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Individua almeno due parole-chiave che, in qualche modo, siano comuni a Ficino e a Pico e motiva la tua scelta:

Attività sul testo

4. Individua almeno due parole-chiave che, in qualche modo, siano comuni a Ficino e a Pico e motiva la tua scelta:

a. ………. perché… (5 righe) b. ………. perché… (5 righe)

l’autonomia della politica

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Le principali novità della riflessione di Machiavelli emergono quando il pensatore fioren- tino affronta nodi cruciali quali il rapporto fra morale e politica, fra virtù e fortuna e fra Stato e religione, sulla base di una premessa fondamentale: se il Principe, chi governa, vuole costruire uno Stato bene ordinato, deve attenersi alla ‘effettualità’ delle cose.

• Il Principe non deve avere scrupoli di carattere morale, se non vuole la rovina dello Stato;

• nelle vicende individuali e politiche la fortuna è determinante solo per “metà”; • l’altra “metà” dipende invece dall’uomo, dalla sua capacità di affrontare le diver-

se situazioni.

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A

Considerare la verità effettuale delle cose

Resta ora a vedere quali debbano essere e’ modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scri- vendone ancora io, non essere tenuto presuntuoso, partendomi massime, nel disputare questa materia, dagli ordini degli altri. Ma, sendo l’intento mio scrive- re cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazio- ne di essa. [...]

Lasciando, adunque, indrieto le cose circa uno principe imaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti gli uo- mini, quando se ne parla, e massime e’ principi, per essere posti più alti, sono no- tati di alcune di queste qualità che arreca- no loro o biasimo o laude. [...]

Bisogna ora considerare quali debbano esse- re gli atteggiamenti e le scelte di un principe con i sudditi e con gli amici. Poiché molto è stato già scritto su questo argomento, potrei essere ritenuto presuntuoso per volerlo di nuovo affrontare senza tener conto delle opinioni degli altri. Ma rivolgendomi a chi è in grado di comprendermi, mi è sembrato conveniente esaminare la questione dal punto di vista della sua realtà effettiva piut- tosto che da quello soltanto teorico. Lasciando dunque da parte le considera- zioni solo ipotetiche su un principe e af- frontando quelle reali, affermo che tutti gli uomini, e soprattutto i prìncipi, che hanno maggiori responsabilità, sono contraddi- stinti da alcune qualità che suscitano di- sapprovazione o consenso.

E io so che ciascuno confesserà che sareb- be laudabilissima cosa in uno principe tro- varsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone; ma perché le non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo con- sentono, gli è necessario essere tanto pru- dente che sappia fuggire l’infamia di quelli vizii che li torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano, guardarsi, se egli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno rispetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vi- zii sanza quali e’ possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tut- to, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e, seguendola, sarebbe la ruina sua; e qual- cuna altra che parrà vizio, e, seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo [...]. Debbe, pertanto, uno principe non si cu- rare della infamia di crudele, per tenere li sudditi suoi uniti e in fede; perché, con pochissimi esempli, sarà più pietoso che quelli e’ quali, per troppa pietà, lasciono seguire e’ disordini, di che ne nasca occi- sioni o rapine; perché queste sogliono of- fendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe of- fendono uno particulare. E intra tutti e’ principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome del crudele, per essere li stati nuovi pieni di periculi [...].

Nasce da questo una disputa: s’egli è me- glio essere amato che temuto, o ’l converso. Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché egli è difficile accozzar- li insieme, è molto più sicuro essere temu- to che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua.

Perché degli uomini si può dire questo ge- neralmente: che sieno ingrati, volubili, si- mulatori e dissimulatori, fuggitori de’ peri- coli, cupidi di guadagno; e mentre fai lo- ro bene, sono tutti tua, offeronti el san- gue, la roba, la vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina; perché le amicizie che si acquistano col prezzo, e non con grandezza e nobiltà di animo, si meritano, ma non le si hanno, e a’ tempi non si pos- sono spendere. E gli uomini hanno meno respetto a offendere uno che si facci ama- re, che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da un vinculo di obligo,

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“Virtù” e“vizi” necessari al principe C

È meglio che il principe sia temuto o amato?

