione inferiore rispetto alla seconda. È stato George Bluestone, pioniere degli adaptation studies, a parlare per primo, nel 1957, della compatibilità e, allo stesso tempo, dell’ostilità tra i due medium, ma tale situazione, in realtà, sopravvive ancora oggi. Quando uno spettatore va al cinema a vedere la versione cinematografica di un libro che ha letto, la frase che si sente ripetere più in continuazione è: “Nel libro questa scena era diversa”. Sembra, quindi, che ci sia il desiderio, da parte del pubblico, che i film siano come la letteratura, ma in questo modo non si riesce a cogliere ciò che di entusiasmante ha il cinema da offrire411: “the attitude of literary people to film adaptations of literary works is almost always to the detriment of the film, only grudgingly conceding what film may have achieved”412.

406 K. D. EDWARDS, op. cit., p. 33. 407 Ibidem.

408 D. TECUCIANU, op. cit., p. 179.

409 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., pp. 3-4. 410 L. HUTCHEON, op. cit., p. 109.

411 B. McFARLANE, “It Wasn’t Like That in the Book”, in Literature/Film Quarterly, 28. 3, 2000, p.

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Da quando sono emersi gli adaptation studies si è cercato di definire il concetto di adattamento, ma questo tentativo si è rivelato tutt’altro che facile, poiché con il termine adaptation si intende sia il prodotto finito che il suo processo di creazione e ricezione. L’adattamento, in qualità di prodotto, è stato paragonato a una traduzione: come non ci può essere una traduzione letterale, non ci può essere nemmeno una trasposizione cinematografica letterale. Così come le traduzioni sono un confronto col testo di partenza e ci permettono di vedere tale testo sotto una nuova luce, gli adattamenti sono rivolti a un medium diverso413, pertanto sono “re-mediations, that is, specifically translations in the form of intersemiotic transpositions”414.

In quanto processo, un adattamento consiste nell’appropriarsi della storia di un’altra persona e nel filtrarla attraverso la propria sensibilità e i propri interessi, compiendo, quindi, un lavoro di interpretazione prima e di creazione poi. Di solito, specialmente quando si adattano allo schermo romanzi di notevole ampiezza, gli

adapters compiono un’operazione di sottrazione e contrazione415.

In breve, si può dire che un adattamento è “a process of making the adapted material one’s own”416. Non si tratta, quindi, di copiare il lavoro di un’altra persona,

perché “the adapted text […] is not something to be reproduced, but rather something to be interpreted and recreated”417. Il piacere che il pubblico trae dall’adattamento

deriva dal riconoscere ciò con cui ha già familiarità perché lo ha incontrato nella sua veste originale, ma nel confrontarsi anche con le differenze presenti nella nuova versione418. Oltre al piacere, la “recognition and remembrance”419, soprattutto quando si tratta di riconoscere delle differenze, può provocare nello spettatore, paradossalmente, anche una sensazione di paura masochistica420.

Linda Hutcheon ha coniato la più accurata definizione di adaptation, ovvero “repetition but without replication, bringing together the comfort of ritual and recognition with the delight of surprise and novelty”421. Gli adattamenti derivano da

un lavoro precedente, ma, per questo, non sono da considerare come opere di secondo

413 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., pp. 15-16. 414 Ibidem, p. 16.

415 Ibidem, pp. 15-18. 416 Ibidem, p. 20. 417 Ibidem, p. 84. 418 Ibidem, p. 114.

419 L. HUTCHEON, op. cit., p. 111. 420 Ibidem.

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grado422 perché, al contrario, fanno sì che il lavoro di partenza rimanga vivo anche a

distanza di secoli dalla sua prima pubblicazione423, come succede nel caso dei classici.

Allo stesso tempo, però, gli adattamenti non sono storie o testi totalmente nuovi, ma sono un modo per raccontare al pubblico una storia preesistente in un modo alternativo424.

Ci sono tre procedimenti che si possono seguire per realizzare un adattamento. Innanzitutto, come entità formale o prodotto, gli adattamenti sono visti come trasposizioni di una determinata opera o di più opere, che possono interessare anche un cambiamento di medium o di genere. Come processo creativo, un adattamento innesca una re-interpretazione e una ri-creazione, spesso motivate dalla volontà di preservare un certo lavoro ritenuto interessante ma che non riesce più ad attirare un pubblico di lettori. Infine, come processo ricettivo, un adattamento è una forma di intertestualità, in quanto esso riecheggia altre opere a cui è legato e con cui il pubblico potrebbe avere già familiarità425.

