Erasmo anticipa, per molti versi, il movimento della Riforma protestante: auspica il ri- torno alle Sacre Scritture e al Cristianesimo delle origini, vissuto nell’interiorità della co- scienza e con semplicità. Tuttavia il radicalismo della Riforma non lo convince, pur es- sendo egli su molti punti d’accordo con Lutero e pur avendo – per diversi aspetti – in- fluito su di lui.
Erasmo resta un dotto umanista, non si sente un rivoluzionario. A differenza di Lute- ro, egli vorrebbe condurre un’azione graduale di riforma della Chiesa e vede con timore e sgomento le conseguenze e i pericoli che la drastica rottura dell’unità del mondo cri- stiano può portare all’Europa: pericoli per la pace, per il Cristianesimo, per lo stesso or- dine sociale (come dimostrano le sommosse popolari innescate dal moto riformatore).
Lo scontro e la rottura con Lutero avverranno su una questione cruciale: quella della libertà. Per l’umanista Erasmo la volontà umana è libera. Egli si oppone all’idea lutera- na che l’uomo sia incapace di liberarsi dal peso del peccato originale e che la salvezza dipenda unicamente dalla grazia, cioè da una libera decisione e iniziativa divina.
Per Erasmo, al contrario, la salvezza è alla portata dell’uomo. D’altra parte, se non vi fosse libertà nell’uomo, che senso avrebbero la giustizia e la misericordia di Dio? Che senso avrebbe agire male o bene, se non fossimo che uno strumento nelle mani di Dio, co- me la scure lo è in quelle del falegname? Come potrebbe esservi responsabilità senza li- bertà? Sta dunque all’uomo, solo a lui, decidere se liberarsi o meno dal peccato e, in tal modo, salvarsi: la grazia interviene in suo aiuto solo dopo che egli ha compiuto la sua li- bera scelta. L’uomo e Dio, quindi, cooperano “nell’opera indivisibile della rigenerazione”. Nel cuore delle roventi polemiche, delle lacerazioni e dei drammi che investono la Chiesa e l’Europa intera, il dotto fiammingo manifesta così una visione ottimistica, una ferma e serena fiducia nelle possibilità umane.
• Qual è, a livello europeo, il rapporto tra Umanesimo e renovatio christiana? • Quali sono i tratti del regno di “Utopia”, per Tommaso Moro?
• Come deve rinnovarsi il Cristianesimo, secondo Erasmo? • E quale la funzione dell’Umanesimo, per tale rinnovamento? • Quale tipo di “pazzia” Erasmo elogia e quale condanna? • Qual è, per Erasmo, il valore della libertà?
La pazzia di una vita autentica e di un vero Cristianesimo T5
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Affinità e distanza dal Luteranesimo Lo scontro sulla libertàIl proprio io come oggetto Lo scetticismo Critica dell’“euro- centrismo” Analisi della condizione umana
Lo scetticismo di Montaigne
Pur se basata su una solida formazione umanistica, la riflessione del francese Michel
Eyquem de Montaigne (1533-1592) registra un ridimensionamento delle certezze che
avevano animato la cultura rinascimentale, aprendo nuove prospettive e linee di elabora- zione per il pensiero.
Per diversi anni (dal 1554 al 1570) Montaigne opera come magistrato a Bordeaux. In seguito, stanco della vita pubblica, si ritira nel proprio castello nel Périgord, dedicando- si agli studi e alla meditazione, interrompendoli solo con alcuni viaggi in Svizzera, Ger- mania e Italia e con l’assunzione della carica di sindaco di Bordeaux.
Nel suo castello egli scrive l’opera fondamentale, gli Essais (“Saggi”, oppure “Espe- rienze”), pubblicati nel 1580 e poi ristampati con modifiche e ampie integrazioni nel 1582 e nel 1585.
“Sono io stesso la materia del mio libro”, scrive: iI filosofo guarda se stesso, osserva l’“io” del signor de Montaigne e vi rintraccia aspetti e problemi tipici della condizione umana.
La meditazione interiore condotta da Montaigne non ha più l’impronta religiosa che ave- va in Agostino, ma presenta un carattere laico. Egli è convinto che solo assicurandoci “un
retrobottega tutto nostro, tutto libero”, sia possibile “assicurare la nostra vera libertà”. Il
maestro – in tal senso – è Socrate: un uomo che per Montaigne si è dimostrato ben supe- riore ad Alessandro Magno, perché, mentre quest’ultimo è riuscito a dominare il mondo, Socrate è riuscito a dominare se stesso: e questo è un compito ben più difficile di quello.
