• Non ci sono risultati.

l’impatto della Direttiva 2006/123/CE sui servizi che sono offerti su aree demaniali in concessione o autorizzazione.

CAPITOLO SECONDO Il diritto secondario.

2.1.6. l’impatto della Direttiva 2006/123/CE sui servizi che sono offerti su aree demaniali in concessione o autorizzazione.

Il fine della presente ricerca è di valutare, alla luce delle considerazioni sovraesposte, l’impatto della Direttiva “Servizi” su tutti quei servizi che sono offerti su aree assegnate ai privati, attraverso lo strumento giuridico delle concessioni demaniali. L’articolo che maggiormente interessa tale tipologia di servizi è l’art. 12, il quale predispone una deroga alla regola generale stabilita all’art. 9 e all’art. 11, secondo cui tutti gli schemi autorizzatori devono essere aboliti in quanto i controlli ex-post devono

244Ibid. 245

Nel caso italiano delle concessioni demaniali marittime, vale la pena ricordare che gli operatori balneari chiedono una deroga (sic) dall’applicazione della direttiva. E’ evidente che ciò non sarebbe possibile. Tuttavia, ammettendo che ciò lo fosse, il diritto primario continuerebbe ad essere applicabile al caso di specie. Questa sovrapposizione tra diritto primario e diritto secondario può aumentare l’incertezza del diritto e i dubbi relativi all’interpretazione e all’implementazione di entrambe le fonti di diritto.

essere preferiti ai controlli ex-ante e secondo cui la durata delle autorizzazioni non deve avere durata limitata.

La ratio di tale deroga risiede nel fatto che, come perfettamente enucleato nella lettera dell’art. 12, vi possono essere casi in cui il numero delle autorizzazioni si riveli limitato a causa di scarsità delle risorse naturali, come, nel caso di specie, sono le “spiagge”, ossia le aree che, appartenendo al demanio, vengono date in concessione o autorizzazione ai privati affinché certi tipi di servizi turistici vengano ivi offerti, o come sono le fonti idroelettriche, dove le aree appartenenti sempre al demanio, sono date in concessione o autorizzazione ai privati affinché possano fornire il servizio. Va detto che, in termini strettamente giuridici, secondo il diritto italiano, tali concessioni sono inquadrabili all’interno della concessione di beni, in quanto, ad essere concesse sono appunto le aree e non i servizi.

Tuttavia, l’aspetto interessante è costituito dal fatto che, se da un lato è vero che formalmente sono i beni ad essere concessi, gli attuali assegnatari di tali concessioni non mirano a vedersi aggiudicato il bene in quanto tale, ma piuttosto mirano al bene per poi avere la possibilità di offrire un servizio, da cui a loro volta trarranno profitto. Diritto nazionale a parte, la cui incidenza sarà analizzata all’interno del terzo capitolo, ciò che interessa il diritto europeo è, al di là della forma, il profilo sostanziale.

Per il diritto europeo, invece, va detto che lo strumento giuridico che, secondo il diritto statale è considerato essere una concessione di beni, può essere inquadrato, sia come un’autorizzazione sia come una concessione di servizi. La Direttiva “Servizi” coprirebbe, in teoria, solamente le situazioni regolate da autorizzazioni. Oltre al fatto che è proprio la lettera del testo a farne espressa menzione, va detto che, come emergerà

in maniera più approfondita in seguito, le concessioni di servizi, per il diritto europeo, sono dei contratti disciplinati dalla Direttiva “Concessioni”.

Come sarà precisato in seguito, la motivazione per la quale la Direttiva “Concessioni” non sia applicabile ai servizi che sono offerti su aree demaniali in concessione o autorizzazione non convincono pienamente. Al di là di questa disquisizione teorica, va detto che l’esito pratico non cambierebbe: infatti, sia la Direttiva “Servizi”, sia la Direttiva “Concessioni” contengono un obbligo di gara per gli Stati Membri. Inoltre, è bene ricordare che la base sulla quale la Commissione ha aperto le procedure d’infrazione nei confronti di alcuni Stati Membri per mancata previsione di una gara per l’aggiudicazione delle summenzionate concessioni o autorizzazioni è proprio la Direttiva 2006/123/CE.

