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Un nuovo inizio o un ritorno al punto di partenza?

2. The Remains of the Day: cenni generali sul romanzo.

2.3. Un nuovo inizio o un ritorno al punto di partenza?

Il viaggio di Stevens ha come destinazione Weymouth, famosa per un molo che, ogni sera, viene illuminato con numerose luci di colori diversi. Qui il maggiordomo trae le conclusioni delle esperienze avute durante il viaggio, che sono tutte diverse, ma ognuna, a modo suo, l’ha cambiato. Stevens, soprattutto, ha ricevuto affetto da persone sconosciute, che non hanno chiesto nulla in cambio, è stato trattato come una persona normale, non come uno che deve stare nell’ombra e servire gli altri. Per la prima volta in vita sua Stevens si sente libero, e nessuno nutre delle aspettative nei suoi confronti370. C’è quindi uno sviluppo, un cambiamento, e, in aggiunta, ciò rende Stevens più attendibile come narratore371.

Le “pier lights” (p. 252) sono la metafora del risveglio di Stevens, perché, quando vengono accese, il maggiordomo formula importanti considerazioni sulla sua vita e sul viaggio appena concluso. Accanto a Stevens si siede uno sconosciuto che, prima di andare in pensione, ha lavorato come maggiordomo, e dopo qualche minuto di conversazione Stevens, che non ha mai mostrato a nessuno le proprie emozioni, inizia a piangere, senza nascondersi più dietro la sua maschera di dignità o dietro

367 A. MARCUS, op. cit., p. 135.

368 C. F. WONG, “Kazuo Ishiguro’s The Remains of the Day”, cit., p. 501. 369 L. VIKJORD, op. cit., p. 17.

370 Ibidem, p. 12. 371 Ibidem, p. 20.

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codici e convenzioni, bensì ammettendo la propria vulnerabilità e, soprattutto, i propri errori372:

Lord Darlington wasn’t a bad man. […] He chose a certain path in life, it proved to be a misguided one, but there, he chose it, he can say that at least. As for myself, I cannot even claim that. You see, I trusted. I trusted in his lordship’s wisdom. All those years I served him, I trusted I was doing something worthwhile. I can’t even say I made my own mistakes. Really – one has to ask oneself – what dignity is there in that? (pp. 255-56)

Si tratta di uno dei rari momenti di autenticità da parte di Stevens, in cui crolla definitivamente il concetto di dignità che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera. Secondo Stevens, infatti, è più dignitoso agire come Lord Darlington, ovvero in modo coraggioso anche se errato, piuttosto che decidere di non fare le proprie scelte373. Infatti, alla fine del viaggio “‘dignity’ no longer seems to him so respectable if it involves utter dependence on the choices of another human being”374.

Il consiglio che l’altro maggiordomo gli dà è: “You’ve got to enjoy yourself. The evening’s the best part of the day” (p. 256). Stevens ha dato il massimo per Lord Darlington, e ora è il momento di riposarsi. Tuttavia, egli non riesce né a riconciliarsi col passato, né a proiettarsi verso il futuro, come gli consiglia di fare lo sconosciuto. Non vuole riposarsi, ma vuole ricominciare a lavorare dando il meglio di sé per Mr Farraday, sperando, così, di trovare ciò che gli manca nella vita, ovvero l’amore, che Stevens chiama “human warmth” (p. 258) e che può essere coltivato tramite il

bantering. Come spiega Stevens, infatti, “in bantering lies the key to human warmth”

(p. 258). Ormai la vita personale del maggiordomo è consumata dalla vita professionale, ma c’è ancora una speranza, perché almeno “he has come to see warmth as important and to make it the focus of the remains of his day”375. Stevens realizza, quindi, che il bantering lo può aiutare ad avere una relazione più informale col nuovo

employer perché è proprio attraverso le facezie che si costruiscono le relazioni

interpersonali, come Stevens può osservare dalle persone che gli stanno intorno sul molo376, quindi il testo termina con la promessa “I will begin practising with renewed effort” (p. 258).