So che ciascuno riterrebbe apprezzabile che un principe fosse dotato, tra tutte que- ste qualità, di quelle positive; ma poiché, per la stessa condizione umana, non è possibile né possederle tutte, né valutarle completamente, è necessario che egli sap- pia evitare il disonore di quei vizi che gli toglierebbero il potere e che sia vigile, per quanto possibile, verso quelli che non lo mettono in pericolo; comunque, questi ul- timi sono senz’altro meno gravi. Ed anche il principe non si deve preoccupare di es- sere disapprovato per quei vizi senza i quali è difficile salvare lo Stato; infatti, ad un attento esame, potrebbe fare scelte ap- parentemente oneste cui seguirebbe la sua rovina; o al contrario optare per altre che appariranno disoneste, ma condurranno al consolidamento del potere.

Pertanto un principe, per mantenere i suoi sudditi uniti e fedeli, non si deve curare dell’accusa di crudeltà; infatti, con pochis- simi esempi, sarà più pietoso di coloro che, per troppa pietà, provocano disordini cui seguono uccisioni e rapine; queste, in- fatti, recano offesa a tutta la comunità, mentre le esecuzioni decise dal principe colpiscono solo qualche individuo. E poi- ché gli Stati attuali sono pieni di pericoli, tra tutti i prìncipi, il principe nuovo non può evitare la fama di crudele.

Da ciò nasce la questione: se per lui è me- glio essere più amato che temuto o vice- versa. Si risponde che si vorrebbe l’una e l’altra cosa, ma poiché è difficile conciliar- le, è molto più sicuro essere temuto che amato.

In genere, infatti, questo si può dire degli uomini: sono ingrati, volubili, falsi e ipocri- ti, avidi di guadagno e non vogliono affron- tare pericoli; e mentre fai loro del bene si mostrano riconoscenti, ti offrono il sangue, i beni, la vita, i figli, quando non ne hai bi- sogno; quando, invece, il loro aiuto sareb- be necessario, si ribellano. E quel principe che si è completamente affidato alle loro parole, trovandosi sprovvisto di altri mez- zi, va in rovina; perciò le amicizie che si ot- tengono con i favori e non con la grandez- za e la nobiltà d’animo, si meritano, ma in realtà non si hanno e non si possono uti- lizzare al momento opportuno. E gli uomi- ni hanno meno scrupoli nell’offendere uno che si faccia amare, piuttosto che uno che si faccia temere; l’amore, infatti, è mante- nuto da un legame morale che poiché gli

il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pe- na che non ti abbandona mai.

Debbe nondimanco el principe farsi te- mere in modo che, se non acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può mol- to bene stare insieme essere temuto e non odiato; il che farà sempre, quando si astenga dalla roba de’ sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro [...]. Dovete, adunque, sapere come sono due generazioni di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo è delle bestie: ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Pertanto, a uno principe è necessario sa- pere bene usare la bestia e l’uomo. [...] Sendo, dunque, uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si defende da’ lupi. Bisogna, adun- que, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. [...] Non può, pertanto, uno signore prudente, né deb- be, osservare la fede, quando tale osser- vanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se gli uomini fussino tutti buoni, questo precet- to non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro. [...] E hassi ad intendere questo, che uno princi- pe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo sta- to, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla re- ligione. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni delle co- se li comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sape- re intrare nel male, necessitato. [...] Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati; perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare, e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo.

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D

Il principe deve essere ‘volpe e leone’ E

Il fine giustifica i mezzi?

uomini sono malvagi, si rompe quando conviene; il timore, invece, è tenuto dalla paura della punizione, che non ti abban- dona mai.

Il principe, nondimeno, deve farsi temere in modo che, se non è amato, tenga lonta- no l’odio, perché si può benissimo conci- liare l’essere temuto e non odiato; e que- sto potrà ottenere evitando di appropriar- si dei beni dei suoi cittadini e dei suoi sud- diti e delle loro donne.

