Attività sul testo
2. Qual è il significato dell’affermazione “La scienza è il capitano, e la pratica sono i soldati”? (5 7 righe)
il “giocondo errore” della follia
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otterdaMErasmo da Rotterdam evidenzia l’importanza – nella vita dell’uomo – del “giocondo erro- re” dell’immaginazione, che capovolge ciò che appare scontato e “razionale” e permette di attingere alle risorse vitali dell’esistenza. Elogia l’illusione, per la gioia che ne può ve- nire, e la Pazzia, o almeno quella che produce “gioconde illusioni”.
Erasmo fa parlare la Pazzia, come un’oratrice, davanti a un pubblico immaginario.
• Le cose umane sono ambivalenti e la vita degli uomini è una commedia, nella quale ognuno recita come dietro a una maschera;
• è la follia, non la prudenza, che consente di vivere questa “commedia della vita”; • vi sono due tipi opposti di follia, quella carica d’odio, distruttrice, e quella che
nasce dall’“errore dolcissimo” delle illusioni;
• l’illusione dà gioia, mentre la sua privazione alimenta la delusione e un senso di piattezza e di vuoto.
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Comunque parlino solitamente di me i mortali (conosco bene la brutta fama della follia anche tra i più folli), io sola tuttavia, io sola vi dico, rallegro con la mia divina potenza dèi e uomini. […]
Per cominciare, può esservi qualcosa più piacevole e prezioso della vita in se stessa? Ma l’origine della vita a chi mai conviene riportarla, dopo che la si sia ricevuta, se non a me? […] Persino il “padre degli dèi e re degli uomini”, che con un cenno del capo scuote l’Olimpo intero, deve metter d’un canto quel gran fulmine tricuspidato e quella faccia di Titano con cui a suo piacimento atterrisce gli dèi, per assumere, poveretto, come un qualsiasi istrione l’aspetto di un altro quando vuol fare ciò che fa in continuazione, os- sia figliare. E gli Stoici? non si credono quasi dèi? Ma datemene uno che sia tre, quattro, anche mille volte stoico, se volete: ebbene, anche costui dovrà deporre se non la bar- ba, indice di sapienza pur se comune ai caproni, almeno il sopracciglio, e spianare la fronte, buttare a mare i ferrei princìpi, inebetire e delirare per qualche istante. Insom- ma, deve chiamare me, dico me, lui così sapiente, se vuol diventare padre. […] [E] chi ignora che la prima età dell’uomo è per tutti, e di molto, la più allegra e piace- vole? Cosa infatti baciamo, abbracciamo, accarezziamo nei bambini, per cui i nemici stessi soccorrono l’infanzia? Non è l’attrazione della follia, che la natura saggia attribuì di proposito ai piccini affinché, con la ricompensa, per così dire, di una forma di piace- re possano addolcire le fatiche dei loro educatori e cattivarsi il favore dei tutori? La suc- cessiva adolescenza, quale suggestione non esercita su tutti, con quali premure la si as- seconda, con quale sollecitudine le si porge la mano soccorrevole! Ma ditemi, donde deriva questo fascino della giovinezza? donde, se non da me, che la benefico dandole ben poco giudizio, per cui ben poco si rode? […]
[Così,] “la molesta vecchiaia” … sarebbe assolutamente intollerabile a qualsiasi mortale, se di nuovo non m’impietosissi di tanti disagi e non venissi destramente al suo soccor- so; se, come gli dèi dei poeti sogliono soccorrere i morenti trasformandoli in qualcos’al- tro, così anch’io non riconducessi nuovamente all’infanzia, per quanto è possibile, chi è ormai prossimo al feretro. Donde l’abitudine della gente di dirli non a torto “ricaduti in infanzia”. […] Quanto più gli uomini si avvicinano alla vecchiaia, tanto più tornano a so- migliare ai bambini, finché, come i bambini, senza tedio della vita, senza percezione della morte, migrano dalla vita stessa. […]
Insomma non è assolutamente possibile che alcuna società, alcun legame nella vita sia felice o stabile senza di me. Il popolo non sopporterebbe a lungo il principe, il padrone il servitore, la cameriera la padrona, il precettore il discepolo, l’amico l’amico, il marito la moglie, l’operaio l’imprenditore, il commilitone il commilitone, l’ospite l’ospite, sen- za ingannarsi l’uno sul conto dell’altro, senza adularsi, senza chiudere gli occhi pruden- temente, senza spalmarsi un poco del miele della follia. […]
La guerra non è forse il campo e la sorgente di ogni azione gloriosa? Ebbene, vi è follia più grande che affrontare per motivi a me incomprensibili uno scontro così fatto, che am- bedue le parti ne traggano più svantaggi che benefici? Ma anche i grandi saggi a che co- sa servono quando ormai i due “ferrei” schieramenti stanno in campo e i corni “prorup- pero nel loro rauco strepito”? Non servono costoro, che macerati dallo studio traggono a stento il fiato dal loro sangue sottile e freddo, bensì gente rozza e crassa, col massimo di audacia e il minimo d’intelligenza. […] Ma, osservano, in guerra l’intelligenza è molto im- portante. Sì, lo ammetto: per il capitano; però un’intelligenza da militari, non da filosofi. Per il resto, una cosa tanto nobile è affare di parassiti, di ruffiani, di sicari, di contadini, d’idioti, d’indebitati e di tale feccia umana, non di filosofi che vegliano alla lucerna. […] Ma in verità vi sono due specie di follia: la prima è quella che dall’inferno mandano di nascosto le furie vendicatrici, ogni volta che, lanciando i loro serpenti, gettano nel cuo- re umano furor di guerra, sete insaziabile di oro, passioni immonde e scellerate, parrici- di, incesti, sacrilegi e delitti di tal fatta; ovvero quando, col baleno dei loro spauracchi, tormentano di rimorsi chi sa d’aver commesso gravi colpe.