Stevens, come si è potuto osservare, è ancorato al passato, e lo dimostra il suo modo di parlare. Già durante il viaggio, arrivato in un pub vicino a Taunton, prova a

372 Ibidem, pp. 17-18.

373 K. LUNDSGAARD-LETH, op. cit., p. 427. 374 A. MARCUS, op. cit., p. 141.

375 R. ATKINSON, op. cit., p. 215. 376 L. VIKJORD, op. cit., pp. 18-19.

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scambiare delle battute di spirito con alcuni frequentatori del pub, ma questi sembrano non capirlo377, infatti egli afferma: “I had been rather pleased with my witticism when

it had first come into my head, and I must confess I was slightly disappointed it had not been better received than it was” (p. 138). Il bantering gli permette, invece, di stare al passo coi tempi e di perfezionarsi anche nei rapporti con le altre persone, in modo da non sembrare fuori luogo in ogni situazione.

Tuttavia, è stato notato che Stevens vede il bantering ancora dal punto di vista di un maggiordomo, ovvero come un servizio da mettere in pratica per fare un piacere all’employer. Egli ha appena realizzato di aver sprecato la propria vita per servire un

master e, paradossalmente, si sta preparando a dedicare il resto dei suoi giorni a un

altro master378. Ci si è chiesto, quindi: “Is his fresh commitment to bantering at the end of the novel a hopeful turn to ‘human warmth’ or a recommitment to the ‘duty an employer expects a professional to perform’?”379. Ciò che Stevens non riconosce, inoltre, è che il “warmth” dei rapporti umani è un concetto opposto a quello di “dignità” o di obbedienza a un sistema moralmente corrotto380.

Il suo ruolo di great butler ormai è arrivato al capolinea anche a causa di svariati errori, molto simili a quelli che il suo stesso padre, in vecchiaia, aveva iniziato a compiere. Gli errori, quindi, fanno capire che Stevens non può più ricoprire il ruolo per cui ha sacrificato la sua vita privata, e solo alla fine il maggiordomo si rende conto della futilità del suo concetto di “dignità”. Arrivato a un punto in cui nemmeno la narrazione gli permette di costruire l’identità che desidera, Stevens si arrende ad un’ultima speranza di sopravvivere, che può essere garantita proprio dal bantering. Decidendo di sorprendere Mr Farraday attraverso il bantering, Stevens segna, però, anche il suo fallimento: in questa pratica non c’è un rapporto attivo tra chi parla e chi ascolta, ma solamente una serie di battute volte a suscitare la risata nell’interlocutore. Ciò che rimane, quindi, è un dialogo vuoto, l’ennesima forma di esilio per Stevens. Da questo punto di vista, il finale del romanzo è stato interpretato come una tragedia381. Stevens è stato studiato, infatti, come una “alienated consciousness”382,

377 Ibidem, p. 13.

378 M. A. M. EMARA, op. cit., p. 18. 379 R. TRIMM, op. cit., p. 205.

380 L. R. COOPER, “Novelistic Practice and Ethical Philosophy in Kazuo Ishiguro’s The Remains of

the Day and Never Let Me Go”, in S. Groes, B. Lewis (eds), op. cit., p. 117.

381 M. M. HAMMOND, “‘I Can’t Even Say I Made my Own Mistakes’: The Ethics of Genre in Kazuo

Ishiguro’s The Remains of the Day”, in S. Groes, B. Lewis (eds), op. cit., pp. 103-104.

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alienazione che Karl Marx attribuisce all’ideologia. Il maggiordomo è alienato nel senso marxiano del termine perché ha fatto proprie le regole sociali che le classi dominanti hanno stabilito per ovvie ragioni ed è riuscito a camuffare la propria oppressione sociale383, ma, allo stesso tempo, nella concezione comune del termine, si è alienato dal mondo circostante perché ha deciso volontariamente di non farvi parte, sia dal punto di vista sociale che da quello economico, politico o culturale. Solo alla fine Stevens comprende quante occasioni ha sprecato rinunciando all’autonomia e si rende conto anche della propria alienazione384.

Il finale del romanzo è ambiguo e aperto: si sa che c’è un futuro, perché Stevens riconosce di voler continuare a lavorare per Mr Farraday, ma tale futuro è incerto. Non c’è una risposta alle tante domande sollevate dalla confessione di Stevens: in cosa consistono gli errori di cui parla? Perché non è riuscito a fare le sue scelte? Perché decide solo in questo momento di cambiare la sua vita385?

