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Prospettive di sviluppo dell’impresa sociale

4) Sviluppo di un piano operativo

4.3.2 Prospettive di sviluppo dell’impresa sociale

Secondo il professor Carlo Borzaga, uno dei massimi esperti di impresa sociale a livello italiano ed europeo, i settori dove potrà verificarsi un’espansione dell’imprenditoria sociale sono quelli dei servizi di interesse generale, quali la cultura, l’housing sociale, la ristrutturazione urbana e soprattutto la gestione dei beni comuni, mentre il ramo dei servizi socio-assistenziali conoscerà una crescita più limitata, dal momento che l’offerta è già piuttosto consistente (Borzaga 2016). Anche la sharing economy11, soprattutto se gestita secondo schemi cooperativi, rappresenta un ambito in cui le imprese sociali possono far valere le proprie caratteristiche distintive. Infatti, l’economia della condivisione è vantaggiosa in quanto permette di ottenere servizi a costi inferiori; di conseguenza, la conduzione di piattaforme di sharing economy da parte di organizzazioni che non spingano sulla massimizzazione del profitto, ma anzi interessate a garantire la più estesa accessibilità possibile al servizio, si adatta perfettamente agli scopi stessi di queste modalità di aggregazione della domanda (Borzaga 2016). Inoltre, l’economia della condivisione si basa sulla creazione di “reti sociali” tra soggetti con necessità condivise: le imprese sociali potrebbero dunque mettere a frutto anche in quest’ambito la loro capacità di coinvolgere gli stakeholder nell’esercizio delle attività. Tuttavia, al momento attuale, la presenza dell’imprenditoria sociale nella sharing economy è ancora molto limitata, spesso a causa dell’incapacità di comprendere adeguatamente queste nuove forme di consumo e condivisione di risorse (Zandonai in Social Impact Investment Task Force 2014e:242). Un fattore che potrebbe determinare un’espansione delle imprese sociali è la diffusione, tra le aziende tradizionali, della pratica del social procurement, che consiste nell’acquisto di beni o servizi da organizzazioni sociali; l’esempio tipico è quello dei servizi di welfare aziendale, spesso forniti dalle cooperative. Il social procurement può essere incentivato, dal lato dell’offerta, dall’incremento del numero di organizzazioni dedite a servizi di potenziale interesse per le imprese for profit, e da quello della domanda, dalla trasformazione delle pratiche sociali attuate dalle imprese tradizionali a favore della comunità, passando dalle donazioni e sponsorizzazioni all’acquisto di beni e servizi (Borzaga 2016). L’ambito più promettente per la crescita dell’imprenditoria sociale sembra però essere quello della gestione dei beni comuni; in questo campo, grazie all’innovazione tecnologica, si stanno aprendo interessanti possibilità: si pensi all’incremento dei dati disponibili riguardo le esternalità generate nella gestione delle risorse, che consente l’adozione di modelli fondati su informazioni empiriche dettagliate (Benussi, Profumo in Social Impact Investment Task Force 2014e:247). La forma organizzativa che più si presta ad intervenire nel campo dei servizi legati all’amministrazione dei beni comuni è quella dell’impresa sociale di comunità, che opera «nei sistemi di protezione sociale producendo beni che incrementano la coesione sociale attraverso processi di inclusione e sviluppo locale» (Demozzi, Zandonai 2008:3). Tali imprese, soprattutto se organizzate in forma cooperativa, sono in grado di conciliare la gestione di beni o servizi pubblici o di proprietà collettiva con la sostenibilità economica, la governance democratica, la qualità dell’offerta e l’impatto sociale positivo sulla comunità. L’obiettivo di combinare interesse pubblico ed efficienza economica può trovare una interessante via di attuazione attraverso l’applicazione della già citata prospettiva dello “shared value”, proposta da Porter e Kramer. Due degli ambiti più emblematici in cui si scorgono le potenzialità di successo

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Con l’espressione “sharing economy” si può intendere l’insieme delle pratiche di condivisione e scambio, spesso attuate on-line, caratterizzate da una maggiore democraticità rispetto a quelle svolte sui mercati tradizionali, giungendo frequentemente a consistere in interazioni di tipo peer to peer.

