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Il Modello 5P Controllo Qualità

2.8. L’immaginario della marca

Nel libro “Marche e Mondi possibili”, Andrea Semprini (1993) conclude la sua concettualizzazione sostenendo che, nonostante l’elevato livello di definizione che possiedono, i mondi possibili di marca sono comunque mondi virtuali che possono attualizzarsi soltanto con il fondamentale apporto fornito dal destinatario finale. E perciò “la marca non costruisce il suo mondo possibile da sola. Sono i consumatori che, sottoscrivendo alla costruzione immaginaria eretta dalla marca, attribuiscono al mondo una vera esistenza” (ibidem, p.141).

Ma, nella necessità di avere, nel corso di questo lavoro, un quadro teorico il più completo possibile, è interessante osservare come Vanni Codeluppi con il suo testo già citato “Il potere della marca” (2001), espone chiaramente proprio quelli che possono essere i limiti del concetto di mondo possibile rispetto alla ricchezza e alla potenza comunicativa manifestate dalle più importanti marche odierne. Ciò che tali marche definiscono, infatti, secondo Codeluppi, è un vero e proprio

140 immaginario specifico. Già Gilbert Durand (1996) considerava l’immaginario come un soggetto culturale dotato di strutture archetipiche e culturalmente invarianti che svolgono la funzione di tenere unito il tessuto delle relazioni sociali, ma oggi, per Codeluppi, è necessario adottare una concezione più moderna dell’immaginario, nella quale quest’ultimo diventa un attore sociale completo che muta costantemente.

Naturalmente, asserisce l’autore, le marche non possono costruire il proprio immaginario ex novo, ma lo sviluppano appropriandosi simbolicamente di una porzione del più ampio immaginario esistente nella società. Avviene, infatti, e qui Codeluppi aderisce appieno alla teoria di Semprini, che “la marca introduce discontinuità all’interno di un continuum. A partire da un flusso ininterrotto di oggetti, concetti, connotazioni, valori, idee, colori, suoni, forme, la marca introduce tagli, segmenta tale flusso, seleziona gli elementi di cui desidera appropriarsi e ne rigetta altri, ordina e collega le sue selezioni, conferisce loro una leggibilità e una comprensibilità. Si tratta di un momento cruciale, quando, a partire da quel continuum indistinto che è il senso sociale disponibile in una società data, la marca ne ritaglia un segmento, l’organizza e così facendo gli attribuisce una significazione” (Semprini 1993, pag. 59).

Per farlo, aggiunge Codeluppi (2001), la marca utilizza le diverse forme di comunicazione di tipo tradizionale (pubblicità, promozioni ecc.), il design degli elementi d’identità visivo-verbali (nome, logo e altri codici di marca), il design del prodotto e l’arredo dei negozi, le iniziative realizzate congiuntamente con altre marche, i siti attivi su Internet e le persone che operano nell’azienda allo scopo di costruire una precisa realtà che appaia dotata di un’identità altrettanto specifica.

141 Dunque, l’immagine della marca si è talmente ampliata e rafforzata da diventare un vero e proprio mondo.

Un mondo essenzialmente immateriale, ma che per il consumatore rappresenta una realtà ben precisa. Non è un “simulacro”, come invece lo intendeva Baudrillard, ma è qualcosa di estremamente concreto. Perché si tratta di una realtà che è dotata di una grande ricchezza e densità comunicativa, ma anche perché tende a stabilire un rapporto immediato e continuativo con il consumatore (direct marketing, eventi di marketing, comunicazione sul punto vendita, Internet ecc). Impiega, inoltre, vere e proprie riviste (si pensi a “Colors” della Benetton), innumerevoli testate diffuse dalle aziende di abbigliamento (“Il punto Zegna”, “Emporio Armani”). Ma, addirittura, ricerca sempre più spesso una traduzione concreta anche attraverso quegli spettacolari spazi di vendita che vengono realizzati da parte di molte marche globali come Sony, Swatch, Disney, Mercedes, Nike ecc. (Codeluppi 2000). Le marche, infatti, hanno la necessità oggi di avere luoghi stabili in cui poter sviluppare una relazione con i consumatori. Così non esitano a costruire anche ristoranti o addirittura veri e propri parchi a tema che seguono l’esempio di Disney nel mettere in scena in maniera spettacolare il mondo di marca (Legoland, Kellog’s Cereal City, Sony Metreon, Autostadt di Volkswagen).

