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I mezzi – anche crudeli – che vengono utilizzati per fondare lo Stato non possono, co- munque, continuare ad essere impiegati per mantenerlo, scrive il fiorentino nei Discorsi

sopra la prima deca di Tito Livio, perché in tal caso la violenza del potere, svincolata dal

riferimento ad un fine superiore, si ritorcerebbe sul potere stesso, minandone le basi di consenso e preparandone la rovina. Al contrario, per conservare e ben governare lo Sta- to occorre l’estensione maggiore possibile del consenso.

Se nel Principe si afferma la necessità che un capo politico riunisca nelle proprie ma- ni poteri e forza di governo, nei Discorsi si sostiene che la migliore forma di Stato è quel- la storicamente realizzatasi con la Repubblica romana. Né sembra esservi, in ciò, con- traddizione. Difatti in Machiavelli sono presenti posizioni e proposte politiche che egli considera coerenti con la situazione storica concreta.

La Repubblica è per lui la forma migliore di governo, ma evidentemente le condizioni politiche e militari della sua epoca non sono favorevoli all’affermazione di un regime re- pubblicano, mentre prevale l’esigenza di raccogliere le forze e combattere con ogni mezzo per costituire uno Stato nuovo e liberare l’Italia dal “barbaro dominio”: nella travagliata fa- se storica che l’Italia attraversa, il Principato pare essere la forma politica più adeguata.

Ciò non toglie che, per conservare e ben governare lo Stato, occorra poi andare verso una maggiore estensione possibile del consenso, quindi verso un governo “misto”, fon- dato sulla libertà e sui buoni costumi, sul potere aristocratico e sulla partecipazione po- polare, come era quello che ha fatto la grandezza della Repubblica romana.

Proprio perché “misto”, il governo dello Stato deve fare i conti con un conflitto di inte-

ressi (interessi del “popolo” e interessi dei “grandi”): un conflitto che Machiavelli conside-

ra – per molti versi – fisiologico e non patologico, soprattutto quando si traduce in momen- ti di equilibrio dinamico dei rapporti di forza di volta in volta raggiunti, in forme di com- promesso e di riconoscimento reciproco degli interessi delle diverse classi. Machiavelli, su questo punto, esprime una visione moderna dei rapporti sociali: come la Repubblica roma- na venne resa “libera e potente” dalla disunione fra la plebe e i “grandi”, così, in generale, è proprio dalla disunione che nascono le leggi in favore della libertà ed è da queste che na- sce poi la “buona educazione” (cioè, diremmo oggi, un “ordine democratico” della socie- tà), perché “li buoni esempli nascono dalla buona educazione, la buona educazione dalle

buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano”.

È significativo che il fondatore dell’autonomia della politica dalla morale, colui che molti polemisti hanno presentato come il teorico dell’immoralità, abbia costruito la sua teoria politica basandola sull’idea della libertà come valore: sulla tesi, cioè, che alla ba- se di uno Stato compiuto e ben ordinato debba esserci una forma di responsabilizzazio- ne e di compartecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica.

Critica del Cristianesimo e della Chiesa Necessità del consenso Tra Principato e Repubblica Un regime “misto” di governo Il valore della libertà

Guida

allo studio

Machiavelli e una politica “extramorale”

Josef Maček

[Machiavelli] è ossessionato dalla politica e a essa consacra tutte le sue capacità. Per lui non vi è bisogno di ripetere con Aristotele che l’uomo è zóon politikon. Dedicò tutta la vita allo sforzo di aprire nuove strade alla politica, di condurla a nuovi orizzonti.

In realtà interpreta in maniera affatto nuova lo stesso concetto di “politica”. [...]

Machiavelli mira a una concezione della politica che è tecnica, esercizio di potere. Ha propri ideali, un suo credo, ma non intende introdurli nell’analisi politica, vuole giungere a un giudizio imparziale, da ri- cercatore. Lo scopo dell’uomo politico non è quello di giudicare se la politica è bene o male. Nel cam- po della politica distinguere tra bene e male, proficuo e onesto (nella lingua di Cicerone) significa inten- dere tali concetti non come valori assoluti, bensì come occasioni, opportunità di decidere se seguire o meno “le direzioni del vento della Fortuna”.