109 delle imprese sociali di comunità sono quelli della gestione della fornitura idrica e della rigenerazione urbana e rurale. Nel primo caso, l’apertura al privato for profit ha spesso condotto all’aumento della tariffe ed alla riduzione degli investimenti, con conseguente peggioramento della qualità del servizio. La forma giuridica della cooperativa di comunità, grazie al coinvolgimento dei cittadini (in quanto soci) nella progettazione ed attuazione dell’erogazione del servizio, alla limitata distribuibilità degli utili ed all’indivisibilità del patrimonio tra i partecipanti, incentiva al perseguimento dell’interesse degli utenti, e non del profitto dei gestori (Bernardoni 2016). Per ciò che riguarda invece i cosiddetti processi di “rigenerazione” urbana e rurale, ovvero l’insieme delle azioni mirate a ripristinare la vivibilità ed il buon funzionamento dei servizi in un territorio, va detto che le misure politiche volte a consentire alle imprese sociali di esprimere appieno le proprie potenzialità in materia comprendono: la creazione di un ecosistema normativo, economico e finanziario, che agevoli le iniziative della società civile organizzata di recupero e valorizzazione dei beni comuni diffusi (in particolare, i beni ambientali e culturali inutilizzati) e di ristrutturazione ed adeguamento delle infrastrutture pubbliche (come gli acquedotti) (Bernardoni 2016); il superamento della logica della “destinazione d’uso” in favore di quella dello sviluppo d’uso, secondo la quale il risultato della rigenerazione consiste «non nella consegna dello spazio fisico riqualificato, ma nello “start up” delle attività previste con la comunità nel suo complesso» (Cristoforetti 2015). Nella gestione dei beni comuni, le imprese sociali si troveranno verosimilmente a competere con le benefit corporation. In tali ambiti sono necessari consistenti investimenti in capitale: di conseguenza, l’impresa sociale deve riuscire a diventare attraente per gli investitori privati. Altrimenti, rischia di essere tagliata fuori da questo mercato dalle società benefit, le quali, non avendo vincoli alla distribuzione degli utili, sono in grado di remunerare adeguatamente gli investitori privati che decidano di finanziarle (Rapaccini 2015). Un ulteriore ruolo dell’imprenditoria sociale all’interno dell’economia è quello della creazione di posti di lavoro stabili e di qualità (in termini sia di remunerazione delle prestazioni, che di opportunità di crescita professionale). Il fenomeno della globalizzazione ha infatti allentato il legame tra lavoro e territorio, ed ha portato con sé una maggiore instabilità dei rapporti occupazionali. Rispetto alla prima questione, si nota che l’impresa sociale considera invece il contesto di riferimento da un lato come partner nelle sue attività, da interpellare per comprenderne i bisogni e le esigenze insoddisfatte e da coinvolgere nei processi di progettazione ed implementazione degli interventi, e dall’altro quale fattore produttivo fondamentale, in grado di offrire coesione sociale, conoscenza, possibilità di relazioni, infrastrutture e servizi (Allegretta, Barabaschi 2015:38). Affinché l’imprenditoria sociale svolga pienamente il ruolo di promotore dello sviluppo locale e di rigeneratore delle comunità, è necessario incoraggiare la costituzione di imprese sociali di secondo livello, con il compito di coordinare reti organizzative in cui vengano coinvolti anche soggetti for profit (Lorenti in Social Impact Investment Task Force 2014e:79-80). Rispetto alla precarietà dei rapporti di lavoro, va detto che le imprese sociali combattono questo fenomeno in due modi: direttamente, attraverso la creazione di posti di lavoro stabili e poco delocalizzabili, e in modo indiretto, offrendo servizi di supporto all’occupabilità. Va inoltre ricordato che, durante la recente crisi economica, il sistema dell’imprenditoria sociale ha svolto il ruolo di ammortizzatore sociale: gli occupati sono raddoppiati nel periodo 2003-2012 (in controtendenza rispetto all’andamento generale del mercato del lavoro), sfiorando le 474.000 unità, ed il numero delle organizzazioni ha conosciuto un notevole incremento, soprattutto nel Mezzogiorno (+136%) (AICCON 2014). Dal momento che le trasformazioni conseguenti alla globalizzazione hanno natura strutturale, e non congiunturale, la funzione di