Interpretando il romanzo secondo una prospettiva kierkegaardiana si è cercato di trovare una risposta a tutte queste domande. La prima risposta implica uno stato di rassegnazione: dal punto di vista filosofico si può dire che l’esistenza consiste nel bilanciare valori estetici (il sentimento provato da Stevens e Miss Kenton), norme sociali (il codice normativo di un maggiordomo), l’impatto etico delle scelte personali di ogni individuo (sposarsi o rimanere un maggiordomo) e l’impegno a fare del bene pur sapendo di non poter realizzare il “bene infinito”. L’unione di tali valori, nel corso della vita di una persona, può volgere tragicamente, com’è successo a Stevens, ma non ci si può fare niente, perché l’esistenza funziona in questo modo.

L’alternativa va ricercata nella sfera religiosa e consiste nel credere che, nel mondo, ci debba necessariamente essere una verità, qualcosa che abbia un valore infinito, che, per il fedele, è l’amore. L’individuo non può quindi essere ridotto a semplice oggetto del desiderio o a prodotto dei processi sociali, e si deve preoccupare di attualizzare l’amore, di metterlo in pratica.

Come si fa, però, a capire che la verità a cui l’uomo aspira è l’amore? Non si può, perché si tratta di un “unreasonable thought”386, eppure l’uomo deve crederci, in

quanto è un’opzione che gli permette di ricostruire sé stesso e le relazioni con gli altri,

383 Ibidem, pp. 83-84.

384 L. R. COOPER, “Novelistic Practice and Ethical Philosophy in Kazuo Ishiguro’s The Remains of

the Day and Never Let Me Go”, in S. Groes, B. Lewis (eds), op. cit., p. 117.

385 M. TERESTCHENKO, op. cit., pp. 81-82. 386 K. LUNDSGAARD-LETH, op. cit., p. 433.

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di dare senso alla propria vita, cosa che non si potrebbe fare senza tale fede, infatti “love presupposes itself to the effect that it gives us reasons that are simply not there to the ones without faith, hope, and love”387. Il motto di ogni individuo deve essere “act lovingly”388.

L’amore consente di smettere di preoccuparsi che le proprie azioni raggiungano gli standard richiesti dalla società: Stevens, prendendo l’amore come ideale in cui credere, non dovrebbe più chiedersi se, per essere un maggiordomo dignitoso, debba comportarsi in un modo o nell’altro, ma, piuttosto, dovrebbe capire se i criteri per essere un great butler siano compatibili con l’amore389. Egli avrebbe potuto condurre un’esistenza migliore, se solo avesse avuto qualcosa in cui credere che fosse diverso dall’ideale di “dignità”. Ammettendo, dopo venti anni, il sentimento provato nei confronti di Miss Kenton, capisce cos’è l’amore, ma lo fa troppo tardi e si rende conto di aver sprecato la propria vita.

Solo alla fine Stevens scopre “the individual self he thought had no value, the ability to love a woman, to sit on a common bench and watch the sun go down without ritual or ceremony attached”390, tutte attività che, nel corso della sua vita, ogni persona

comune compie, e solo alla fine il lettore comprende il significato del titolo del romanzo. I “remains of the day” sono stati collegati al concetto freudiano di day’s

residues, secondo cui nel processo per la creazione dei sogni sono combinate le

esperienze che l’individuo ha da sveglio, che comprendono i ricordi e i “residui” del giorno appena trascorso. Nel caso di Stevens, i ricordi del passato, legati soprattutto a Miss Kenton, corrispondono ai day’s residues, che sono trasformati nella storia da lui raccontata391. Stevens, in ogni caso, deve cambiare il suo approccio alla vita se vuole godere i “remains of his days”392.

