7) Elaborazione di report e apprendimento
4.2 Impresa sociale e innovazione sociale
4.2.1 L’innovazione sociale
In estrema sintesi, l’innovazione sociale può essere definita come le «nuove idee che riescano a raggiungere obiettivi sociali» (Mulgan et alii 2006:9). Con tale definizione, pur ampia ed inclusiva, si distingue l’“innovazione” dal “miglioramento” (che consiste in cambiamenti incrementali) e dall’“invenzione” (che non comprende le fasi di implementazione e diffusione) (Mulgan et alii 2006:9). Scendendo più nel dettaglio, secondo il Bureau of European Policy Advisers, il concetto di “innovazione sociale” è declinabile lungo due dimensioni (Hubert et alii 2011:43): quella di “processo”, in base a cui «l’innovazione sociale attiene allo sviluppo di nuove forme organizzative e di nuove interazioni per affrontare i problemi sociali»; quella di “outcome”, secondo cui le questioni trattate rientrano in tre categorie:
1) i bisogni sociali che non trovano risposta da parte del mercato o delle istituzioni esistenti, in particolare se espressi da fasce vulnerabili della società;
2) le questioni in cui il confine tra l’ambito “sociale” e quello “economico” è sfumato; 3) la riforma della società in senso partecipativo ed abilitativo.
Le due dimensioni (di processo e di outcome) sono connesse logicamente: la crescente insoddisfazione nei confronti dell’offerta dei servizi di pubblica utilità è dovuta in primo luogo all’uniformità ed all’orizzontalità degli interventi in risposta alle esigenze sociali delle comunità, le quali invece esprimono bisogni specifici ed eterogenei. Di conseguenza, l’evoluzione dei servizi necessita della trasformazione delle modalità di produzione: emerge dunque l’importanza della dimensione locale delle dinamiche di rinnovamento del welfare, che devono basarsi sul coinvolgimento degli stakeholder raggiunti a vario titolo dai progetti, secondo modalità appunto
93 “innovative” e conformi alle particolari necessità degli interventi che di volta in volta si vogliono realizzare.
Le definizioni di “innovazione sociale” differiscono in base agli aspetti su cui viene focalizzata l’attenzione. Neumeier (Neumeier 2012:48-69) e Pol e Ville (Pol, Ville 2008) pongono l’accento sull’avanzamento dei risultati conseguiti rispetto agli interventi esistenti. Su una linea analoga si colloca la definizione di Nesta (Murray, Caulier-Grice, Mulgan 2010:5), che individua lo scopo dell’innovazione sociale nella ricerca di soluzioni a bisogni lasciati insoddisfatti sia dall’intervento pubblico, che da quello privato. Dal punto di vista della dimensione di processo, le definizioni si concentrano sulle nuove forme di organizzazione delle interazioni umane nel campo della risposta alle esigenze sociali (Mulgan 2006:145-162), e sulla partecipazione degli stakeholder alla progettazione ed esecuzione degli interventi. L’OCSE individua il tratto caratteristico dell’innovazione sociale nel coinvolgimento nel processo produttivo di soggetti che ne erano precedentemente estranei (CSTP 2011), mentre Phills (Phills et alii 2008:34-43) fa riferimento al superamento delle tradizionali distinzioni tra pubblico, privato for profit e nonprofit, per giungere a modalità di collaborazione sistematica che puntino a generare valore per l’intera collettività. Va detto che il coinvolgimento di soggetti privati non deve far pensare che l’innovazione sociale costituisca un modo per de-pubblicizzare i servizi di welfare: la relazione che si instaura tra gli stakeholder (anche quelli pubblici) deve essere di tipo cooperativo e, in questo senso, il settore pubblico deve esercitare un accresciuto impegno nel fissare le regole e nell’assicurarne il rispetto, soprattutto per ciò che riguarda la possibilità di accesso ai servizi da parte dei cittadini ed il rispetto degli standard di qualità. I processi innovativi possono implicare il coinvolgimento di nuove tipologie di attori; sicuramente, ciò che è diverso rispetto allo status quo è il modello di interazione tra i diversi soggetti coinvolti nell’intervento, che consiste nella costruzione di reti relazionali e nella valorizzazione dello scambio di informazioni e conoscenze. Tale approccio migliora la coesione sociale, favorisce la condivisione delle decisioni (e, quindi, aumenta le probabilità di riuscita dell’implementazione) e contribuisce all’accumulazione di capitale sociale. Per ciò che riguarda il carattere innovativo delle proposte di gestione dei servizi di pubblica utilità, Caulier- Grice (Caulier-Grice et alii 2012) sottolinea come la novità vada misurata rispetto alle modalità esistenti nel contesto in cui si interviene, e non in assoluto. Inoltre, come osserva Westley (Westley 2008), l’innovazione deve cambiare profondamente i comportamenti e le routine attraverso cui si affrontano le questioni sociali. L’innovazione sociale può generarsi a partire dall’individuazione di un problema comune, attorno a cui si aggrega una rete di soggetti interessati ad affrontarlo, o viceversa, dalla nascita di un network che in seguito decide di quali questioni occuparsi (Maiolini in Caroli 2015:27); inoltre, può nascere anche a livello macro o di politiche pubbliche (Hubert et alii 2011:41). Volendo riassumere i diversi punti di vista, si può affermare che le caratteristiche dell’innovazione sociale sono (Caroli 2015:46): la migliore soddisfazione di un’esigenza collettiva; l’innovazione delle relazioni tra gli attori economici e sociali, e dei loro ruoli; l’impiego delle nuove tecnologie; l’uso più efficiente delle risorse disponibili; la generazione di un impatto strutturale; la sostenibilità economica.