110 creazione di occupazione di qualità da parte del sistema dell’imprenditoria sociale è destinata ad avere un’importanza crescente, con ricadute positive anche sugli altri attori della comunità (basti pensare all’indubbio vantaggio in termini di rafforzamento della coesione sociale). La politica è ovviamente interessata ai benefici per la collettività delle attività svolte dalle imprese sociali, in primo luogo a quelli riguardanti appunto la creazione di nuovi posti di lavoro. Nei confronti del sistema dell’imprenditoria sociale, i governi svolgono il ruolo di regolatori e di incentivatori (specie per ciò che riguarda l’afflusso di capitali privati) (Vecchi, Casalini, Cusumano, Brusoni in Social Impact Investment Task Force 2014e:3-6). Il primo dei due ruoli si lega alla natura dei settori in cui operano le imprese sociali, contraddistinti dalla presenza di beni e servizi la cui fruizione ha rilevanti implicazioni sociali, dove quindi la regolamentazione a tutela dei consumatori deve essere stringente. Per quanto riguarda la funzione del governo di agente di sviluppo, che si traduce nel sostegno alla nascita ed alla crescita di nuove organizzazioni, gli interventi sono raggruppabili in tre categorie: la creazione delle appropriate condizioni di sistema (che può consistere nell’elaborazione di normative adeguate, nella costituzione di authorities pubbliche, ecc.); la fornitura di servizi di supporto alle imprese (attraverso agenzie dedicate, incubatori o partner privati) in quelle materie dove le competenze delle organizzazioni sono inadeguate, e l’acquisto di consulenze risulterebbe troppo costoso; il sostegno finanziario, tramite un’accorta integrazione tra finanziamenti pubblici e privati (Vecchi, Casalini, Cusumano, Brusoni in Social Impact Investment Task Force 2014e:8-9). Le esternalità positive derivanti dalle attività delle imprese sociali (soprattutto quelle occupazionali) sono state riconosciute anche dalla Commissione Europea, che ha conseguentemente promosso l’elaborazione di un modello europeo di imprenditorialità sociale. Questo intervento si pone l’obiettivo di mettere ordine nel settore e di facilitare la diffusione di tale forma giuridica, pur rispettando alcune diversità dovute al contesto economico, normativo e culturale. Tale approccio presenta alcuni rischi che occorre evitare (Allegretta, Barabaschi 2015:48): innanzitutto, quello di trasmettere la visione del possesso della qualifica di impresa sociale come garanzia di qualità nella gestione dei servizi pubblici, mentre invece la complessità delle esigenze affrontate comporta in ogni caso il pericolo di mala gestio. Poi, la concentrazione troppo elevata degli operatori nell’ambito dei servizi esternalizzati dal settore pubblico rischia di generare un isomorfismo organizzativo su modelli a basso valore aggiunto. Infine, il radicamento nel territorio può portare a derive localistiche. In ogni caso, l’interessamento da parte delle istituzioni europee nei confronti di questa forma giuridica, dimostrata non solo attraverso la volontà di un riconoscimento giuridico unitario, ma anche tramite iniziative concrete (per esempio lo Small Business Act, che agevola l’accesso ai capitali privati da parte delle imprese, anche sociali, di piccole dimensioni), è una prova dell’importante considerazione sul ruolo futuro delle social enterprises nelle economie e nelle società europee. Dal momento che sembra ragionevole immaginare un’espansione dell’imprenditoria sociale, è necessario di converso pensare anche alle vie più adatte per soddisfare le esigenze finanziarie di tali soggetti. Infatti, è prevedibile che l’attuale modello, basato soprattutto sull’autofinanziamento, sia destinato ad essere superato entro breve, a causa della crescita del fabbisogno di capitali (soprattutto per investimenti strutturali), della riduzione degli avanzi di gestione verificatasi durante la crisi economica, dei sempre più frequenti ritardi di pagamento da parte dei committenti pubblici (Venturi, Zandonai, 2012:4). La crescita dimensionale delle unità produttive e l’espansione in nuovi ambiti di attività richiederà uno sviluppo della finanza, sia pubblica che privata, specializzata nell’economia sociale.

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4.3.3 La

creazione di un ecosistema adatto all’affermazione