Talvolta accade che gli adattamenti riscuotano più successo delle opere da cui nascono, come nel caso dei cartoni animati di Walt Disney, di cui non sempre si conosce la fonte. Questo dimostra che gli adattamenti sono opere autonome dal lavoro di partenza426. Anche l’adapter può diventare più famoso dell’autore dell’opera

originale, ricevendo così l’appellativo di auteur, infatti “Stanley Kubrick’s films, all of them similarly adaptations of literary source texts, are universally recognized as distinctively his”427. Per quanto riguarda il pubblico, invece, un adattamento innesca un processo dialogico in cui l’opera che già si conosce viene confrontata con la sua nuova versione428, e si tratta di un processo inevitabile e inconscio.

Cosa succede quando, come nel caso di The Remains of the Day, si adatta un film a un romanzo? Innanzitutto, bisogna dire che il cinema non è legato solo ad arti come la fotografia, il teatro e la musica, ma dimostra di avere un solido legame anche con la letteratura429. Inoltre, si parla spesso della vocazione letteraria dei soggetti

422 Ibidem, p. 169. 423 Ibidem, p. 176.

424 J. KARLSSON, “The Unreliable Narrator Caught on Film: A Comparison Between the Novel The

Remains of the Day and the Film Based on It”, Lunds Universitet, 2012, p. 2.

425 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., pp. 7-8. 426 J. KARLSSON, op. cit., pp. 2-3.

427 T. LEITCH, “Twelve Fallacies in Contemporary Adaptation Theory”, in Criticism, 45, 2, 2003, p.

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428 D. TECUCIANU, op. cit., p. 177.

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cinematografici, infatti “tanto la filmografia d’autore come quella popolare, italiana e straniera, si basano, in effetti, soltanto in minima parte su soggetti originali”430. Come

suggerito dalla definizione di Linda Hutcheon, “repetition without replication”, anziché considerare il testo di partenza come una “fonte”, lo si dovrebbe considerare come un intertesto, uno dei tanti su cui un film si può basare. La storia raccontata dal romanzo, infatti, è resa in modo diverso nel film, anche se mantiene una relazione, seppur non gerarchica, col testo di partenza. “Precedente”, in poche parole, non significa “migliore”431.

Sono stati individuati tre modes of engagement, ognuno dei quali consente di capire come si interagisce con le storie impiegando media diversi. Si può dire che il

telling mode riguarda la letteratura, lo showing mode il cinema e l’interacting mode i

videogiochi432. La trasposizione dal telling mode allo showing mode è quella più difficile, perché “a novel, in order to be dramatized, has to be distilled, reducted in size, and thus, inevitably, complexity”433 e, talvolta, “in some film adaptations,

original story lines are drastically altered, characters eliminated, condensed or combined”434. Sarebbe impossibile, infatti, per un film di un’ora e mezza o massimo

due ore, riuscire a trasporre nella sua interezza un romanzo di 500 pagine, ma l’adattamento deve almeno riuscire a cogliere l’essenza del testo concentrandosi sugli avvenimenti ritenuti più significativi. Alcuni dettagli andranno necessariamente perduti, ma se ne rileveranno altri435. Gérard Genette, parlando delle trasformazioni

che un testo letterario può subire, sviluppa il concetto di “escissione”, ovvero il processo di riduzione più semplice ma anche più brutale, che consiste nella soppressione di determinate sezioni del testo originale senz’altra forma di intervento ma senza necessariamente diminuire il valore dell’opera. Secondo l’autore, infatti, “leggere significa (bene o male) scegliere, e scegliere significa lasciare”436.

I critici danno raramente giudizi positivi quando si accorgono che, in un film, sono state tagliate diverse scene che, invece, sono presenti nel romanzo, ma a volte sono proprio tali selezioni a rendere la trasposizione cinematografica più potente. Gli autori stessi dell’opera che viene adattata, spesso, dimostrano di essere d’accordo con

430 Ibidem, p. 119.

431 D. TECUCIANU, op. cit., p. 180.

432 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., p. 22. 433 Ibidem, p. 36.

434 K. D. EDWARDS, op. cit., p. 32. 435 J. KARLSSON, op. cit., p. 1.

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i cambiamenti apportati nell’adattamento, anche se, ovviamente, ci devono essere delle valide motivazioni per addurre tali modifiche437. Nonostante la difficoltà del

trasporre un’opera letteraria in un film, il passaggio dal telling mode allo showing

mode è più diffuso di quello dallo showing mode al telling mode, detto anche novelization, che, di conseguenza, ha ricevuto minore attenzione anche dal punto di

vista accademico438.

Si è già detto che gli adattamenti, in generale, sono da considerare come lavori autonomi, ma, in particolare, “films based on literature represent autonomous works of art, possessing their own intrinsic value”439. È stato anche suggerito che “the precursor literary work is only an aspect of the film’s intertextuality, of more or less importance according to the viewer’s acquaintance with the antecedent work”440. È

necessario un “allenamento” letterario per poter parlare di cinema e, viceversa, serve un “allenamento” cinematografico per poter dare giudizi letterari. Soltanto in questo modo un film riesce a far sentire la propria voce in modo autonomo rispetto al romanzo da cui è stato adattato441.

