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Il Modello 5P Controllo Qualità

2.5. La natura semiotica della marca

Secondo la griglia interpretativa proposta da Semprini, studioso autorevole di questo filone di studi, la vera specificità della marca è quella di essere “un’istanza semiotica, una maniera di segmentare e di attribuire

del senso in modo ordinato, strutturato e volontario” (1993, p. 58). Si

sottolinea, dunque, la caratterizzazione della marca come macchina semiotica, cioè come macchina atta a produrre e ad attribuire delle significazioni. “La marca è un motore semiotico” (ivi). Il suo combustibile sono materiali disparati come nomi, colori, suoni, concetti, oggetti, sogni, desideri. Il suo risultato (quando il motore è stato montato correttamente) è un universo ordinato, strutturato, interpretabile e attraente.

Il deserto, la polvere, la solitudine, i cavalli, il rosso, una sigaretta, non sono che elementi disparati ed ognuno, preso singolarmente, può ritrovarsi in centinaia di contesti discorsivi differenti. E’ l’assemblaggio, ed un certo tipo di assemblaggio solamente, di tutti questi elementi che produce una marca unica: Marlboro. Come l’architettura è l’insieme delle regole che permettono di costruire degli edifici, come la letteratura è un sistema che non esiste materialmente se non incarnato in testi specifici, allo stesso modo la marca è il principio teorico, l’istanza generatrice di marche-occorrenza, che hanno un’esistenza nel mondo naturale e nella nostra esperienza di vita quotidiana. Conviene distinguere dunque tra la

marca, istanza teorica, insieme di regole e di competenze attraverso le

quali una significazione è generata ed attribuita ad un oggetto, e una

marca precisa, che sarà il risultato più o meno riuscito di tale atto di

129 Se la marca è un luogo vuoto, una pura istanza di enunciazione,

una marca è invece un luogo ben più concreto. Essa implica un

contenuto descrivibile, osservabile ed analizzabile. Nel caso di una marca specifica, si ha la sensazione di afferrare qualcosa, un prodotto o addirittura una gamma di prodotti, un nome, un insieme di forme e di colori, molto spesso una storia, un posizionamento nel mercato, un universo di comunicazione.

Grazie al contributo scientifico di Semprini (ibidem), si può cominciare quindi a parlare di un superamento di quell’antica querelle riguardante l’analisi della marca e presente negli ambienti dell’ermeneutica letteraria e della teoria dell’interpretazione (Ferraresi, 1987).

Semprini (1993) cerca di sfuggire ai limiti delle differenti teorie dell’interpretazione attribuendo alla marca un’identità e un contenuto

reticolare. Una marca è sempre presa all’interno di un sistema complesso

e multidimensionale. La sua identità non esiste che in funzione e a partire da questi molteplici incroci. Non solo quindi la marca è un fenomeno di tipo semiotico, la cui natura resta da analizzare, essa è anche un fenomeno discorsivo collettivo, sociale e pubblico (Garfinkel, 1989). Al di fuori della sua dimensione collettiva, sociale, pubblica e condivisa, una marca non ha esistenza. Per esistere, e quindi per avere un contenuto ed un’identità, la marca deve avere una presenza sulla piazza pubblica: un universo di comunicazione, un contesto di presentazione determinato e un contesto di consumo e di ricezione. Sarà la totalità dei differenti discorsi tenuti sulla marca dai differenti attori coinvolti (aziende, concorrenza, intermediari, distributori, consumatori) che costituirà una marca in quanto tale, ovvero che opererà il passaggio da una nozione

130 astratta e virtuale (la marca) ad un enunciato concreto e caratterizzato (una marca specifica).

