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Il Modello 5P Controllo Qualità

2.4. Verso la marca relazionale

La marca svolge un ruolo importante all’interno dei più attuali processi di evoluzione della pubblicità. Come si è cercato di sottolineare nel paragrafo precedente, la marca accompagna la pubblicità nel suo passaggio dalla seconda alla terza fase attuale e oggi si sta radicalmente trasformando anch’essa. Durante l’epoca d’oro della pubblicità, infatti, la marca afferma la sua importanza, particolarmente quando si comprende che non è più sufficiente valorizzare un prodotto, ma è necessario associare a quest’ultimo un potente soggetto simbolico, la marca appunto, dotato di una ben definita identità. Con il passaggio della pubblicità alla fase “metapubblicitaria” e “connessionistica” anche la marca è costretta a cambiare la sua natura e incrementare la sua importanza, sia sul piano sociale sia su quello del marketing. Riesce, infatti, ad assumere un’esistenza autonoma rispetto al prodotto anche se quest’ultimo spesso non può esistere e funzionare se non all’interno del

123 mondo comunicativo proposto dalla marca. In una società come quella attuale, che appare saturata dalla comunicazione e dove i prodotti sono sempre più uguali tra loro e dunque sempre meno coinvolgenti per i consumatori, non basta più comunicare l’esistenza di un prodotto e ciò che esso è in grado di offrire, ma è assolutamente necessario imporsi comunicando una specifica identità. Ecco, pertanto, il passaggio decisivo attraverso il quale le marche non possono più limitarsi a dare il proprio nome ad una certa linea di prodotti, ma devono proporre dei valori, uno stile di vita, un’estetica e, addirittura, un’etica e una visione del mondo (sono questi ultimi infatti gli obiettivi finali di questo studio).

In sostanza, di fronte alla crisi della modernità e alla scomparsa delle metanarrazioni (Lyotard 1981) che hanno ispirato negli ultimi secoli l’evoluzione del mondo occidentale, il sistema sociale decide di spostare l’attenzione su quei “significati condivisi che girano attorno ai nomi delle marche e alle immagini della pubblicità” (Lewis e Bridger 2000, p. 13). Ciò accade perché la crisi dei valori “forti”, caratteristici della modernità appunto, lascia emergere una miriade di valori “deboli” tra i quali l’individuo può scegliere secondo i momenti. E anche la marca, che non è in grado di creare nuovi valori, ma può soltanto rafforzare quelli già esistenti, sceglie uno di tali valori “deboli” per impossessarsene

socialmente, operando come un potente “attore sociale”152 in grado di

proporre agli individui precisi modelli di riferimento.

L’obiettivo, però, come spiega in modo innovativo Codeluppi, non è più, com’è successo nella pubblicità fino agli anni Ottanta, quello di ottenere l’identificazione dei consumatori con un certo stile di vita, con un mondo ideale, ma rappresentato nella sua concretezza materiale, fatta di

124 oggetti e beni di consumo. E’, invece, di aderire ad un sistema di valori proposto dalla marca, in un mondo mentale che alcuni autori hanno definito mindstyle (Riou 1999; Morace 2000) per contrapporlo al lifestyle dominante negli anni ottanta. Questa dicotomia diventa importante perché l’adesione comune ad un mindstyle crea una complicità e una forte intimità tra gli individui, i quali condividono così desideri, comportamenti, rituali e segni di riconoscimento. Ma, soprattutto, la complicità e l’intimità nascono in tal modo tra la marca e l’individuo, il quale è quindi più probabile che si trasformi anche in un acquirente dei prodotti della marca stessa. Anzi, come ha scritto Lombardi, “la relazione nel tempo marca/consumatore conta più della transazione del semplice prodotto: il prodotto in sé può esser dato da chiunque mentre la marca deve fornire una rappresentazione valoriale lungo un continuum qualitativo di più prodotti e servizi. Il consumatore risponderà con la fiducia e la fedeltà, non solo con un acquisto isolato” (2000, p. 11).

Una tale propensione (non si può non immaginare valida anche per le aziende con un orientamento verso valori di tipo sociale) ha fatto nascere nei consumatori un profondo coinvolgimento emotivo, un legame affettivo serio e duraturo verso la marca, che consente a qualsiasi tipologia d’impresa di ottenere dai consumatori un tale livello di fedeltà da renderle possibile praticare, tra l’altro, prezzi nettamente superiori a quelli della concorrenza.