Pertanto, occorre precisare che la Direttiva 2006/123/CE, agli artt. 12 e 13, come poi sarà evidente dai prossimi paragrafi, esercita una vera e propria funzione “concessoria” e “appaltante”.246L’art. 12 della stessa, infatti, afferma che non possono essere previsti meccanismi che inneschino un rinnovo automatico della concessione o dell’autorizzazione scaduta, né, a fortiori, diritti d’insistenza al prestatore uscente. Infatti, secondo tale disposizione, deve essere introdotta una procedura di tipo selettivo che scelga tra molteplici candidati secondo i principi di non discriminazione, trasparenza, pubblicità, concorrenza.247

246

A. Usai “Caught Between the Public Procurement Principles and the Public Procurement Function of Directive 2006/123/EC-Still a grey area in search for legal certainty”, EPPPL review 4/2014.

247

La ratio di tale norma è insita nello scopo primario della direttiva stessa, ossia nell’apertura totale del mercato dei servizi, attraverso l’eliminazione delle barriere all’ingresso di qualunque tipo di mercato, l’introduzione del principio di concorrenza e l’abbattimento di tutti i possibili ostacoli o restrizioni alla Libertà di Stabilimento e alla Libera Prestazione di Servizi.

Questo particolare settore dei servizi, cui numerosi prestatori vorrebbero ottenere pieno accesso e piena libertà di esercizio, non è ancora stato interessato da una piena e corretta implementazione della Direttiva 2006/123/CE, né del diritto primario, né della giurisprudenza della Corte di Giustizia.248Appare quasi scontato affermare che, al di là della necessità di introdurre procedure selettive nel settore ivi esaminato, una eventuale non implementazione di tali principi potrebbe comportare che l’attuale frammentazione del mercato dei servizi, e di conseguenza del mercato unico, si trasformi in una lenta e progressiva disintegrazione del mercato interno stesso.

E’, infatti, opportuno non perdere di vista il fatto che, anche a seguito della crisi economica e finanziaria, le tendenze all’adozione di politiche economiche di tipo protezionistico emergono sempre di più in numerosi Stati Membri. Infatti, i governi nazionali sembrano voler approfittare del malcontento generale per dare fiato a un protezionismo di ritorno e continuare, quindi, a salvaguardare il tornaconto delle lobby interne.

Se da un lato, quindi, la Direttiva impone agli Stati Membri di introdurre procedure selettive alla stregua di quelle introdotte in materia di appalti pubblici, è d’uopo altresì affermare, come messo in rilievo nei paragrafi precedenti, che la direttiva

non introduce nulla di nuovo, nella sostanza. Le disposizioni contenute all’interno dell’art. 12 sono esplicite, ma altro non fanno che mettere meglio in luce quanto già contenuto all’interno dei Trattati e della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Ciò che varrebbe veramente la pena domandarsi è se la Commissione Europea, anche in assenza di una direttiva, avrebbe potuto aprire una procedura d’infrazione nei confronti, ad esempio, dell’Italia, perché le concessioni demaniali marittime non sono assegnate attraverso alcuna procedura selettiva e perché è sempre stato in vigore il meccanismo del rinnovo automatico e il diritto di insistenza in capo al prestatore uscente.

In altre parole, avrebbero potuto i Trattati e la giurisprudenza fungere da base sufficiente per imporre all’Italia o ad un altro Stato Membro l’introduzione di una gara? Sicuramente sarebbe stato possibile. Gli art. 49 e 56 TFEU favoriscono la Libertà di Stabilimento e la Libera Prestazione di Servizi, mentre, attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, sarebbe stato possibile richiamare i principi di parità di trattamento, di trasparenza, di pubblicità e concorrenza. Attraverso il richiamo all’art.16 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea249sarebbe stato poi possibile argomentare che è diritto di ogni individuo poter concorrere all’assegnazione di tali aree.

Altra considerazione degna di menzione riguarda l’opportunità o meno di provvedere alla regolazione del settore attraverso una direttiva ad hoc, indi di tipo settoriale, o attraverso un regolamento. Nonostante siano stati messi in evidenza quanti e quali problemi hanno interessato e continuano ad interessare una efficiente

249

implementazione della Direttiva “Dervizi”, tali alternative non sembrano ottimali: una direttiva ad hoc o un regolamento, sebbene possano rivelarsi più chiari o più facilmente eseguibili, richiederebbero un tempo lungo per essere adottati. Senza contare che, proprio perché più precisi, soffrirebbero sicuramente di una genesi ancor più travagliata rispetto alla Direttiva “Servizi”. Inoltre, com’è già stato ribadito nei paragrafi precedenti, i servizi sono per definizione un settore dell’economia in costante movimento, indi per cui un certo grado di flessibilità sarebbe comunque richiesto.