E’ sempre più chiaro, dunque, secondo questa teoria, che una marca tende ad essere più un punto d’arrivo che un punto di partenza. Essa non può essere un punto di partenza nella misura in cui tutti gli attori coinvolti contribuiscono a definire le sue proprietà e il suo significato. Essa è al contrario un punto d’arrivo nella misura in cui è solamente dopo aver percorso un lungo “viaggio” tra tutti gli attori coinvolti, che la marca avrà terminato il suo cammino iniziatico ed avrà acquisito tutte le sue determinazioni: essa sarà finalmente dotata di un’identità. Però occorre fare attenzione nella misura in cui dire che l’identità di una marca è un punto d’arrivo non significa assolutamente che essa sia un’entità cristallizzata e osservabile una volta per tutte. Al contrario, una marca è un fenomeno in costante evoluzione, in funzione dell’evoluzione dei discorsi che vengono tenuti su di essa e che la fondano.

Se la semiotica è la disciplina che studia come il senso è generato e trasmesso tra gli uomini (Eco, 1976) e se, come si è sottolineato all’inizio di questo paragrafo, il ruolo della marca è essenzialmente quello di generatore e diffusore di un universo di significazione attorno ad uno oggetto sociale (prodotto, bene, servizio), allora la stessa marca è per definizione un’istanza semiotica, una macchina per produrre significazioni.

Principalmente, asserisce Semprini, “la marca introduce della discontinuità all’interno di un continuum. A partire da un flusso ininterrotto di oggetti, concetti, connotazioni, valori, idee, colori, suoni, forme, la marca introduce dei tagli, segmenta tale flusso, seleziona gli elementi di

131 cui desidera appropriarsi e ne rigetta altri, ordina e collega le sue selezioni, conferisce loro una leggibilità ed una comprensibilità. Si tratta di un momento cruciale, quando, a partire da quel continuum indistinto che è il senso sociale disponibile in una società data, la marca ne ritaglia un segmento, l’organizza e così facendo gli attribuisce una significazione” (1993, p. 59). Tale significazione può essere di vari tipi. Essa può limitarsi a differenziare un prodotto dai suoi concorrenti, limitandosi a fornirgli un nome, ma può anche attribuire al prodotto uno spessore culturale, sociale, ed in certi casi simbolico o mitico. Ad esempio, la marca Findus si è associata negli anni sessanta e settanta alla liberazione della casalinga da una parte delle sue incombenze più noiose e ripetitive. Marlboro ha costruito intorno ad una sigaretta un possente simbolismo fatto di virilità e di auto-controllo. Levi’s ha costruito un universo di autonomizzazione e di libertà, divenendo così un interprete del passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Sta di fatto che la marca costruisce intorno al prodotto un’intelaiatura di senso. Essa semantizza il prodotto. Non limitandosi ad una semplice funzione di “marcaggio”, la marca in questione differenzia e arricchisce il prodotto, lo rende al tempo stesso unico e multidimensionale.

La marca funziona in definitiva come un testo letterario, o come qualsiasi altra opera di creazione; essa costruisce dei mondi possibili, ammobiliati in modo specifico e caratterizzati da una lista di specificazioni proprie (Goodman, 1978; Eco, 1990). Così il mondo di Levi’s è un mondo poco popolato, caldo, percorso da individui dai sentimenti semplici e primari. Naturalmente un mondo può cambiare o evolvere. Il mondo Levi’s è molto cambiato negli ultimi anni: è divenuto un mondo più

132 cittadino, meno provinciale, più riconoscibile sociologicamente, più East Coast. Ma gli uomini e le donne di questo mondo sono rimasti fondamentalmente gli stessi, con i loro sentimenti primari e la loro voglia di libertà a fior di pelle.

I mondi possono quindi cambiare, ma ciò che resta è la capacità della marca di generarli.

Ora, se la specificità della marca è di attribuire una significazione al prodotto e di generare mondi, la sua natura essenzialmente semiotica sembra difficilmente discutibile. E’ evidente, però, che riconoscere la natura semiotica della marca ha notevoli implicazioni teoriche e ricadute metodologiche e pratiche. Comunque, ciò che in questo lavoro preme mettere in luce, più di ogni altra implicazione, è lo spostamento considerevole dell’angolo d’osservazione del fenomeno-marca: dal marketing e dalla teoria economica alle scienze sociali e alle scienze della significazione.