Vi sono, dunque, due modi di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: il pri- mo è tipico dell’uomo, il secondo delle be- stie: ma poiché il primo spesso non basta, conviene ricorrere al secondo, quindi il principe dovrà saper bene utilizzare i me- todi della bestia e quelli dell’uomo. Essendo, dunque, un principe nella neces- sità di saper usare bene la natura della be- stia, deve scegliere la volpe e il leone per- ché il leone non si difende dalle trappole, la volpe non si difende dai lupi. Bisogna, dunque, essere volpe per conoscere le trappole, e leone per spaventare i lupi. [...] Un signore prudente, pertanto, non può né deve mantenere la parola data quando ciò si ritorca contro di lui e siano venute meno le ragioni che lo fecero promettere. E questa prescrizione non sarebbe valida, se gli uomini fossero tutti buoni; ma poi- ché sono malvagi non manterrebbero la parola con te, perciò anche tu non la devi mantenere con loro. [...] Si deve intendere questo, che un principe, e soprattutto un principe nuovo, non può osservare tutte quelle norme per le quali gli uomini sono ritenuti buoni, trovandosi spesso nella ne- cessità, per mantenere lo Stato, di agire contro la parola data, la carità, l’umanità, la religione. Bisogna, perciò, che egli abbia una disposizione d’animo che assecondi i venti della fortuna e i cambiamenti delle situazioni; e, come ho già detto, se è pos- sibile, non deve separarsi dal bene, ma, se è necessario, deve saper entrare nel male. Un principe, dunque, agisca in modo da vincere e governare lo Stato; i mezzi saran- no sempre giudicati degni di stima e ap- prezzati da ciascuno; il volgo, infatti, va sempre conquistato per mezzo di una cer- ta immagine dell’opera del principe e del risultato da lui ottenuto; e nel mondo non c’è altro che volgo.

E’ non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla for- tuna e da Dio, che gli uomini con la pru- denzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per que- sto potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi go- vernare dalla sorte. Questa opinione è su- ta più creduta ne’ nostri tempi, per la va- riazione grande delle cose che si sono vi- ste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni uma- na coniettura. A che pensando, io, qual- che volta, mi sono in qualche parte incli- nato nella opinione loro. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi.

Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lie- vono da questa parte terreno, pongono da quell’altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza po- tervi in alcuna parte obstare. E benché sieno così fatti, non resta però che gli uo- mini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbono per uno canale, o l’impe- to loro non sarebbe né sì licenzioso né sì dannoso. Similmente interviene della for- tuna; la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle; e quivi volta li sua impeti dove la sa che non sono fatti gli argini e li ripari a tenerla. [...] Credo, ancora, che sia felice quello che ri- scontra el modo del procedere suo con le qualità de’ tempi, e similmente sia infeli- ce quello che con il procedere suo si di- scordano e’ tempi. Perché si vede gli uo- mini, nelle cose che li conducono al fine quale ciascuno ha innanzi, cioè glorie e ricchezze, procedervi variamente; l’uno con respetto, l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno per pa- zienzia, l’altro con il suo contrario: e cia- scuno con questi diversi modi vi può per- venire. [...]

Fa bene la fortuna questo, che la elegge uno uomo, quando la voglia condurre co- se grandi, che sia di tanto spirito e di tan- ta virtù, che ei conosca quelle occasioni che la gli porge. Così medesimamente, quando la voglia condurre grandi rovine,

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Virtù e fortuna

So bene come molti abbiano pensato e pensino che le cose del mondo siano go- vernate dalla fortuna e da Dio in modo ta- le che gli uomini pur con la loro opera av- veduta non possano modificarle, anzi non vi possano porre alcun rimedio; e per que- sto potrebbero ritenere che, piuttosto che affaticarsi tanto nelle varie situazioni, ci si debba lasciar governare dalla sorte. Que- sta opinione è stata la più seguita nel tem- po attuale per i notevoli cambiamenti che sono avvenuti e avvengono ancora ogni giorno, al di là di ogni possibilità di preve- derli. E pensando a questo, anch’io a volte sono stato favorevole a questa opinione. Tuttavia, affinché la nostra libertà di scelta non venga annullata, penso possa essere vero che la sorte sia arbitra della metà del- le nostre azioni, ma che ne lasci governare l’altra metà, o quasi, a noi.