Ma esiste un’altra forma di follia, che non ha nulla a che fare con la prima, quella cioè che ha origine da me, ed è la cosa più desiderabile che si possa immaginare.
E questa si ha ogni volta che un giocondo errore, una specie di alienazione mentale, non solo libera l’animo dallo stringimento di quegli affanni, ma lo inonda di varia, inesauribile
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Non è possibile la felicità senza la follia B➧
La condizione umana e il “miele della follia” C➧
La follia della guerra D➧
Due specie di folliavoluttà. È questa forma di alienazione che augurava a se stesso Cicerone, scrivendo ad At- tico, come un dono inestimabile degli dèi; evidentemente allo scopo di non avere più il senso di tante sciagure! Né la pensava male quel Greco, uscito di senno a tal punto che se ne stava in teatro le giornate intere tutto solo a ridere, ad applaudire, a godersela, creden- do che vi si rappresentassero mirabili drammi; ma, invece, non si rappresentava nulla. Questo signore, dunque, si comportava eccellentemente in tutti gli altri compiti della vita:
Allegro e gradito agli amici,
verso la moglie affabile e ai servi sapeva perdonare, senza dar nelle smanie per il danno al suggello d’un fiasco.
Ma allorquando, per opera dei suoi parenti, prese delle medicine e fu guarito dal male, si dice che in tal modo si lamentasse cogli amici:
Mi avete, amici, ucciso,
ahi! non salvato, al mio piacere strappandomi e a forza toltomi a quell’errore dolcissimo della mia mente.
E aveva ben ragione: erano essi, i suoi parenti, che erravano, eran essi i pazzi bisognosi di elleboro, che credevano loro dovere estirpare a via di beveraggi (come se fosse una rabbia terribile!) una follia così felice, così amabile!
da Erasmo da Rotterdam, Elogio alla pazzia, I, XI, XIII, XXI, XXIII, XXXVIII, trad. di T. Fiore, Einaudi, Torino 1964
GUIDA ALL’ANALISI
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La follia è all’origine della vita stessa. Lo stesso concepimento dei figli, infatti, avviene non per effetto di un atto razionale, ma sotto la spinta cieca dei desideri: e anche il filosofo stoi- co, se vuol diventare padre, deve accettare di buon grado la necessità della follia. Inoltre, ciò che amiamo nei bambini e negli adolescenti è proprio quel tanto di “follia”, di non “ragionevolezza”, che li distingue dagli adulti. E, anche nel caso della vecchiaia, la follia è un balsamo per curare i dolori che essa porta con sé.B
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Il sistema delle relazioni sociali risulterebbe impossibile senza un po’ di follia, grazie alla quale riusciamo a vivere in situazioni che – se viste criticamente, cioè alla sola luce della ragione – sarebbero insopportabili.L’ironia di Erasmo coglie nel segno, mostrando il carattere “innaturale” (e per questo “fol- le”) di tanti aspetti della condizione umana.
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Celebre è quest’invettiva erasmiana nei confronti della guerra, che è considerata un’espres- sione palese di pazzia: non della pazzia gioiosa che alimenta la vita e il piacere di vivere, ma della pazzia in cui si manifestano i lati peggiori della natura umana, della pazzia portatrice di morte. Proprio la critica della guerra sarà oggetto di un’altra opera di Erasmo, Il lamentodella pace.
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La prima specie di follia è espressione del desiderio spasmodico di potere e denaro, e dei vizi, che sono esterni alla natura dell’animo umano in quanto ne rappresentano la forma corrotta e non originaria. Quando parla dell’“inferno”, da cui nasce la follia maligna, Erasmo intende un intero universo sociale di mali: la corruzione morale, ma anche l’oscu- rantismo ecclesiale che nega la libertà di pensiero, la protervia del potere che produce l’op- pressione e la guerra, ecc.La seconda specie di follia è invece “felice” e con dolci illusioni soccorre l’uomo, altrimen- ti stretto dagli affanni. La follia “felice” ed “amabile” è uno stato dell’anima in cui si intrec- ciano la gioia di vivere e la libertà dalle convenzioni. La vera pazzia è, invece, il conformi- smo, che distrugge ogni gioia di vivere e ogni autonomia dell’essere umano.
Attività sul testo
1. Spiega in che senso la follia è all’origine della vita e rende possibile i rapporti sociali. (10-15