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Oltre il prodotto, il “ valore del consumo”

Questi primi accenni riguardanti la fenomenologia della marca e l’aspetto del goodwill, testimoniano il percorso evolutivo del consumo come espressione di un’attività sociale dotata di senso e il cui valore è mutato compatibilmente ai cambiamenti sociali avvenuti nel contesto in cui viviamo, dove sono cambiate anche le attitudini delle diverse produzioni, oggi sempre più rivolte ad appagare bisogni sia di natura

47 funzionale, sia – soprattutto - simbolica. In rapporto a ciò vi è certamente una ponderazione da parte del cliente dell’utilità derivante dalle caratteristiche d’uso e dell’immagine sia valoriale che sociale, veicolata dai prodotti, con i relativi prezzi monetari e i costi non monetari connessi al processo di acquisto e di consumo.

Nel momento in cui si acquista un prodotto o si usufruisce di un servizio si effettua dunque una valutazione del grado di soddisfazione percepita dalla domanda rispetto alle attese manifestate.

Da circa un decennio vi è una evoluzione della domanda caratterizzata da una crescente importanza delle valenze simboliche in quanto l’agire del consumo è sempre più orientato ad attestare i valori condivisi dagli individui stessi.

Possiamo ricordare ad esempio facendo un passo temporale all’indietro56, ovvero analizzando la società americana di fine Ottocento, come il già citato Veblen, tramite il consumo, sottolinei il bisogno di accettazione sociale. Il bisogno cioè di riflettere durante l’acquisto di un prodotto per la reputazione positiva all’interno di un gruppo nel quale il consumatore è inserito o al quale aspira57.

Accettazione, aspirazione ed emulazione sociale sono tre aspetti non legati né al lato materiale del prodotto, né al suo valore d’uso, ma sono qualcosa di più.

Certamente i tre valori immateriali aggiuntivi concorrono alla realizzazione del prezzo contribuendo a creare differenziazione e valore.

56 S. Podestà, Prodotto, consumatore, politiche di mercato, Etas, Milano, 1984, pag. 59.

57 Veblen, nella sua famosa opera, “La Teoria della classe agiata” (1899), definisce il consumo ostentativo. Secondo l’autore il consumo tende a marcare analogie e differenze di status, di posizione sociale e prestigio diventa metafora del conflitto tra gruppi sociali antagonisti. Cfr. E. Di Nallo (1997), R. Paltrinieri (1998), P. Parmiggiani (1997).

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Anche Duesenberry58 parla di atto di consumo come fondato su

bisogni fisici e bisogni sociali. Entrambi gli autori citati, comunque, sottolineano che il consumatore vive al suo interno una costante battaglia tra la massificazione sociale dei consumi, stabilita dal bisogno di integrazione sociale, e la necessità di esprimere la propria individualità manifestata dalla necessità di realizzare i propri fini, il proprio bisogno fisico.

Ma accanto a queste teorie classiche che definiscono tali valori immateriali, bisogna analizzare quella che è la tendenza sociale odierna e, cioè, che il cliente non acquista prodotti, bensì acquista sovente soluzioni a problemi59 o, nei termini di Fabris (2003), soddisfazioni di desideri.

Il prodotto risolve dunque problemi di bisogno, ma anche di qualità. Deve mantenere un alto tasso d’affidabilità, rispondere a fenomeni di sostitutività, offrire soluzioni d’istantaneità60 e di risparmio di tempo.

I prodotti o i servizi devono essere semplici da scegliere, semplici da acquistare, semplici da capire e semplici da usare.

L’atto d’acquisto nella sua interrelazione e l’atto d’uso devono divenire esperienze piacevoli per il cliente61. E’ proprio “ il piacere” che deve rientrare, a pieno titolo, tra le aspirazioni dell’individuo.

Il cliente, prima di ogni cosa, è un portatore di diritti e, dunque, ama essere considerato un individuo; pretende sempre più, inoltre, che la produzione e la commercializzazione dei prodotti, migliori l’ambiente sia

58 J.S. Duesemberry, Reddito, risparmio e teoria del comportamento del consumatore, Etas Kompass, Milano, 1969; Cfr. E. Di Nallo, Il significato sociale del consumo, Laterza, Bari, 1997.

59 A.G. Busacca, L’era del cliente, Il Sole 24 ore, Milano, 2002, pag. 62. 60 Ibidem, pag. 3, è questo il tempo nelle percezioni di valore del cliente. 61 Ibidem, pag. 80. Valore = Benefici - Problemi

49 economico, sia civile, sia sociale, sia naturale in cui egli stesso, in quanto consumatore e cittadino, è inserito.

Il prodotto è quindi formato da un suo valore materiale, che soddisfa un bisogno immediato, da un suo valore d’uso e da una serie di valori aggiunti, immateriali endogeni ed esogeni.

In questi termini si esprimono anche le tendenze più recenti della sociologia dei consumi che, come abbiamo tentato di riassumere precedentemente, è volta ad esprimere un nuovo valore del consumo stesso.

