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Il con-sumo nella società post-moderna

Un dato di sostanziale interesse è lanciato da Fabris (2003), quando afferma che anche se era stata l’era della modernità (dal boom economico alla fine degli anni 80) a fregiarsi dell’appellativo di società dei

consumi, il consumo resta in quell’epoca un’area largamente marginale.

L’etichetta di società dei consumi per lo più era stata utilizzata per sottolineare un fatto oggettivo: il forte e continuo dilatarsi del mondo delle merci, che contrasta vistosamente con la penuria di altre epoche. In effetti, per Fabris (ibidem), l’impiego prevalente di questa locuzione (società dei consumi), nell’era della modernità, era per bollare di anatemi

il consumismo indicato come una delle più inquietanti patologie delle

società contemporanee. Incontrovertibile testimonianza dell’ipotetica involuzione materialistica nella nostra cultura.

In realtà il consumo, nell’era della modernità, dipende in tutto e per tutto dalla produzione, rappresenta una sorta di variabile dipendente dagli obiettivi di accumulazione e di profitto che caratterizzano la società capitalistica. Anche quando si supera la tradizionale concezione economicista del consumo e le si attribuiscono altri significati, ad esempio comunicativi, il consumo resta, comunque, il linguaggio della

66 Nella nuova fase della postmodernità in cui si è entrati il consumo assume invece una inedita centralità e crucialità. Avviene infatti una profonda revisione.

Già nelle pagine precedenti si è sottolineato che Egeria Di Nallo osserva come “le società post-industriali portano, tra le loro caratteristiche definitorie, quella di allontanarsi dalla centralità della produzione. Si apre allora al consumo la possibilità di allargare il proprio potenziale di autonomia. Accade così che il consumo, che era stato il linguaggio delle società della produzione, si liberi del riferimento alla logica della produzione, tutto sommato limitante e insoddisfacente, e dalla preponderanza degli schemi relativi ai simboli di status e si ripropone come linguaggio di se stesso. I termini utilità, individualità e convenienza, che avevano connotato la ricerca sul consumo, vengono a perdere il loro monopolio di quadri d’analisi, a favore di categorie più vaste e soddisfacenti; a favore di valori simbolici, sociali e culturali”87.

Abbiamo visto infatti, facendo ache un breve excursus nella storia, che anche nella visione portata avanti da parecchi autori appartenenti alla scuola di Francoforte il consumo è considerato, nei suoi aspetti estremi, come strumento di omologazione degli individui e quindi di riduzione delle loro coscienze.

Certo, la visione negativa del consumo è attualmente sullo sfondo di molti movimenti sociali che, anche se si esprimono soprattutto con

caratteristiche protestatorie88, hanno l’obiettivo non di eliminare il

consumo stesso, ma di orientarlo, insieme alla produzione, positivamente verso uno sviluppo più etico ed un comportamento consumeristico, in

87 E. Di Nallo, Quale Marketing per la società complessa, Angeli, Milano, 1998, pag. 140.

88 Vi sono anche esperimenti limitati propositivi, che potremmo definire riformisti, come nel caso di sperimentali gruppi di acquisto che autorganizzano limitati gruppi famigliari finalizzati all’acquisto di prodotti equo- solidali, biologici ed ecocompatibili.

67 primis, rivolto a coniugare etica, appunto, ed impresa; a tutelare la soddisfazione del consumatore (si affronterà questo aspetto determinante nel terzo capitolo).

Nell’attuale società postmoderna il consumo diventa un fattore decisivo, creatore di senso per l’individuo e per ampie corti sociali assumendo la funzione esercitata in passato dalla tradizione, dalla famiglia, dalla religione e dal lavoro.

Tali aree sono fortemente presidiate dalle imprese che tramite i loro prodotti, le marche, le comunicazioni pubblicitarie fanno crescere negli individui una serie illimitata di desideri, ma, a questo punto, riescono a trasmettere anche dei valori.

La stessa etimologia di consumo ci svela l’importanza di tale atto quotidiano anche nel passato. Cum sumo, significa appunto consumo assieme, Cun sum tradotto non significa altro che “sono con le cose”89.

