IL PROCEDIMENTO IN SEDE RESCISSORIA
SEZIONE SECONDA: I CASI DI STRUTTURALE IMPOSSIBILITÀ DI SOPRAVVIVENZA DELLA CONVENZIONE ARBITRALE
10. Inosservanza delle forme prescritte dalle parti sotto pena di nullità: a) l’ambito operativo della disposizione
Il settimo motivo d’impugnazione per nullità allude all’inosservanza delle forme stabilite dalle parti421 sotto espressa sanzione di nullità, nel caso in cui la nullità non sia stata sanata. Prima della novella del 2006, la disposizione aveva un contenuto parzialmente difforme, in quanto prevedeva che fossa sanzionabile l’inosservanza delle forme “prescritte per i giudizi
sotto pena di nullità”, stabilite dalle parti e non sanate. Come si vede, ad oggi rileva anche la
violazione di quelle regole processuali che non ricalcano il modello dei giudizi di fronte ai giudici dello Stato: caduto il riferimento ai “giudizi”, le parti possono prevedere forme a pena di nullità, prescindendo da quanto prescritto nel codice di rito e non rilevando la relativa comminatoria legale.
Si tratta di error in procedendo che allude a vizi procedurali diversi da quelli contemplati nell’art. 829 n. 9 e involgenti il mancato rispetto del contraddittorio.
Il riferimento non è alle nullità originarie, ma a quelle derivate del lodo, ovvero a quelle discendenti da invalidità non sanate degli atti del procedimento.
Si tratta di nullità assolute e relative, onde la previsione secondo cui la nullità non deve essere stata sanata riguarda le sole invalidità relative, perché soltanto i vizi che producono annullabilità sono sanabili422.
La formulazione letterale del settimo motivo, peraltro, aveva già portato la dottrina a sostenere che, anche prima della recente novella, la disposizione ricalcasse le dinamiche illustrate agli artt. 156 e 157 c.p.c. con riguardo alle nullità del processo giurisdizionale423. Si pensi, ad esempio, a quanto prescritto al terzo comma dell’art. 156, il quale prevede che la nullità non possa essere dichiarata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (c.d. convalidazione oggettiva dell’atto nullo).
Si è sostenuto, peraltro, che l’espressa comminatoria di nullità non sia necessaria per le nullità assolute, in quanto la radicalità del vizio giustifica pur sempre l’esperimento del rimedio impugnatorio424.
421
Si consideri che l’art. 816 bis prevede che le regole del processo arbitrale siano, in prima battuta fissate dalle parti e, in subordine, dagli arbitri nel modo che ritengono più opportuno.
422
Così Fazzalari, L’arbitrato, cit., 102.
423
Tra gli altri, Califano, op. ult. cit., 311 e ss. e Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., II, 233-234.
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Il problema della rilevabilità del vizio sembra essere particolarmente calzante con riguardo al motivo in esame. Il secondo comma dell’art. 829, infatti, opera con esclusivo riguardo alle nullità derivate del lodo, quali sono quelle contemplate nel motivo ora in esame.
Come si è poc’anzi affermato, il motivo della violazione di forme prescritte sotto sanzione di nullità rinvia alla disciplina di rilevazione delle invalidità processuali nel giudizio ordinario di cui agli artt. 156 e ss. c.p.c. e, al fine di sottolineare la pertinenza al caso de quo del secondo comma dell’art. 829, basti il riferimento al secondo comma dell’art.157, ove si legge, in maniera palesemente analoga, che “soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito
può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”.
Anzi, siccome il secondo comma dell’art. 829 allude in maniera generale alla “violazione di
una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale” e il n. 7 contiene una
regola omologa per le nullità formali, si deve ritenere che la clausola generale del secondo comma dell’art. 829 attenga sia alle nullità formali, che a quelle extraformali di forma-contenuto425.
Così, è possibile affermare che quest’ultima disposizione va a confermare quanto previsto dal coordinato operare del n. 7 del primo comma dell’art. 829 e del secondo comma dell’art. 157: la parte deve, quindi, sollevare il vizio nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.