E paragono quella (la sorte) a uno di quei fiumi impetuosi che, quando sono in pie- na, allagano le pianure, abbattono gli albe- ri e gli edifici, sollevano da una parte il ter- reno e depositano materiali da un’altra; ciascuno fugge dinanzi a loro, cede alla lo- ro violenza senza potersi opporre in alcun modo. E benché abbiano questa natura, nulla impedisce che gli uomini, nei periodi di calma, possano prendere provvedimen- ti costruendo ripari e argini in modo da deviare l’acqua del fiume in piena verso un canale e limitare i danni. Qualcosa di simi- le accade riguardo alla fortuna, che dimo- stra la sua potenza quando non intervenga una ben preparata virtù per resisterle; e di- rige la sua forza dove sa che non ci sono argini e ripari per trattenerla. [...]

Credo, ancora, che possa ottenere il suc- cesso colui che adatta il suo modo di pro- cedere alle condizioni politiche del suo tempo e sia invece destinato al fallimento chi con il suo operato non ne tenga conto. Si può notare, infatti, come gli uomini, nel- le azioni che li conducono allo scopo che ciascuno si propone, cioè glorie e ricchez- ze, seguano strade diverse; l’uno agisce con prudenza, l’altro con impeto; l’uno con violenza, l’altro con astuzia, l’uno con pazienza, l’altro con atteggiamento con- trario: e ciascuno in questi diversi modi può raggiungere l’obiettivo. [...]

La sorte, quando vuole suscitare grandi co- se, sceglie un uomo di spirito e virtù tali che sia in grado di comprendere le occa- sioni che essa gli offre. E nello stesso mo- do, quando voglia condurre a grandi rovi-

da N. Machiavelli, Il Principe, 25 e Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II, 29, in Tutte le opere, Sansoni, Firenze 1971

GUIDA ALL’ANALISI

A

Un progetto politico deve partire da un’analisi della realtà effettiva e non basarsi su un modello ideale, immaginario, del principe, come quello tratteggiato da moralisti e filosofi utopisti. Perciò non occorre indicare dei “modelli di virtù”, dei comportamenti “virtuosi” cui il principe si dovrebbe attenere, ma delineare un modello politico tratto dall’esame della realtà storica.

B

Un modello ideale di Principe dotato di tutte le virtù ed esente da vizi è utopico. Al Principe occorre invece chiedere di astenersi da tutti i comportamenti che possano minare la stabili- tà dello Stato. Ciò che conta è la conservazione e la difesa dello Stato e, quindi, il possesso – da parte del Principe – di qualità politicamente “buone” in quanto funzionali al consegui- mento di quel fine, anche se moralmente da considerarsi come “vizi”. La virtù e il vizio non devono essere considerati astrattamente, con un criterio puramente etico. Machiavelli affer- ma la relatività delle qualità morali, da valutarsi in rapporto alla gestione del potere. Egli ritiene infatti necessario l’uso di mezzi repressivi, finalizzato al mantenimento dell’ordine, soprattutto in rapporto alla situazione di instabilità politica degli Stati italiani dell’epoca.

C

Poiché lo scopo di chi governa è costituire e mantenere uno Stato ben ordinato e tenendo conto che gli uomini antepongono sempre il tornaconto personale ai criteri di ordine mora- le e al bene dello Stato, è preferibile che il Principe sia temuto piuttosto che amato, poiché la paura della pena è il deterrente più efficace per tenere a freno gli uomini.

D

Con la metafora della volpe e del leone vengono individuate le qualità che il Principe deve mostrare nell’azione politica: la forza del leone e l’astuzia della volpe. Quest’ultima consi- ste, ad esempio, nel non mantener fede alle promesse se la situazione politica lo richiede; o anche nel saper mascherare opportunamente i propri inganni.

E

“Il fine giustifica i mezzi”: è una delle affermazioni – deducibili non solo da questo passo ma dall’insieme dello scritto – attribuite a Machiavelli e la più criticata. Occorre però me- glio intendere il senso di tale giustificazione dei mezzi – anche dei più moralmente ripro- vevoli – in relazione al fine. L’uso di mezzi, come l’abilità nel simulare e dissimulare, ossia nell’ingannare gli altri e nel nascondere la vera natura delle proprie intenzioni, fa parte del- le qualità del politico. Il Principe non deve osservare la parola data, se da questo dovesse