Un adattamento serve anche come veicolo per portare la letteratura a un pubblico più vasto. Il film, anche per motivi legali, deve segnalare la propria identità di adattamento inserendo based on o adapted from e il nome dell’opera da cui deriva442. In questo modo, coloro a cui è piaciuto il film potranno anche scegliere di

leggerne il libro, anche se “there is an increasing distance from the adapted novel as the process moves from the writing of the screenplay to the actual shooting […] and then to the editing when sound and music are added and the entire work as a whole is given shape”443. Studiare la versione letteraria e la versione cinematografica della stessa storia può essere rivelatorio dei poteri dei due media, nonché delle differenze a livello di forma, contenuti e impatto emotivo delle due versioni444.

Bisogna dire che l’esperienza di fruizione della letteratura e del cinema è diversa: quando si legge un libro, si vedono le parole sulla pagina e si crea

437 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., p. 36.

438 F. JOST, “The Look: From Film to Novel. An Essay in Comparative Narratology”, in R. Stam, A.

Raengo (eds), A Companion to Literature and Film, Malden, Backwell Pub., 2004, p. 71.

439 D. TECUCIANU, op. cit., p. 179.

440 B. McFARLANE, “It Wasn’t Like That in the Book”, cit., p. 167. 441 Ibidem, p. 163.

442 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., pp. 120-21. 443 Ibidem, p. 83.

444 S. CHATMAN, “What Novels Can Do That Film Can’t (And Vice Versa)”, in Critical Inquiry, 7,

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un’immagine mentale dei personaggi o degli eventi. Nel film, invece, vengono presentate direttamente le immagini, che devono però essere unite mentalmente in modo che il film abbia senso445. Ci si può fermare durante la lettura di un libro, si possono rileggere o saltare dei passaggi, mentre con i film ciò non può essere fatto così facilmente, soprattutto se ci si trova al cinema, insieme ad altri spettatori. C’è un passaggio dall’immaginazione alla percezione diretta446.

Il cinema impiega strumenti diversi da quelli letterari per trasporre un’opera sullo schermo, ad esempio la colonna sonora e le immagini447. Per capire come un film crei il proprio significato bisogna essere capaci di dare un giudizio anche su questi aspetti448. Si crede, ad esempio, che la res cogitans, lo spazio della mente, che i testi letterari riescono a descrivere così bene, sia difficile da rappresentare sullo schermo perché il pubblico non lo deve percepire con la mente, attraverso la lettura, ma lo deve vedere con i propri occhi, nel mondo materiale449. La colonna sonora, invece, è, in un film, l’equivalente delle emozioni di un personaggio, della sua interiorità e, allo stesso tempo, provoca delle emozioni anche nello spettatore450: “music can supplement or replace what is lost when fiction’s introspection and reflection are transposed into a performance medium”451.

Tuttavia, cinema e letteratura hanno anche almeno due aspetti in comune. Il primo riguarda l’esperienza privata e individuale della lettura di un libro, che è molto più vicina all’esperienza domestica della visione di un DVD o della televisione, in confronto invece al teatro, che è un’esperienza pubblica, perché ci si trova in un luogo pubblico, insieme ad altri spettatori. Dato che si è di fronte a persone in carne ed ossa che si muovono su un palcoscenico, è diversa anche l’identificazione che si ha con gli attori: i film mediano la realtà per il pubblico e la presentano grazie alla tecnologia452. Il secondo aspetto che accomuna letteratura e cinema è la loro capacità di raccontare delle storie, ed è anche ciò che consente al fenomeno del cinema di avere successo453. Non a caso si parla di “narrazione cinematografica”, espressione con cui si indica una

445 J. KARLSSON, op. cit., p. 9. 446 L. HUTCHEON, op. cit., p. 110. 447 J. KARLSSON, op. cit., p. 3.

448 B. McFARLANE, “It Wasn’t Like That in the Book”, cit., p. 165. 449 L. HUTCHEON, S. O’FLYNN, op. cit., p. 14.

450 Ibidem, p. 23. 451 Ibidem, p. 75.

452 L. HUTCHEON, op. cit., p. 110.

453 B. McFARLANE, Novel to Film: An Introduction to the Theory of Adaptation, Oxford, Clarendon

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successione di unità legate da una trasformazione tale che da una situazione iniziale, la quale viene sconvolta da una perturbazione, si passa al ristabilimento di una nuova situazione. André Gaudreault, invece, individua due livelli di racconto nel cinema: il primo livello corrisponde al microracconto veicolato da ogni inquadratura, intesa come successione di singoli fotogrammi, il secondo livello, successivo al primo, articola, attraverso il montaggio, le inquadrature tra di loro, e quindi corrisponde alla narrazione vera e propria454.

Non si deve quindi pensare che la letteratura sia migliore del cinema o