Nella riflessione di Montaigne viene dato forte rilievo allo Scetticismo, di cui egli si avvale per liberare il pensiero dalla presunzione del sapere e dalle soffocanti bardature dei grandi sistemi speculativi del passato, in particolare del Platonismo e dell’Aristotelismo.
Montaigne è consapevole dei limiti costitutivi della natura umana e delle sue capacità conoscitive. Tali limiti gli appaiono particolarmente evidenti, perché limitate sono – per l’uomo – le possibilità di raggiungere la verità e la felicità e vani i suoi tentativi di con- seguirle una volta per tutte. Paradossali e ridicoli, quindi, sono gli sforzi di pensatori e uomini di cultura (e degli stessi Umanisti) di collocare l’uomo al centro dell’universo, di descrivere il mondo in termini antropomorfici, come se l’uomo fosse il fine a cui volgo- no il moto della volta celeste o la luce delle stelle: “non c’è nulla di più ridicolo del fat-
to che questa creatura miserabile e meschina che è l’uomo, che non riesce nemmeno ad essere padrona di sé, si creda destinata ad esser padrona dell’universo, del quale non può conoscere e tantomeno dominare la benché minima parte”.
Insieme all’antropomorfismo metafisico egli irride anche all’“eurocentrismo” dei con- quistatori del Nuovo Mondo, muovendosi in controtendenza rispetto all’idea di una “mis- sione di civiltà” dell’Occidente verso i “selvaggi”. Montaigne sottolinea come non vi sia nessuna nostra superiorità da vantare rispetto ai popoli delle Americhe o del Lontano Oriente: è ridicolo pensare che la verità e la cultura siano patrimonio esclusivo di questa parte del mondo e che altrove non vi sia che “barbarie”. In realtà “non vi è nulla di bar-
baro o di selvaggio, se non che ognuno chiama barbarie ciò che non è nei suoi usi; sem- bra, infatti, che non abbiamo altro punto di riferimento, per la verità e la ragione, che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del Paese in cui siamo”.
La condizione umana viene descritta in modo lucido e spietato. L’uomo appare preda delle opinioni sulle cose, assurdamente proiettato al di là di se stesso, lanciato verso ciò che si ve- rificherà quando egli non ci sarà più. Egli “è sempre in mezzo tra la nascita e la morte e non
attinge di sé che un’apparenza oscura ed umbratile, un’incerta e debole opinione”. E se si
ostina, malgrado tutto, a cercar di “afferrare il suo essere”, conclude Montaigne riprendendo un motivo scettico, “sarà come stringere l’acqua nel pugno; più serrerà e stringerà ciò che
di sua natura sfugge da tutte le parti, più perderà quello che voleva stringere e tenere”.
CRISI DEL PENSIERO RINASCIMENTALE
Guida
allo studio
È quindi necessario comprendere i limiti della propria natura e accettarli. Solo questo ci permette di affrontare i problemi in modo costruttivo e di migliorare noi stessi. Non bisogna camminare “sopra le cose”, ma, anche qui come Socrate, occorre stare con i pie- di ben saldi sulla terra e, con passo tranquillo, trattare i casi più spinosi e complessi; a partire da quello che la morte presenta per ciascuno di noi, perché essa è dovunque, si mescola e si confonde dappertutto con la vita. “Tu non muori perché sei malato; tu muo-
ri perché sei vivo”, afferma Montaigne, perché la morte è una dimensione costitutiva del
vivere. Proprio sapendo che si dovrà morire, è possibile vivere più pienamente la vita: “io la godo il doppio degli altri, perché a misura che il possesso del vivere è più breve,
bisogna che io lo renda più profondo e pieno”.
La saggezza è senso del limite, ricerca di un sereno equilibrio interiore, convivenza fra passioni e ragione.
Le passioni non debbono essere soffocate, ma solo controllate, poiché occorre realiz- zare uno stile di vita che sia, nello stesso tempo, ricco sul piano affettivo e guidato da una ragione non offuscata da emozioni contraddittorie e laceranti.