Stando al testo della direttiva, vi sono altri due articoli che possono rilevare nel caso di specie: l’art. 13 e l’art. 14. Per quanto riguarda il primo250, rubricato “procedure di autorizzazione”, occorre dire che esso richiede che le procedure e, più in generale, le formalità, di autorizzazione debbono essere rese pubbliche preventivamente e debbono altresì garantire che la domanda sarà trattata in maniera obiettiva e imparziale. Inoltre, esse non dovranno avere effetto dissuasivo, non dovranno complicare o ritardare in maniera non dovuta la prestazione.

L’art. 14251, in aggiunta, prevede i requisiti che debbano considerarsi come vietati per se. Tra tali norme di diritto nazionale, che interessano altresì la regolazione di quei servizi che sono offerti su aree assegnate in concessione o autorizzazione, vi sono, ad esempio, i requisiti discriminatori. Per requisito discriminatorio s’intende certamente una condizione diretta o indiretta che subordini l’accesso o l’esercizio a un servizio, o alla nazionalità del prestatore o a chi, eventualmente, abbia già esercitato l’attività economica in questione.

250

Cfr. par. 1.3

Nel caso degli assegnatari delle concessioni demaniali, sembra pacifico affermare che il diritto nazionale che non introduca alcuna procedura selettiva o che preveda un rinnovo automatico o il diritto di insistenza, abbia un effetto discriminatorio, in quanto solamente i cittadini dello Stato Membro in questione ne risulterebbero avvantaggiati, mentre prestatori provenienti da altri Stati soffrirebbero un notevole svantaggio competitivo, se non addirittura un blocco totale all’ingresso.

Allo stesso modo, può risultare un requisito ex art. 14 l’introduzione di un test economico che subordini l’introduzione di una procedura selettiva alla prova della sussistenza di una domanda.252

Tra i requisiti che andrebbero valutati caso per caso253e che, per essere accettati, dovrebbero comunque superare il giudizio di non discriminazione e di proporzionalità, vi sono, ad esempio, requisiti in aggiunta a quelli imposti dalla direttiva 2005/36/CE, che subordino l’accesso al servizio a particolari prestatori. Potrebbe violare tale disposizione una procedura selettiva che, tra i criteri di attribuzione di punteggio, prediliga in maniera sbilanciata chi ha già esperienza nel settore.

Altro requisito che potrebbe essere valutato come violazione dell’art. 15 potrebbe essere un eventuale obbligo in capo al prestatore di avere uno stabilimento in più di uno Stato Membro, e ciò in virtù del fatto che impedirebbe, di fatto, a prestatori provenienti da un altro Stato Membro, di concorrere con i prestatori dello Stato d’arrivo, di vincere la gara e, quindi, di risultare assegnatari di due o più concessioni in più Stati diversi.

252Ibid. 253Ibid. e art. 15

Tuttavia, si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi nella quale l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE possa rivelarsi non applicabile al caso di specie. Come detto sopra, infatti, l’elemento distintivo di tale disposizione, rispetto, ad esempio, alla regola generale che imporrebbe che l’accesso e l’esercizio ad un dato servizio non sia sottoposto al rilascio di un’autorizzazione254e che, qualora ciò sia giustificato dal fatto che il regime autorizzatorio previsto sia non discriminatorio, giustificato da un motivo imperativo d’interesse generale e rispettoso del principio di proporzionalità, nonché fondato su criteri non discriminatori, giustificati dalla protezione di un interesse generale, proporzionati, chiari e inequivocabili, oggettivi, resi pubblici preventivamente, trasparenti e accessibili, tale autorizzazione sia rilasciata per un periodo di tempo illimitato255, è rappresentato dal requisito della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche.

Si potrebbe, infatti, sostenere, nel caso delle concessioni demaniali marittime turistico-ricreative, il summenzionato requisito della scarsità non sia presente, giacché le aree demaniali a disposizione e non assegnate sarebbero di numero elevato. Tuttavia, ciò che pare doveroso rilevare, è che, trattandosi di aree, ossia di un terreno, rectius di arenile, la scarsità sussisterebbe necessariamente. Tali aree, infatti, sono vitali per l’accesso e l’esercizio del servizio in questione e non possono in alcun modo essere duplicate da nessun concorrente potenziale.