La politica, cioè, è il complesso dei mezzi di cui l’uomo, in armonia con il suo tempo, deve impadronir- si per superare la sua collocazione storica iniziale. [...] La politica è la prima realtà della vita umana, a lei l’uomo deve sacrificare tutto. Senza la politica l’uomo non potrebbe mantenersi nei buoni costumi del- la natura, non potrebbe coltivare le “virtù” [...].

Tra i contributi fondamentali che il pensatore fiorentino ha dato allo sviluppo della politologia è soprat- tutto la sua idea originale e rivoluzionaria del rapporto tra politica e morale. Fino a lui, infatti, l’antino- mia tra politica e morale era la questione che più opprimeva i pensatori politici. La pratica insegnava lo- ro che la politica è anomala e la teoria pretendeva l’assoluta subordinazione di essa alla morale. Nella fi- losofia scolastica, fondata sulla fede nella divina giustizia assoluta, la politica non poteva essere altro che strumento per l’attuazione dei princìpi etici, ancorati a un sistema trascendentale di valori [...].

Machiavelli esaspera l’antinomia tra politica e morale e smantella tutti i princìpi allora vigenti. Introdu- ce nuovi elementi nelle pietrificate immagini “divine” del bene, della virtù, della gentilezza, del pecca- to e del male in politica, dando vita a un ordine affatto nuovo che ai contemporanei doveva apparire un vero e proprio caos, giacché non rispettava le forme e i princìpi familiari. È un nuovo metro di mi- sura quello che il fiorentino fornisce per la politica, per le considerazioni politiche e per l’azione, un metro di misura estraneo alla categoria morale ecclesiastica, contenuta nella religione, nella fede in Dio e nel suo ordine [...].

La politica non è più morale, ma non è neanche la negazione della morale, ha una sua propria essen- za positiva, è una forza vitale ben definita, che non può essere sottoposta alla morale comune, che non si può cancellare perché è necessaria, indispensabile. [...] Il metro di misura del successo in politica non è la realizzazione di determinate categorie morali valide in assoluto (bene, onore, virtù), bensì l’interes- se generale, della comunità, dello Stato. La politica è una precisa sfera dell’esistenza umana e ha sue leggi e ordinamenti specifici, indipendenti dal codice morale della chiesa e dai princìpi della religione cristiana. [...]

Tanto più quindi, nel XVI secolo, doveva apparire sacrilega, scellerata, amorale e mostruosa l’idea del- la separazione tra politica e morale. Ben presto si affermò l’opinione che il fiorentino avesse spazza- to via tutte le considerazioni morali, diventando un perfetto immorale perverso, che nega ogni aspet- to morale della politica. Mentre invece sarebbe stato necessario parlare di atteggiamento extramora- le, non etico, del pensatore verso la politica. Sappiamo già dalla biografia [...] che proprio consideran- do gli uomini e la repubblica Machiavelli collega alla politica una morale definita con rigore, che è in funzione, solamente, dei princìpi politici, degli interessi e del progresso della comunità e dello Stato, così come avevano affermato Aristotele e gli umanisti rinascimentali. Sicché in tutta tranquillità pos- siamo respingere per il nostro teorico dello Stato ogni accusa di amoralità e l’attribuzione di caratte- ristiche infernali, criminali.

da Machiavelli e il machiavellismo, La Nuova Italia, Firenze 1980

Interpretare

• Da che cosa la politica è autonoma e perché?

• Qual è il giudizio di Machiavelli sulla natura umana e perché esso riguarda la politica? • Qual è il rapporto tra virtù e fortuna, nelle vicende umane?

• Quali sono le caratteristiche che deve avere un principe?

• In che senso il principe deve essere “volpe” e “leone”? Come deve usare la violenza? • Qual è il giudizio di Machiavelli sulla religione?