Limiti della natura umana T12
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La saggezza come senso del limite• A quale oggetto si rivolge l’indagine di Montaigne? • Come viene descritta la condizione umana? • In che cosa consiste la saggezza?
L’umanismo di Montaigne
Sergio SolmiIl concreto insegnamento di Montaigne giunge … a riporre tutte le ragioni della vita nella vita stessa e a riscattare ogni facoltà e forza dell’uomo a favore dell’uomo. In sostanza il più vivo pensiero di Montai- gne, attraverso le incertezze dei suoi sviluppi, le sue soste e le sue contraddizioni, tende a comporsi in quell’atteggiamento che è stato definito impropriamente epicureo, quale si esprime nel terzo libro degli
Essais: proprio in quell’atteggiamento che i suoi critici hanno tentato di svalutare e di sminuire, attribuen-
dolo ad uno sviamento marginale della sua meditazione, se non addirittura all’indebolimento della vec- chiaia, e cercando di spuntarne i vivaci aculei attraverso interpretazioni anodine e inoffensive. Mentre è chiaro che la visione dell’uomo e della vita che si dispiega negli ultimi Essais era già contenuta in germe nelle prime pagine compitate dallo scrittore nella solitudine finalmente conquistata del suo castello di Montaigne; che il suo cosiddetto stoicismo, il suo scetticismo sono soltanto le forme provvisorie che as- sunse l’incoercibile inclinazione del suo pensiero verso quella soluzione definitiva.
Perché, a chi ben guardi, l’ideale della saggezza di Montaigne non consiste già nella vittoria contro il do- lore e il terrore della morte, né nell’indifferenza e atarassia pirroniana, né nell’equilibrio aristotelico del- la virtù mediocre, né, infine, in un qualsiasi schema prestabilito di moralità a cui l’uomo dovrebbe com- porre le proprie azioni. Tutti i concetti della filosofia classica a cui volta per volta s’ispirò Montaigne non hanno in lui altro compito che quello di strumenti provvisori, di formule approssimative sulle quali il suo pensiero, non ancora completamente saggiato e chiarito dalla lunga esperienza, appare essersi sofferma- to senza arrestarsi. […]
No, Montaigne non poteva soffermarsi nell’atteggiamento di compiaciuta contrazione, nell’irrigidimento di sfida che è proprio della virtù stoica di fronte alla morte. […] Tutta l’esperienza morale di Montaigne ten- de lentamente, sordamente, ad una totale liberazione dell’individuo: liberazione dal terrore della morte, liberazione dai dubbi metafisici, liberazione, infine, dalle preoccupazioni dell’avvenire, prima e dopo la morte, per reintegrare insensibilmente nella vita, per minacciata e manchevole che essa sia, ogni valore umano. […] Insomma, il processo della saggezza di Montaigne consiste in una progressiva corrosione di tutti gli ideali e gli scopi che rendono difficile la vita, per proporre l’ideale più elementare e semplice pos- sibile: quello di uno sciolto, esatto aderire dell’individuo al naturale movimento e ritmo della vita stessa.
da La salute di Montaigne, saggio introduttivo a: Michel de Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, Arnoldo Mondadori, Milano 1970
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Il Rinascimento è stato spesso considerato come il luogo di nascita della modernità. Nato dall’affermazione del valore ideale (filo- sofico e formativo) delle humanae litterae, è divenuto sinonimo di “riscoperta” dell’uomo, di “restituzione” dell’uomo a se stesso. Sempre più si interpretano Umanesimo e Rinascimento come momenti di un unico pro- cesso culturale, caratterizzato, in particolare, dal recupero della cultura classica, dall’idea di una centralità dell’uomo nell’universo, di una corrispondenza di uomo e natura, di microcosmo e macrocosmo, e da una visione nuova e diversa della natura, che, pur per- meata da idee magico-astrologiche, condurrà all’affermarsi della scienza moderna.➦
Per nicola cusano Dio è al di là di tutto, infi- nito, quindi incommensurabile per la mente umana, poiché sfugge a ogni rapporto e pro- porzione, mentre la conoscenza umana si realizza solo come proporzione, rapporto tra il noto e l’ignoto.L’uomo può avere di Dio una docta ignoran-
tia, poiché non conosce Dio in se stesso, ma
può solo avvicinarsi alla sua conoscenza. Di Dio si può dire che è coincidenza degli
opposti, poiché in lui vengono a coincidere
tutti gli attributi, anche quelli fra loro contrari. Il rapporto tra Dio e mondo viene spiegato dicendo che Dio è la complicatio di tutte le cose e ha in queste la propria explicatio, dispiegandosi nelle cose stesse, ma rima- nendo sempre al di là di esse, come l’unità che genera la molteplicità restando sempre se stessa. Ma, mentre nel mondo le cose sono limitate ed opposte fra loro, in Dio tutte sono compresenti: Dio, quindi, è altro rispet- to al mondo, lo trascende infinitamente.