Se si esamina, ad esempio, il testo della proposta di Direttiva 2006/123/CE del 2004, così come quello del 2006, si potrà notare come, al “considerando” 28, quando ci

254

Art. 9

255

si riferisce al numero limitato delle autorizzazioni disponibili per via della scarsità delle risorse naturali, si faccia proprio l’esempio dello sfruttamento degli impianti idroelettrici.256 Ciò dimostra che, nonostante siano state fatte due proposte dalla Commissione, l’art. 12, e, in particolare, l’elemento della scarsità delle risorse naturali e delle capacità tecniche, unito alla necessità di prevedere, per questo motivo, una durata limitata dell’autorizzazione, non abbia suscitato alcuna particolare controversia.

Nelle due proposte, infatti, si fa espressa menzione delle concessioni idroelettriche, le quali, comunque, presentano delle evidenti analogie con le concessioni demaniali marittime turistico-ricreative, in quanto trattasi sempre di servizi resi su spazi demaniali aggiudicati in concessione o autorizzazione, ossia di servizi forniti grazie allo sfruttamento economico di risorse naturali non presenti in quantità sufficienti da garantire, a tutti i potenziali prestatori, la possibilità di poter fornire il servizio in questione nel mercato.

In ultima analisi, se, da un lato, appare evidente che anche l’arenile è scarso in senso assoluto, ed è forse anche questa sua caratteristica che ne giustifica l’inquadramento tra i beni demaniali, dall’altro lato occorre esaminare se vi sia anche una scarsità relativa. Come accennato sopra, infatti, ci sarebbero altre aree non ancora assegnate. Tuttavia, oltre al fatto che l’assegnazione di nuovi spazi a operatori non presenti sul mercato non farebbe venire meno la barriera all’ingresso costituita

256

Si veda, in riferimento al testo della proposta del 2004, http://eur-lex.europa.eu/legal- content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:52004PC0002&from=EN;

http://www.europarl.europa.eu/registre/docs_autres_institutions/commission_europeenne/com/2006/0160 /COM_COM(2006)0160_EN.pdf

dall’assenza di gara per l’aggiudicazione dei servizi già esistenti, va detto che, dal punto di vista della “domanda”, non tutte le aree sono valutate allo stesso modo. Il mercato geografico rilevante, infatti, non sarà rappresentato dall’intero mercato nazionale, ma da tanti mercati più piccoli. Persino lo Stato, ossia, in questo caso, l’offerta, effettua una valutazione economica e suddivide le concessioni esistenti in categorie in base alle quali si calcola il canone annuo.257

Ne consegue che l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE non può non ritenersi applicabile ai servizi che sono offerti su spazi demaniali in concessione o autorizzazione, ossia, nel caso di specie, alle concessioni demaniali marittime turistico- ricreative. Tuttavia, per completezza, è d’uopo considerare che cosa si verificherebbe, nel caso ipotetico in cui il requisito della scarsità non venisse considerato sussistente. Ai sensi della Direttiva, pertanto, risulterebbero applicabili gli artt. 9 ss. della stessa. In base all’art. 9, quindi, come accennato sopra, si stabilisce che gli Stati Membri possono subordinare l’accesso ad una attività, nonché al suo esercizio, ad un regime di autorizzazione solamente se detto regime sia giustificato da un motivo d’interesse generale e se sia rispettato il principio di proporzionalità.

L’art. 10, poi, come accennato sopra, sancisce che i regimi autorizzatori debbano basarsi su criteri che impediscano un esercizio arbitrario del potere delle autorità. Per questo motivo, i criteri in base ai quali vengono rilasciate le autorizzazioni devono essere non discriminatori, giustificati da un motivo d’interesse generale, proporzionati, chiari e inequivocabili, oggettivi, resi pubblici preventivamente, trasparenti e accessibili. L’autorizzazione, inoltre, deve essere valida su tutto il territorio nazionale,

257

ad eccezione che una limitazione in tal senso non sia giustificata da un motivo d’interesse generale.

In un ipotetico scenario nel quale gli artt. 9, 10, 11 fossero applicabili a seguito del venire meno del requisito della scarsità, ne conseguirebbero dei problemi che vale la pena prendere in considerazione. In base all’art. 9, infatti, se da un lato le autorizzazioni devono essere eliminate, dall’altro lato, qualora si dimostrino necessarie, devono essere assegnate in maniera non discriminatoria. Alla luce di ciò, non si capisce come, un’eventuale riforma del settore che consideri mancante il requisito della scarsità, possa comportare una procedura di assegnazione diversa dall’evidenza pubblica, ossia dal rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, pubblicità, concorrenza.