In conclusione, sempre nell’ottica di Codeluppi (ibidem), la natura essenzialmente narrativa del concetto di mondo possibile diviene quindi inadeguata a rendere conto della complessa realtà relazionale e comunicativa espressa dalle principali marche odierne. Queste dispiegano infatti un proprio immaginario che può avere alla base uno o più nuclei valoriali di tipo mitico e perciò narrativo. Tali nuclei, però, non

142 rappresentano che una minima parte della capacità comunicativa d’ogni immaginario di marca.

Le riflessioni finora condotte ci conducono ora ad esplorare, come più volte annunciato, nella terza parte di questo lavoro, le potenzialità etiche insite in quelle nuove logiche di consumo già descritte e che si ricollegano alla dimensione esperienziale dei consumi e della marca stessa.

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Parte terza

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Capitolo terzo

Valori d’impresa: l’etica nella marca

3.1. Il consumerismo

Dopo aver esplorato, nel corso dei precedenti capitoli, il comportamento del consumatore, particolarmente nelle sue espressioni di coinvolgimento emozionale ai prodotti (il goodwill), nelle sue manifestazioni di fiducia e fedeltà verso gli acquisti e nella sua preferenza alla qualità, nonché le dimensioni poliedriche secondo cui si sviluppa la fenomenologia della marca, è ora importante soffermare l’attenzione, su di un aspetto in particolare e, cioè, che la stessa area della soddisfazione del consumatore, fin qui descritta, non debba essere soltanto circoscritta ai comportamenti di imprese, alla sensibilità di queste ultime, alla comprensione del ruolo che esse svolgono nell’attuale fase sociale. Questo perché, come dimostra Fabris (2003), anche nella prospettiva di un graduale passaggio da un’impresa rivolta a perseguire i propri interessi nel breve periodo (shareholder) ad una orientata a soddisfare non soltanto gli interessi degli azionisti, ma anche gli obblighi morali e sociali verso i numerosi interlocutori (stakeholder), l’impresa comunque

147 privilegia sempre obiettivi che non coincidono necessariamente con gli interessi generali.

Di fatto, le tensioni sociali, economiche, politiche, gli scandali, che periodicamente minano il capitalismo occidentale, dimostrano le difficoltà, forse insormontabili per i più pessimisti, di coniugare etica ed impresa. E’ indubbio, quindi, che, di fronte ad un tale scenario, anche altri soggetti devono farsi carico della soddisfazione del consumatore. Per altro, il termine soddisfazione si amplia per includere i concetti di difesa,

protezione, tutela dei diritti.

E tra i diritti, in primis, sicuramente quello d’informazione esauriente, chiara, a 360 gradi; chiamando in causa gli stessi

consumatori, le associazioni dei consumatori, lo Stato156. Il

consumerismo, dunque, seguendo la definizione di Fabris (ibidem), è un’accezione a largo spettro che può andare da uno stato generico di insoddisfazione del singolo consumatore a movimenti collettivi organizzati che ritengono che la domanda non abbia un’autonomia soggettiva, ma sia parte integrante del meccanismo di sviluppo del sistema capitalistico e, conseguentemente, che sia contro questo sistema che debbano essere rivolte accuse e rivendicazioni. Il movimento no-

global, ad esempio, rappresenta la forma più attuale, e forse più

oltranzista, di questa tendenza.

Di fatto, nell’ambito di questo range così vasto vi è tutta una serie di posizioni intermedie che concorrono a definire il consumerismo e che comprendono le attività governative, di enti pubblici, di organizzazioni indipendenti che si sono costituite per proteggere i consumatori da quegli interventi, pubblici o privati, che violano i loro diritti.

148 Il consumerismo, sostanzialmente, si sviluppa lungo tre principali filoni: la contrapposizione allo strapotere delle imprese; l’incapacità o la non volontà di queste nel percepire le reali esigenze del consumatore; l’attenuazione o l’eliminazione dei motivi dì insoddisfazione.