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Marsilio ficino è fautore di una docta reli-gio e di una pia philosophia, in cui vengano
a rifondersi il Platonismo e il Cri stiane simo, sotto il segno di una comune rivelazione reli- giosa. L’anima è copula mundi, luogo spiri- tuale in cui avviene la congiunzione del mondo dell’uomo con Dio, è al centro dell’uni- verso, è immortale e tende verso Dio, spinta da un eros che è amore della bellezza.
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Anche Pico della Mirandola parla di unità religiosa del genere umano. Egli afferma, inoltre, la libertà e la dignità dell’uomo e critica l’astrologia perché nega tale libertà.Sintesi
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Pietro Pomponazzi ripropone l’Aristote li smo. Mentre la religione cerca di adattare una dot- trina alla mentalità del “volgo”, la filosofia si rivolge ai “dotti ”. Pomponazzi nega l’immorta- lità dell’anima, poiché questa è forma di un corpo e, quindi, impossibilitata ad agire alla morte di esso. Afferma che la virtù è premio a se stessa e non dipende dalla speranza di premi o dalla paura della dannazione eterna.➦
niccolò Machiavelli è il primo grande teori- co della politica come scienza autonoma dalla morale e dalla religione.Avendo come compito principale la costruzio-
ne e il governo di uno Stato ben ordinato, la politica deve fare riferimento agli uomini
come sono, non come si vorrebbe che fosse-
ro. La natura umana è immutabile, le passioni e le tendenze umane sono sempre le stesse. Virtù del politico sono la forza e la capacità di costruire il consenso intorno a un suo proget- to. Gli atti politici sono “buoni” solo se effica- ci, produttivi di risultati.
L’azione umana è spesso sovrastata dalla
fortuna: ma questa è arbitra solo per metà
delle azioni umane, per l’altra metà essa può essere governata dagli individui, dalla loro ‘virtù’.
Scopo ultimo dell’azione del Principe è la costruzione di uno Stato nuovo o la salvezza di uno Stato esistente: per tali scopi ogni mezzo è giustificato.
La religione non è più fondamento del pote- re, ma è instrumentum regni, strumento di organizzazione del consenso. teorico del governo del “Principe”, vista la situazione del suo tempo Machiavelli considera come forma migliore di Stato quella della Re - pubblica romana.
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leonardo da Vinci connette esperienza e ragione, l’osservazione dei fatti concreti e la misura, il calcolo matematico e la costruzio- ne di macchine e congegni, la produzione artistica e l’indagine scientifica.La matematica è il mezzo con cui si coglie un principio d’ordine nella realtà, cioè la neces- sità di eventi e processi naturali. Leonardo respinge ogni concezione animistica della natura e riconduce i suoi processi a movi- mento meccanico, considerando anche gli esseri viventi come meccanismi complessi, fra loro interagenti.
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L’Utopia di tommaso Moro inaugura il filone delle opere utopiche nell’età moderna e costituisce un modello capovolto della reale società inglese.In Utopia la proprietà privata non esiste e vige una perfetta uguaglianza fra i cittadini. Il lavoro è un valore, è eliminato il parassi- tismo, sono incoraggiati gli studi. Al governo vi è un’aristocrazia del sapere. È abolita la pena di morte e la guerra è limitata ai soli scopi di difesa da un’aggressione esterna. Vi è tolleranza in materia di fede, ma l’ateismo è illecito.
Si preferisce una religione naturale e razio- nale, non rivelata, che corrisponde al Cri - stianesimo, ma senza sacramenti, riti o ceri- monie.