P. Parmiggiani (1997) sottolinea inoltre come il consumo si evolva nella società contemporanea in un contesto di innalzamento degli standard di vita e dei livelli di istruzione a partire dalla 1950, con un progressivo spostamento della centralità della produzione e quindi del lavoro, ad una pluralità di sfere sociali tra le quali particolare importanza

assume il fenomeno del consumo.90

E’ l’agire che più di ogni altro accomuna i diversi gruppi sociali e si manifesta non solo come incremento di consumo di prodotti materiali quanto, attraverso il consumo, di prodotti immateriali quali quelli culturali,

89 E. Di Nallo, Intervento al Convegno sulla responsabilità sociale d’impresa, 7 Novembre 2003, Bologna. Cfr. anche E. Di Nallo (1997).

90 P. Parmiggiani, Consumatori alla ricerca del sé, Angeli, Milano, 1997, pag. 15; V. Codeluppi, La sociologia

68 i viaggi, lo sport, il benessere, il tempo libero, i consumi tesi all’autorealizzazione.

Halliday (1983), sulla stessa lunghezza d’onda, definisce il consumo come consistente di significati.

Roberta Paltrinieri, nel suo volume non a caso intitolato “Il consumo come linguaggio”(1998) 91, interpreta il consumo secondo una prospettiva culturale, descrivendolo come un linguaggio semantico, come un prisma, tramite il quale il consumatore vede il mondo. E ancora, in un passaggio successivo, per l’autrice “definire il consumo linguaggio della cultura significa… riconoscere in esso un sistema di scambio per la costruzione e ricostruzione di mappe cognitive, collocandolo così tra i luoghi del dipanarsi del rapporto tra significati, segni e realtà sociale” (Paltrinieri 2001, p. 157).

In termini ancora più specifici, la stessa Di Nallo non vede, nel valore del consumo, il bene solo in funzione della relativa utilitas, tipica del valore d’uso; non vede la valutazione astratta del bene riportato ad una astratta e generica unità di misura, tipica del valore di scambio, ma riscopre, pur all’interno dell’astrazione tipica della mediazione di mercato, quelle valenze simboliche del bene, delle quali il soggetto deve riappropriarsi, cercando di convertire le stesse valenze in potenzialità che vanno dall’utilitas, all’estetico, all’intimistico; potenzialità che superano, dunque, il valore ostentativo del consumo capitalistico effettuato in funzione di simboli di status92.

R. Bartoletti (2002) si spinge addirittura oltre e definisce l’anima delle cose e il loro significato come “intimo”. Il consumo e l’uso di un prodotto

91 R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, Angeli, Milano, 1998, pag. 123.

69 entrano quindi nel profondo dell’animo del consumatore, e viene sottolineato che il valore comunicativo delle cose è sempre più importante rispetto al loro valore d’uso.

Ma anche più recentemente lo stesso Fabris (2003)93 evidenzia che i concetti di bisogno e utilità, cari agli economisti, non trovano più che parzialissimi riscontri nella complessità dei mercati odierni. Inoltre, l’autore afferma che occorre soffermarsi sui desideri che hanno metabolizzato i bisogni.

Su questa scia Codeluppi (2000), sviluppa il concetto di spettacolarizzazione del consumo stesso. Nel suo volume Lo spettacolo

della merce, il sociologo mostra come sia in atto un processo di

progressiva estensione della logica spettacolare e promozionale del consumo nata con la vetrina a negozi, a spazi di vendita sempre più grandi, e come tale logica si vada estendendo anche nel sociale. Infatti, secondo Codeluppi, il processo di “vetrinizzazione della società” (ibidem) comporta che gli individui siano diventati delle specie di vetrine in movimento.

I plus valori, i valori simbolici, sociali, culturali, esprimono quindi gli intimi convincimenti soggettivi del consumatore su ciò che è importante. Guidano le decisioni, le scelte e i comportamenti secondo una scala gerarchica che li ordina, ad un livello profondo, in modo consapevole o inconsapevole. Semplificano la complessità, indicano un sentiero al consumatore nomade.

L’identità individuale, in una società post moderna tendente all’ipercomplessità, trova quindi nell’ambito del consumo uno strumento per formarsi, esprimersi, agire.

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