Segue: b) la competenza in fase rescissoria.
L’art. 830 secondo comma contempla il n. 7 del primo comma dell’art. 829 tra i motivi per i quali l’adozione della pronuncia sostitutiva è rimessa alla Corte d’appello. Di conseguenza, riscontrato il vizio derivato del lodo (non altrimenti sanato) e proposta l’impugnazione per nullità, il nuovo giudizio si svolge di fronte alla medesima autorità giudiziaria della fase rescindente.
Se questo è il dato letterale che scaturisce dalla novellata disposizione in merito al riparto di competenze nel giudizio rescissorio, occorre evidenziare come una certa dottrina426, alla luce
425
Così Menchini, op. ult. cit., 855.
426
Fazzalari, L’arbitrato, cit., 107 e Osservanza dovuta al patto compromissorio: quando il suo vincolo perdura dopo la dichiarazione di nullità del lodo, cit., 269 e ss.
della normativa preesistente alla riforma427, avesse rilevato il problema del litisconsorte necessario pretermesso che intendesse proporre impugnazione avverso un lodo scaturito da un processo da cui fosse stato indebitamento escluso.
Premesso che anche questi può vedersi riconosciuta la legittimazione ad impugnare il lodo, si è concluso che il vizio impiegabile sarà quello di violazione delle regole prescritte sotto pena di nullità, di cui al n.7. Non solo, si è detto anche che, benché a seguito della dichiarazione di nullità del lodo, l’art. 830 investa della controversia lo stesso giudice della fase rescindente, non può non osservarsi quanto stabilito all’art. 354 per il giudizio di appello e, conseguentemente, rimettere la decisione di merito al giudice di prime cure.
Alla luce di quanto già osservato in precedenza, non ci sembra condivisibile l’impostazione in questione.
Pur aderendosi alla premessa che consente anche al litisconsorte pretermesso di agire in sede d’impugnazione per nullità, riteniamo che, anche nell’ottica della riforma, il vizio spendibile non sia quello di cui al n. 7, ma, piuttosto, quello di cui al n. 4 seconda parte, vale a dire quello che censura il lodo, in quanto reso in un caso in cui il merito non poteva essere deciso. Di conseguenza, diverso è anche il criterio di competenza adottabile per il giudizio rescissorio: non è la Corte d’appello, ma sono gli arbitri che debbono intervenire nel merito della controversia.
Come già detto, peraltro, agli arbitri si sostituirà il giudice di primo grado, nel caso in cui il litisconsorte pretermesso non abbia partecipato alla conclusione del vincolo compromissorio e non intenda aderirvi successivamente.
Né ci sembra giustificabile il richiamo all’art. 354 c.p.c. per rinviare la causa al giudice di primo grado. Al di là del fatto che non ci sembra configurabile il vizio di violazione delle forme processuali, non sussiste nessuna disposizione che, in materia arbitrale, indichi all’interprete di risolvere i casi dubbi con il ricorso alla disciplina prevista per i giudizi di fronte all’autorità statale.
In sostanza, riteniamo che il ricorso al giudice di primo grado sia una mera eventualità, determinata dal fatto che il litisconsorte pretermesso non voglia prestare adesione successiva ad un accordo compromissorio che non ha originariamente concluso.
427
Per il resto, la competenza torna ad essere quella degli arbitri, dinnanzi ai quali si svolgerà un giudizio a contraddittorio integro e la fattispecie in questione, pertanto, andrà ricompresa nelle novero delle situazioni in cui il giudizio rescissorio spetta a nuovi arbitri nella perdurante vigenza della convenzione d’arbitrato.
Quel che più conta, però, sottolineare è che il difetto d’integrazione del contraddittorio potrà essere portato alla cognizione della Corte d’appello sulla base della seconda parte del quarto motivo e non sulla base dell’error in procedendo ora in esame, trattandosi di ipotesi di pronuncia di merito resa in una situazione in cui si sarebbe dovuta avere una chiusura in rito del procedimento arbitrale.