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erasmo da rotterdam vuole recuperare lo spirito originario del Cristianesimo.Nell’Elogio della pazzia distingue due specie opposte di pazzia. La prima è fanatismo e autoritarismo, è superstizione e adesione ai segni esteriori di culto e devozione. La seconda è espressione di vita, impulso vita- le: è lo stesso Cristianesimo, come rigenera- zione e capovolgimento della vita umana e del senso comune.
Erasmo, pur anticipandola in talune tesi, non aderisce alla Riforma protestante. Soprat - tutto non accetta la tesi luterana che l’uomo sia irrimediabilmente corrotto dal peccato originale e che la salvezza dipenda unica-
mente dalla grazia divina, poiché per lui l’uo- mo decide liberamente per la salvezza e solo allora la grazia viene in suo aiuto.
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Molti Umanisti condividono con i promotori della riforma protestante l’aspirazione a un rinnovamento spirituale della Chiesa e a un ritorno al Cristianesimo originario; come loro assumono una posizione critica nei con- fronti della filosofia e della teologia della Scolastica. Ma Umanisti e Riformatori sono divisi sulla concezione della natura umana e della sua libertà, come dimostra l’aperta con- trapposizione fra Erasmo e Lutero sul pro- blema del “servo” oppure “libero” arbitrio.➦
Per lutero l’uomo, corrotto dal peccato ori- ginale, non può fare nulla per la propria sal- vezza: così le opere non sono fonte di giusti-ficazione, ma effetto della giustificazione. Non a tutti Dio dona la Grazia, poiché solo alcuni sono da lui predestinati con un atto di misericordia.
Lutero proclama il libero esame delle Scrit -
ture da parte del fedele illuminato dalla
Grazia divina e il sacerdozio universale di tutti i credenti; riduce i sacramenti al battesi- mo, all’eucaristia e alla penitenza. Sul piano politico, sostiene il dovere della sottomissio- ne all’autorità civile.
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calvino sottolinea l’onnipotenza e l’assolutez- za della natura divina e la conseguente nullità dell’uomo. Sostiene la dottrina della doppia predestinazione, per la quale taluni sono destinati a vita eterna e altri a eterna danna- zione. I motivi della scelta divina sono a noi inaccessibili. La predestinazione alla salvezza è il segno della misericordia di Dio. Le opere sono solo degli effetti della scelta divina: esse non giustificano la decisione di Dio, ma ne sono una manifestazione, un segno, così come se gni sono aver fede, appartenere a una Chiesa e avere successo nel proprio lavo- ro. Il lavoro è vocazione, compito, servizio.➦
Il concilio di trento esprime la duplice ten- denza della Chiesa a realizzare una riforma interna (tesa a recuperare lo spirito evange- lico e a rinnovare le proprie istituzioni) e a reagire alla Riforma protestante (contro - riforma). Il Cattolicesimo ha una concezione meno pessimista delle conseguenze del peccato originale, “ferita” che la Grazia può risanare. Così, oltre la fede, per la salvezza contano anche le opere. La Chiesa, unica mediatrice della salvezza degli uomini, è depositaria della tradizione e ha il compito di insegnare le verità di fede. Sul piano teo- logico si ha un ritorno al tomismo.Molina sostiene il libero arbitrio dell’uomo nella decisione per la propria salvezza (o dannazione) e il ruolo cooperante della Grazia.
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Per bernardino telesio la natura va intesajuxta propria principia, secondo regole e
princìpi ad essa intrinseci.
La sua visione del mondo naturale è di tipo qualitativo. tre sono i princìpi costitutivi della natura: il caldo, il freddo e una massa cor- porea. Anche l’anima è corporea, costituita da uno spirito vitale, e la conoscenza si fonda sull’esperienza sensibile.
All’anima corporea telesio aggiunge una
forma superaddita, un’anima spirituale e
immortale.
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Giordano bruno afferma che l’universo è infinito: poiché infinita è la sua causa, Dio, infinito sarà anche l’effetto.Dio è una Mens super omnia, ma è anche una mente interna e presente in ogni cosa (Mens insita omnibus); è causa infinita, ma anche principio immanente della realtà. L’uomo coglie in sé l’infinita potenzialità della natura e si sforza di tradurla in atto con l’azio- ne e il pensiero, cercando di affermarsi con le opere, vincendo la propria natura ferina. L’eroico furore ha come fine supremo la con templazione della bellezza divina nell’uni- verso, è espressione e passione di cono- scenza, inquietudine e aspirazione all’infinito.