In altre parole, la suddetta disciplina è propensa ad accettare che il fenomeno del consumo si apre a dimensioni simboliche, espressive, creative appunto, capaci di superare le concezioni di valore d’uso, valore di scambio e/o di status, potendo così esprimersi in termini di “valore di consumo” come da tempo la nota sociologa dei consumi, E. Di Nallo (1984, pag. 33) sottolinea, quando afferma la necessità di focalizzare un nuovo punto di osservazione: “il valore di consumo non vede nel bene solo la funzione relativa all’utilitas tipica del valore d’uso; non la valutazione astratta del bene riportato ad un’astratta e generica unità di misura, tipica del valore di scambio, ma riscopre, pur all’interno dell’astrazione tipica della mediazione di mercato, le valenze simboliche del bene, riconquistandolo al soggetto in tutte le sue potenzialità, dall’utilitas, all’estetico, all’intimistico, potenzialità che vanno ben oltre il valore ostentativo del consumo “capitalistico” effettuato in funzione di simboli di status”. Il riconoscere quindi un polimorfismo segnico agli oggetti - le sue valenze più soft insomma - in funzione della molteplicità di aspetti simbolici e comunicativi di cui sono vettori, è da rapportarsi alle

50 mutate sembianze della società62, nella quale la crisi della razionalità simulatoria a favore di nuovi piani di ragione - l’individuo appare infatti sempre più proteso a sconfessare il patto simulatorio, per aprire nuove finestre di comprensibilità sul reale (ibidem) - è funzione delle nuove coordinate di senso dell’agire del consumo contemporaneo. Quest’ultimo appare dettato da principi di analogicità, contraddizione e atemporalità - sostiene l’autrice - esprimendosi infatti mediante rappresentazioni iconiche non più vincolate dal valore di status degli oggetti, seguendo logiche contrastanti ma compresenti e rivelandosi strumento privilegiato per godere del presente: esso può quindi definirsi metafora del vivere associato, in quanto “appare elemento unificatore e comune dell’azione degli consociati. Non solo tutti in vario modo e maniera consumano, ma le forme di aggregazioni più innovative si muovono nell’ambito dei consumi” (ibidem, pag. 35). L’accettazione dell’esistenza di una pluralità di stili di vita conduce pertanto a riconoscere non solo la molteplicità di significati veicolati dagli oggetti, quanto piuttosto l’autonomia strutturale di cui gode il consumo rispetto alla produzione. Il consumo dunque, come si è detto, non è più linguaggio produttivo tipico della società di massa bensì “allarga il proprio potenziale di autonomia … e si ripropone come linguaggio di se stesso… ripropone come dominante la propria logica interna. Si tratta di una logica che … essendo propria di un linguaggio, è necessariamente interattiva, tale da riportare all’essenza del consumo... Inoltre, il consumo come ogni linguaggio vivo, è al contempo strutturato, fluido e mutevole, in continua evoluzione, cambiamento e

62 Sui mutamenti che hanno caratterizzato l’evolversi strutturale della società contemporanea e le logiche ad essa connesse ribadiamo che i connotati assunti da quest’ultima non sono più quelli della stratificazione piramidale tipica delle società industriali, ma piuttosto i connotati “a cipolla” (Sylos Labini 1980)- appiattita alle estremità ed allargata al centro - per indicare la sua acentralità e un assetto basato prevalentemente su una differenziazione sociale orizzontale. Compatibilmente a ciò, gli individui sono portatori di un’identità poco stabile, frammentata, contraddittoria (Sciolla 1983).

51 diversificazione” (Di Nallo 1997, pag. 45-46). Sotto queste nuove spoglie si presenta la possibilità di attendere al consumo come forma di comunicazione intersoggettiva, capace di oggettivare categorie e significati e di interagire significativamente nella costruzione del reale, cui partecipa come produzione di senso e di significati.

In base a queste premesse il particolare interesse della sociologa italiana è rivolto ad analizzare la sintassi del consumo, ossia le precise modalità con cui i beni sono strutturati in sistemi, i quali appaiono indipendenti dalle scelte dei singoli consumatori in quanto se è vero che il consumo come linguaggio necessita dei propri parlanti-consumatori, per essere conseguentemente agito, ha anche bisogno della sopraccitata autonomia strutturale, in base alla quale porsi come linguaggio universale e socialmente comprensibile (Di Nallo 1995). L’insieme dei sistemi di consumo (e dei relativi subsistemi) degli oggetti presenti nell’attuale società insieme al preciso reticolo di relazioni da essi creato - una sorta di way of life - è secondo l’autrice l’espressione di una coscienza collettiva di durkheimiana memoria. Parallelamente essi rivelano il passaggio dalle logiche lineari della razionalità strumentale a quelle molteplici e contraddittorie dei diversi piani di ragione che l’hanno sostituita. Nei sistemi di consumo così costituiti, gli individui possono scegliere di volta in volta “il linguaggio con cui parlare” senza alcun vincolo di sorta, potendo fluttuare da un sistema all’altro di consumo operando scelte “possibili altrimenti”, contraddittorie, eppure comunque legittimate all’interno della nuova mappa sociale. Sganciandosi così dal legame della stratificazione sociale, il consumo quindi appare disponibile a concepire nuovi modi di essere del mondo, o meglio, nuovi linguaggi per conoscere il mondo. E su questa scia, la sociologa italiana (1998),

52 spostando sempre più l’attenzione dal consumatore verso il processo di consumo, sottolinea un’immagine del consumo volto sempre più a potenziarne le valenze comunicative, interattive e simboliche, il cui oggetto principale non è il singolo bene o la cosa, ma l’informazione che scaturisce dal rapporto di consumo che coinvolge i consociati e le culture da essi veicolati, essendo gli individui dei portatori di ruolo63, dunque soggetti attivi.

Queste ultime caratteristiche attribuibili ai soggetti consumatori, risultano fondamentali anche alla descrizione del nostro percorso di studio, volto a rintracciare nelle logiche più ampie del consumo e della fenomenologia della marca64, quel processo fiduciario rappresentato dal

goodwill e dai valori etici da esso veicolati.