L’assenza stessa di una gara rende qualsivoglia procedura di aggiudicazione discriminatoria. Non solo: non pare chiaro come possa, ai sensi dell’art. 11, essere escluso un esercizio arbitrario dei poteri dell’autorità. Senza procedura di evidenza pubblica, i criteri di cui all’art. 10 non potrebbero essere rispettati. Tornando all’art. 11, inoltre, come garantire una durata illimitata nel tempo dell’autorizzazione? In questo modo, sarebbe evidente una violazione del principio di non discriminazione e di parità di trattamento, giacché non a tutti i prestatori sarebbe data la possibilità di concorrere all’aggiudicazione. Senza contare, poi, la violazione degli altri principi in materia di appalti pubblici, come il principio di trasparenza, pubblicità e concorrenza, o gli stessi artt. 49 e 56 TFUE, dai quali essi discendono.

In base agli artt. 9 ss, il rispetto del principio di non discriminazione sarebbe richiesto non solo per quanto riguarda i regimi di autorizzazione nel loro insieme, ma

anche nella previsione dei criteri prestabiliti in base a cui le predette autorizzazioni verrebbero assegnate. Ciò che potrebbe verificarsi, in conclusione, sarebbero situazioni alquanto paradossali, in cui la Commissione potrebbe aprire procedure d’infrazione in virtù del fatto che la situazione che ne discenderebbe costituirebbe una violazione, più o meno implicita, del principio di non discriminazione, nonché una violazione del principio di accesso al mercato.

Se, comunque, sia l’art. 49 TFUE, sia i principi che da esso discendono e la giurisprudenza della Corte di Giustizia rimangono applicabili, in combinato disposto, con la Direttiva, un’eventuale non applicabilità di quest’ultima altro non farebbe che far discendere l’obbligo di gara e il rispetto dei principi in materia di appalti pubblici direttamente dal diritto primario.

Parte II

Disciplina degli appalti pubblici e servizi offerti su spazi demaniali in concessione o autorizzazione: cosa questi ultimi possono mutuare dalla prima?

Introduzione

Dopo aver preso in esame l’impatto della Direttiva “Servizi”, nonché il ruolo della stessa nella regolazione dei settori produttivi che, afferendo a Libertà di Stabilimento e Libera Prestazione di Servizi, sono oggetto di studio all’interno del

presente lavoro, quali, ad esempio, le concessioni demaniali marittime turistico- ricreativo, si è ritenuto utile esplorare la potenziale ricaduta, sulla tipologia sovraesposta, della disciplina degli appalti.258

L’opportunità di prendere in considerazione le direttive europee in materia259, nonché l’intera disciplina degli appalti pubblici260, nasce dal fatto che i principi che

258

Per una disamina generale in materia di appalti pubblici, si veda, inter alia C. H. Bovis, EU Public

Procurement Law, Elgar European Law, 2013; V. Lember, R. Kattel, T. Kalvet, Public Procurement, Innovation and Policy: International Perspectives, Springer 2013; R. Caranta, G. Edelstam, M. Trybus, EU Public Contract Law: Public Procurement and Beyond, Bruylant 2013; S. Weishaar, Cartels, Competition and Public Procurement: Law and Economic Approaches to Bid Rigging, Edward Elgar

Publishing Ltd, 2013; D. Dragos, R. Caranta, Outside the EU Procurement Directives-Inside the Treaty?, DJOF Publishing, 2012; S. Arrowsmith, S. Treumer, Competitive Dialogue in EU Procurement, CUP, 2012; P. Trepte, Public Procurement in the EU: A Practitioner’s guide, OUP 2007; P. Trepte, regulating

Procurement: Understanding the ends and Means of Public Procurement Regulation, OUP, 2004; S.

Arrowsmith, M. Trybus, Public Procurement: The Continuing Revolution, Kluwer Law International, 2002; Tra la letteratura italiana, si veda, inter alia: L. Giacometti, Il nuovo codice degli appalti pubblici

coordinato con il regolamento di attuazione, Metellica: Nuova Giuridica, 2012; R. Noguellou, U.

Stelkens (a cura di), Droit comparé des contrats publics, Buylant, 2010.

259

Direttiva 2014/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, che abroga la Direttiva 2004/17/CE, GUUE L 94 del 28 marzo 2014; Direttiva 2014/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, GUUE L 94 del 28 marzo 2014.

260

In riferimento alle origini e agli obiettivi della disciplina europea degli appalti pubblici, si veda, inter