L’Unione Europea codifica in sette principi fondamentali i diritti dei consumatori; diritti rivolti alla: soddisfazione dei bisogni fondamentali;

salute e sicurezza; tutela degli interessi economici; essere ascoltati e rappresentati; essere correttamente informati; risarcimento dei danni; un

ambiente sano157. Come risposta le associazioni dei consumatori (esiste

anche una versione individuale del consumerismo) si pongono in un ruolo controbilanciante la forza delle imprese con una particolare attenzione alle problematiche della salute e della sicurezza.

E’ visibile, fra l’altro, che queste stesse associazioni fanno ricorso ad una serie variegata di strumenti per perseguire i propri obiettivi: dalle azioni di sensibilizzazione e campagne di pressione al boicottaggio158 , fino ad arrivare alle attività di lobby e pubblicazione di libri e riviste.

Fabris, però, tiene a sottolineare che il movimento dei consumatori ha assunto, in tanti Paesi (a cominciare dalle realtà anglosassone), le caratteristiche di un movimento di massa divenendo un’importante interlocutore del potere politico ed economico.

In Italia, invece, questo stesso fenomeno del consumerismo non ha mai avuto né radicate tradizioni né molti proseliti. Non è certo un caso che persino il termine, abitualmente impiegato nella nostra lingua per definire il fenomeno, ne evidenzi l’estraneità. Anzi, la stessa parola –

consumerismo - è spesso equivocata con consumismo.

157 G.Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, op. cit.

158 Da quello storico di Nestlé a McDonald’s, ma le origini degli scioperi dei consumatori sono lontane. A Milano, ad esempio, durante il Risorgimento si mobilita uno sciopero contro il fumo e si vedono per le strade crumiri filoaustriaci con due sigari in bocca.

149 E’ indiscutibile che la ragione del ritardo, del diffondersi del consumerismo nel nostro Paese, è da ricercare nella scarsa sensibilità alle problematiche dei diritti civili e, parzialmente, nella diffidenza delle confederazioni sindacali verso forme di mobilitazione di massa che sfuggissero al proprio controllo. Certamente ha contribuito anche il permanere dell’enfasi, tradizionale nel nostro Paese, sul momento della produzione e non del consumo159.

Si è cominciato a parlare di consumerismo, con una qualche insistenza, negli anni Ottanta: da quel momento ha preso forma un consenso generale ed una partecipazione mai raggiunta in Italia.

Ciò che invece precede storicamente, nel nostro Paese, il consumerismo, in un’area attigua, è il movimento cooperativo. Nato a Rochdale, in Inghilterra, a metà del secolo scorso il movimento era particolarmente rivolto a tutelare il potere d’acquisto delle classi meno abbienti, la proprietà in comune fra i soci, un accordo tra cooperative di consumo e di produzione, la redistribuzione degli utili e così via. In Italia la Coop ha portato avanti con molta determinazione i principi dei pionieri di Rochdale ed è sempre a Coop che va riconosciuto un costante impegno rivolto alla difesa dei consumatori e alla promozione di iniziative consumeriste160.

Fermo restando l’importanza che il movimento cooperativo e il suo piano applicativo continuano ad avere (se ne parlerà nel corso di questo lavoro), ciò che, in ultima istanza, si vuol attestare è l’entrata in vigore della legge (281/98) che riconosce, ed istituzionalizza, il ruolo delle

159 E’ un consumerismo nelle sue espressioni più passive e televisive quello che si diffonde, ad esempio, attraverso trasmissioni come “ Di tasca nostra”; “ Un soldo due soldi”; “Mi manda Lubrano”. Cfr. G. Fabris, Il

nuovo consumatore: verso il postmoderno, Op. cit. pag.415.

160 Per questi aspetti rimandiamo al nostro capitolo 4, dove l’azione di Coop come impegno di difesa dei consumatori è evidente nelle ricerche riportate.

150 associazioni dei consumatori. Si colma, così, quella lacuna rappresentata dal tardivo riconoscimento della realtà consumerista che è presente ed attiva, da anni, in tutti i Paesi dell’Unione. Inoltre, grazie ad un tale riconoscimento legislativo, si possono creare i presupposti per una maggiore democrazia del mercato.