Ciò che sta soprattutto avvenendo, comunque, è un passaggio dalla marca che mostra di vivere come vorrebbe vivere il consumatore, a quella che fa vedere di pensare esattamente come quest’ultimo. In generale, si tratta di strategie che producono un intensificarsi delle relazioni esistenti tra i consumatori e la marca. I consumatori, in molti

125 casi, si riconoscono a tal punto nei valori proposti dalla marca che quest’ultima diventa molto più che una marca e si trasforma in un vero e proprio emblema. Casi di marchi storici che si muovono in tale direzione dirompendo ai nostri occhi costantemente, sono, solo per citarne alcuni: Nike, Mc Donald’s, Shell, Apple, Mercedes, Virgin, Swatch e l’elenco potrebbe essere infinito.

La motivazione principale di questo fenomeno è possibile spiegarla, sostiene Codeluppi (2001), dopo che si è scoperto che, per una marca, la capacità di impadronirsi dell’ultima moda del momento sta diventando più importante del creare un monopolio di significati specifici. Essere alla moda, cioè, in sintonia con l’attualità, è più importante del comunicare un’immagine coerente con il significato attribuito alla marca, com’è sempre stato suggerito da parte dei manuali di marketing. Tradizionalmente, infatti, si è attribuito al principio di coerenza il ruolo di principio-guida del comportamento di marketing. Si riteneva, cioè, che una marca fosse tanto più efficace sul mercato quanto più la sua strategia riusciva ad ottenere un elevato livello di coerenza fra tutti i messaggi che emetteva.

Nelle società post-moderne, al contrario, la natura razionale del principio di coerenza appare sempre più anacronistica. In sostanza, accade che il consumatore comprende che dietro un certo nome, ad esempio Swatch, non c’è una personalità coerente, ma un soggetto dall’identità vivace e dinamica alla costante ricerca di se stesso e che in questa ricerca può anche essere incoerente nelle sue manifestazioni. Anche per questo lo vive come più amabile, in quanto si comporta esattamente come lui.

126 Sta di fatto che tutto ciò è possibile perché oggi le principali marche, come si è cercato di chiarire all’inizio di questo paragrafo, sono sempre più indipendenti rispetto ai loro prodotti; sono, cioè, puri concetti, pure filosofie di vita, con un’etica e un’estetica, per l’appunto.

E’ proprio grazie a questa crescente libertà dal prodotto che può oggi determinarsi una crescita dell’importanza sociale della marca, la quale amplia in misura sempre maggiore le sue connessioni nel mercato e nella società.

Siamo di fronte, dunque, ad una sorte di “marca-network”, il cui scopo primario è di essere costantemente in relazione con ciò che si trova al suo esterno, cioè, in fondo, con gli individui che la circondano. Perché, come si è cercato di spiegare, l’obiettivo aziendale, oggi, non è più quello di vendere lo stesso prodotto al maggior numero possibile di clienti, ma quello di dare vita a relazioni durature all’interno delle quali poter proporre molteplici prodotti e servizi. Al limite, il primo prodotto può anche essere regalato se consente di stabilire quella preziosa relazione con il consumatore che costituisce il vero patrimonio futuro dell’impresa.

Certo, le funzioni tradizionalmente svolte dalla marca non sono scomparse. Quelle funzioni cioè che Kapferer e Thoenig (1991) hanno definito come identificazione, orientamento, garanzia, personalizzazione, ludicità e praticità continuano a svolgere il proprio compito. Sono però sempre più sopravanzate dalla nuova funzione che stabilisce un collegamento comunicativo e affettivo tra la marca e numerosi altri soggetti. E’ possibile dunque affermare che la marca sta diventando sempre più “relazionale” (Degon 1998; Manaresi 1999). Addirittura, il consumatore tende sempre più a vivere la marca non soltanto come se fosse un individuo con il quale è possibile stabilire una relazione, ma

127 anche come un individuo che ha su di lui una precisa opinione, rispetto alla quale egli formula ipotesi più o meno attendibili. Ciò è il risultato del fatto che la marca non si accontenta più di rimanere ad aspettare sullo scaffale del supermercato, ma si rivolge direttamente al consumatore, andandolo a cercare proprio là dove egli vive. Il suo obiettivo, in realtà, non è quello di produrre i prodotti, ma quello di “produrre” i consumatori, cioè di attrarre gli individui e di trasformarli in attori del suo mondo.

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