Gli attori dell’innovazione sociale non si limitano all’ambito del nonprofit, ma includono i governi, le istituzioni di ricerca e i mercati; tuttavia, il ruolo principale è sicuramente svolto dalle imprese sociali. La social innovation scaturisce come risposta all’incapacità dello Stato di offrire risposte adeguate ai bisogni sociali, ed alla insostenibilità finanziaria dell’intervento pubblico; l’imprenditoria sociale, che costituisce il motore fondamentale dell’innovazione sociale, consente di
94 «reperire risorse aggiuntive e di circoscrivere modalità alternative di contrasto dei rischi sociali e gestione delle esternalità negative del sistema, in constante e repentino aumento, […] di creare nuova occupazione e sostenere il rilancio delle economie locali» (Cugno 2013:2). Di particolare interesse, per spiegare la connessione tra imprenditoria sociale e social innovation, è l’analisi svolta da Maurizio Busacca nell’articolo “Innovazione sociale e capitalismo relazionale” (Busacca 2014). L’autore, muovendo dalla considerazione che l’innovazione sociale è stata, nel corso della storia, un fenomeno ciclico attraverso cui le persone hanno reagito alle pressioni esercitate dai cambiamenti dell’ambiente sociale, afferma che l’attuale proliferazione di social innovation costituisce la spia di un’evoluzione del sistema capitalista. L’evoluzione in questione consiste nel passaggio al capitalismo cognitivo, dove il valore si genera attraverso la conoscenza e l’innovazione, tramite la collaborazione e la condivisione delle informazioni; ciò spinge Busacca a definire questa nuova fase “capitalismo relazionale” (di cui costituiscono esempi lampanti la sharing economy, gli incubatori, i coworking, i fablab). Secondo Busacca, il capitalismo relazionale genera, per sua stessa natura, innovazioni sociali, le quali a loro volta promuovono nuove relazioni, e prende così avvio un circolo virtuoso che spinge all’emersione di fattispecie funzionali innovative (tra cui, in primo luogo, le imprese sociali). L’evoluzione in senso relazionale del capitalismo premia queste nuove forme, che fanno della socialità e della governance partecipata i loro elementi distintivi, e le rende competitive anche rispetto alle imprese tradizionali. In conclusione, Busacca attribuisce alla finanza ad impatto sociale il compito di connettere l’economia tradizionale alle fattispecie innovative, nell’ipotesi (probabile) che non si giunga al prevalere di uno dei due paradigmi (tradizionale e relazionale) sull’altro, ma ad una loro coesistenza e compenetrazione.
L’innovazione sociale segue un andamento a “S”, caratterizzato da un primo stadio di lenta ascesa in ambiti ristretti, seguito da una fase di rapido decollo e da un rallentamento nel momento in cui il processo raggiunge la maturità. Per affermarsi, un’idea socialmente innovativa deve svilupparsi attraverso il concorso tra diversi attori: la collaborazione si esprime tramite alleanze tra le piccole organizzazioni, più flessibili e propense al cambiamento, e soggetti di dimensioni rilevanti, quali governi o aziende, dotati delle competenze e delle dimensioni necessarie all’implementazione (Mulgan et alii 2006:20). La cooperazione deve riguardare ognuno degli stadi evolutivi che caratterizzano l’attuazione di un processo innovativo.
Il percorso che porta all’implementazione di un’innovazione sociale segue sei fasi (Caulier-Grice, Davies, Patrick, Norman 2012:33):
il riconoscimento di un bisogno insoddisfatto; la proposta di potenziali soluzioni;
l’individuazione delle nuove possibilità che consentano di affrontare i bisogni sino ad ora rimasti senza soluzione;
lo sviluppo di un piano operativo; la sperimentazione;
lo “scaling-up” e la diffusione delle idee più promettenti.