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Il Modello 5P Controllo Qualità

2.7. Il mondo possibile della marca

Da quanto appena esposto è evidente dunque che la preferenza è quella di ridefinire il concetto di brand equity a favore del più semiotico concetto di mondo possibile, nozione inaugurata da Umberto Eco (1979) e già ripreso da Semprini (1993,1996) per spiegare il funzionamento della marca che, nella sua essenza, appunto, è intrinsecamente semiotico e comunicativo155.

Umberto Eco prese in prestito dalla logica la nozione di mondo possibile per sfruttarla ai fini della spiegazione dei processi di narrazione. Nella accezione di Eco il mondo possibile è il mondo arredato della narrazione. Si tratta cioè di un costrutto culturale voluto dall’autore e

154 D. Aaker, Brand equity. La gestione del valore della marca, Franco Angeli, Milano, 1997, p. 37. 155 M.Ferraresi, Pubblicità e Comunicazione, Op. cit.

136 veicolato dal testo; e si tratta anche di un mondo “possibile” perché diverso da quello reale. E questa diversità risulta essere ontologica, non narrativa. Anche se qualsiasi testo sa essere realistico e più vero del vero, come insegna il genere letterario veristico o anche il genere giornalistico, comunque rimane pur sempre un mondo possibile che, tra l’altro, esibisce comportamenti semiotici da parassita.

Esso si appoggia sul mondo reale per comodità e per bisogno di concisione. Nel famoso romanzo di Flaubert, ad esempio, si parla di Madame Bovary senza specificare tutte le informazioni che si ricaverebbero se si incontrasse e si frequentasse abbastanza a lungo quel personaggio nella vita reale. L’autore Flaubert decide nel mondo possibile, inaugurato dal suo romanzo, di scegliere solamente alcune caratteristiche del carattere e del sentire di Emma, quelle che gli sembrano più adatte all’economia del romanzo e quelle che maggiormente servono per fare andare avanti la storia. Non sapremo mai di Emma certe sue caratteristiche fisiche o preferenze particolari, a meno che queste non siano informazioni strategiche utili all’impianto narrativo. Si può obiettare che nemmeno nella vita reale siamo in grado di conoscere tutti i particolari di una persona, a volte neppure quando quella persona siamo noi stessi.

A meno che tali informazioni, anche casualmente, in qualche modo non emergano alla piena coscienza. E, in effetti, la differenza è proprio qui, vale a dire nella presenza del caos e del caso nel mondo reale, e invece nella onnipresenza del cosmos (Eco, 1979) e dell’ordine nel mondo possibile del testo, dove il caso e il disordine non hanno alcuna dimora e dove tutto avviene in quanto esiste una strategia testuale, e un autore, che tutto vuole e ordina.

137 Oltre al parassitismo, il mondo possibile soffre anche di una forte sindrome paranoica. Tutto quello che c’è in un testo ha senso e significato, non è casuale ed è sempre assolutamente voluto. Come diceva Shakespeare: ci sono molte più cose nel mondo che non nella nostra filosofia. Ma questo non è vero nel mondo possibile, dove le cose nel mondo sono esattamente le stesse presenti e volute dalla filosofia che quel testo ha costruito.

Che il mondo possibile sia parassitario rispetto al mondo reale lo dimostra anche la verosimiglianza della quale quest’ultimo si accontenta quando descrive un fatto, o un’azione, o anche un paesaggio.

Questo appoggiarsi al mondo reale, su conoscenze enciclopediche coltivate in un altro ambito rispetto al testo che si sta leggendo, permette di avanzare tranquillamente nella lettura. Il lettore in questione avrà preso a prestito le sue conoscenze del mondo reale e le avrà sfruttate per meglio comprendere “quel parassita di un testo che in quanto macchina pigra ha poca voglia di dare spiegazioni e perciò poggia sulla realtà testuale o extratestuale” (ibidem).

Semprini riprende questa idea di mondo possibile e la applica alla marca (1993,1996) affermando che la marca è un mondo possibile. In questo modo però alcuni dei concetti che Eco aveva elaborato, utilizzato e chiarito vengono mantenuti, altri invece sono mutati.

In particolare, Semprini, come già accennato, evidenzia la natura di “motore semiotico” della marca, la quale, esattamente come fa un testo letterario, è in grado di costruire un mondo possibile, coerente e articolato come di norma sono quelli del testo.

138 Nello specifico, questo significa, da un lato, che la marca è produttrice di un universo omogeneo di senso, dall’altro che tale universo è la base delle capacità (semiotiche) differenzianti della marca.

Riprendendo il già citato concetto “della marca come punto d’arrivo, come risultato”, a questo punto si è in grado di affermare (con il possesso di ulteriori strumenti semiotici) che, la differenza dal concetto testuale di mondo possibile risiede nel fatto che, a rigore, il mondo possibile è una produzione diretta del testo, mentre la marca è un risultato, appunto, una compartecipazione patrimoniale equamente condivisa tra emittente e destinatario. La diversità è sottile, ma appare anticipatrice di conseguenze. La più importante è quella secondo cui tutto si tiene nel mondo possibile del testo. Esso è il risultato di una precisa strategia narrativa la quale semioticamente si produce. Mentre all’inverso, tutto si produce semioticamente nel mondo possibile della marca e questa si sforza di essere non il risultato ma il prodotto di una precisa strategia. In altri termini, la marca è molto meno difesa dalle sue strategie testuali di quanto non lo sia un racconto, un romanzo. E’ una questione di diversi pesi e bilanciatore. La verità e il possibile successo di un romanzo si debbono più al testo; dove invece la verità di una marca e il suo possibile successo si debbono molto di più al contesto. Il termine “successo” non va inteso in senso commerciale. Va inteso come sinonimo delle “condizioni di felicità” di un testo, vale a dire del suo essere costruito in modo consono e tale che sia minimo il “rumore” comunicativo e che sia invece più felice possibile la sua resa semiotica. Quindi, la felicità di un romanzo è testuale, la felicità di una marca è contestuale.

139 Sembra chiaro, in conclusione, il deciso cambio di rotta, o per essere più precisi, il deciso contributo semiotico al tema della marca. Per questa ragione molti studiosi continuano a preferire la definizione di mondo possibile a quella maggiormente marketing oriented di brand

equity. I due termini sono quasi sinonimi. La differenza consiste nel fatto

che il concetto di mondo possibile parla immediatamente di un processo di comunicazione della marca, sempre attivo, mentre il concetto di brand

equity si limita alla descrizione degli elementi materiali e immateriali che

compongono la marca.