Il titolo è ambiguo perché può essere interpretato sia letteralmente che figurativamente: dal punto di vista letterale “quel che resta del giorno”, come sottolineato dall’uomo che Stevens incontra sul molo, sono i momenti di luce prima del calar della notte. Dal punto di vista figurativo, invece, remains indica qualcosa che rimane, che viene lasciato fuori, e quindi di superficiale, di non necessario. Oltre a far

387 Ibidem, p. 434. 388 Ibidem, p. 433. 389 Ibidem, pp. 431-34. 390 D. GUTH, op. cit., p. 136.

391 M. A. M. EMARA, op. cit., pp. 16-17. 392 L. VIKJORD, op. cit., p. 20.

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pensare alla posizione di Stevens a Darlington Hall e, in generale, nei rapporti interpersonali, il termine remains si collega a un concetto di cui tratta Jacques Derrida, ovvero all’incompletezza di ciò che, in superficie, sembra completo e non problematico. Derrida, inoltre, impiega non a caso il termine remainder come sinonimo di supplement.

Il titolo, infine, è stato anche interpretato come un riferimento al tramonto dell’egemonia britannica sulla scena internazionale e alla conseguente accettazione di un nuovo ordine mondiale393: “Darlington Hall and Stevens must now be resituated in a new network of global capital, a network represented by Farraday”394. La possibilità di inserirsi in tale sistema, per Stevens, può essere garantita dal bantering e da un’apertura mentale a cui è arrivato grazie al viaggio appena terminato.

La frase centrale dell’ultimo capitolo, “the evening’s the best part of the day” (p. 256) configura, quindi, Stevens come un remainder, come un sopravvissuto395 che non è riuscito a ottenere ciò che desiderava con Miss Kenton e nemmeno una prova che dimostrasse la validità del concetto di “dignità” per il quale ha sprecato la sua intera esistenza396.

L’eccezionalità del romanzo consiste nella sua capacità di innescare una riflessione nella mente del lettore, imperniata sulla possibilità, per Stevens, di aprirsi sentimentalmente: cosa sarebbe successo se il maggiordomo avesse mostrato le sue emozioni? Sicuramente, oltre a fermare in tempo il coinvolgimento di Lord Darlington con il nazismo, Miss Kenton avrebbe capito che il sentimento da lei provato nei confronti del maggiordomo era corrisposto e i due avrebbero potuto convolare a nozze, trasferendosi, magari, lontano da Darlington Hall e conducendo una vita tranquilla circondati da figli e nipoti. Tale sarebbe stata, a mio avviso, la storia parallela a quella raccontata dal testo, un vero e proprio romanzo alternativo. Tuttavia, considerando che, spesso, ciò che non viene apertamente mostrato è anche ciò che si manifesta con maggiore forza, credo che la “storia parallela” non sarebbe stata tanto efficace quanto quella narrata da Ishiguro, poiché svilupparla avrebbe portato alla nascita di un banale romanzo sentimentale, pari a quelli letti da Stevens nei momenti di privacy nel suo studio. C’è quindi, forse, da parte dell’autore, il tentativo di

393 J. P. McCOMBE, op. cit., p. 79. 394 R. TRIMM, op. cit., p. 206.

395 K. SCHERZINGER, op. cit., pp. 19-20.

396 M. M. HAMMOND, “‘I Can’t Even Say I Made my Own Mistakes’: The Ethics of Genre in Kazuo

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impartire un insegnamento morale al lettore? Credo che Ishiguro voglia ammonire sui pericoli insiti nel non comunicare le proprie emozioni, soprattutto nelle situazioni più sconvolgenti (ad esempio, la morte di un genitore). Non mostrare emozioni significa non avere una personalità, essere persone che non vivono ma che, al contrario, si lasciano vivere, proprio come Stevens. Ogni mancato contatto con gli altri, da azione insignificante quale può sembrare, rischia di avere conseguenze molto più gravi, che abbiamo visto consistere, nel caso di Stevens, in un’indiretta complicità con i nazisti, e che, nel caso di una persona comune, possono constare, ad esempio, di un isolamento indirettamente volontario dalla società. Allo stesso tempo, però, l’ammonimento è rivolto anche alle persone che agiscono come Miss Kenton, ovvero nel giusto, ma troppo impulsivamente, prendendo decisioni affrettate che poi, comunque, non rispettano. Insomma, Ishiguro sembra suggerire che una via di mezzo tra l’atteggiamento di Stevens e quello di Miss Kenton sia la soluzione più auspicabile e consigliata per poter vivere al meglio con sé stessi, senza sensi di colpa, e, di conseguenza, anche in armonia con gli altri.

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