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Il rapporto tra fase rescindente e rescissoria nel sistema antecedente la riforma operata con il d.lgs 40/2006

IL PROCEDIMENTO IN SEDE RESCISSORIA

SEZIONE PRIMA: PROFILI GENERALI DEL RAPPORTO TRA FASE RESCINDENTE E FASE RESCISSORIA PRIMA E DOPO LA RIFORMA DEL 2006

1. Il rapporto tra fase rescindente e rescissoria nel sistema antecedente la riforma operata con il d.lgs 40/2006

SEZIONE PRIMA: PROFILI GENERALI DEL RAPPORTO TRA FASE RESCINDENTE E FASE RESCISSORIA PRIMA E DOPO LA RIFORMA DEL 2006.

1. Il rapporto tra fase rescindente e rescissoria nel sistema antecedente la riforma operata con il d.lgs 40/2006.

Dopo aver ricostruito in generale il panorama di opinioni concernenti la natura dell’impugnazione per nullità, aver colto i rilievi problematici delle scelte generali del nostro legislatore (anche in raffronto ad alcune esperienze straniere) ed aver analizzato gli aspetti più significativi del procedimento rescissorio, si tratta ora di entrare in medias res ed affrontare il tema che più direttamente investe il presente lavoro e che ne costituisce la riflessione conclusiva, vale a dire il giudizio rescissorio che può seguire alla pronuncia caducatoria della Corte d’appello.

Referente normativo dell’indagine è, dunque, la disposizione di cui all’art. 830 c.p.c., rubricata “Decisione sull’impugnazione per nullità”, con particolare riguardo ai commi secondo e terzo.

Prima, però, di approfondire la disamina del rapporto tra fase rescindente e rescissoria nel contesto del nuovo assetto, così come illustrato dalla riforma operata con il d.lgs 2 febbraio 2006 n. 40, occorre prendere le mosse da un inquadramento delle regole ad essa previgenti. La dimensione diacronica dell’indagine, infatti, si presta ad una comprensione più efficace e meditata del tema del presente lavoro ed è, al contempo, corollario delle valutazioni di ordine comparativistico che si sono svolte in precedenza349.

349

Il previgente secondo comma dell’art. 830 c.p.c., quale novellato dalla l. 25/1994350

, asseriva che “salvo volontà contraria di tutte le parti, la Corte di appello pronuncia anche nel merito,

se la causa è in condizione di essere decisa, ovvero rimette con ordinanza la causa all’istruttore, se per la decisione di merito è necessaria una nuova istruzione”.

La conseguenza della dichiarazione di nullità del lodo, dunque, è il passaggio ad una fase rescissoria, finalizzata all’adozione di una pronuncia sostitutiva di quella annullata.

Regola generale che traspariva dal dato normativo è che la stessa Corte d’appello che ha annullato il lodo dovesse provvedere in ordine al giudizio sostitutivo.

Ciò, tuttavia, non sempre si verificava: esistevano, infatti, due eccezioni alla regola predetta, l’una esplicitamente prevista dal legislatore e l’altra frutto di ricostruzione sistematica.

Quanto alla prima deroga, è sufficiente appuntarsi sulla littera dell’art. 830, il quale rimette la pronuncia sostitutiva all’intervento della Corte d’appello “salva volontà contraria di tutte le

parti”. Alle parti, quindi, era data la possibilità di derogare concordemente alla regola

generale della competenza della Corte d’appello e la possibilità di rimettere la competenza alternativamente al giudice di primo grado o di ripercorrere la via arbitrale.

La ratio della disposizione è stata subito di agevole intuizione: se l’arbitrato è un processo privato, frutto di una libera e consapevole scelta delle parti di ovviare alla via giudiziale, la possibilità di esonero dall’intervento del giudice statale deve sempre poter essere assicurata alle parti, le quali, anche a seguito della dichiarazione di nullità, possono optare per la permanenza nel merito della competenza arbitrale.

Come precisato da diverse voci della dottrina351, la volontà derogatoria delle parti avrebbe potuto essere espressa anche anteriormente al giudizio d’impugnazione e finanche nel patto compromissorio.

350

Per un’analitica ricostruzione del sistema previgente alla riforma del 1994 si veda Carnacini, in Novissimo Digesto Italiano, cit., 921-922. Si tenga presente, in particolare, che la sola ipotesi prevista nel vecchio art. 830 c.p.c. di mancata devoluzione del giudizio rescissorio alla Corte d’appello era quella relativa all’inidoneità della causa ad essere decisa (nel qual caso si sarebbe dovuto procedere alla rimessione all’istruttore per il compimento della nuova istruttoria).

351

Tra gli altri, Giorgetti, Volontà delle parti e giudizio rescissorio nell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, in Riv. dir. proc., 1996, 722 e ss.; La China, op. ult. cit., 190; Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano 2000, 373; Tarzia, in Tarzia-Luzzatto-Ricci, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, cit., 176 e Fazzalari, L’arbitrato, cit., 111, il quale precisa che la volontà delle parti di derogare alla competenza del giudice statale deve essere espressa prima che questi assuma in decisione la causa, ovvero prima dell’adozione della sentenza (che potrebbe essere unitamente rescindente e rescissoria). Il termine ultimo entro il quale derogare all’intervento dei giudici d’appello, in sostanza, sarebbe dato dall’udienza di precisazione delle conclusioni.

Inoltre, essa avrebbe dovuto essere manifestata dalla parte personalmente oppure da procuratore speciale, non rientrando ciò tra i poteri conferiti al difensore sulla base della sola procura alle liti352.

La volontà di una sola delle parti di rimettere il giudizio agli arbitri, di conseguenza, era ritenuta irrilevante353.

La seconda eccezione alla competenza della Corte d’appello in sede rescissoria, come poc’anzi detto, non era espressamente affermata dal legislatore, ma era stata oggetto di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale.

Come si avrà cura di evidenziare meglio tra poco nel prosieguo di questa riflessione, si erano rinvenute ipotesi nelle quali non si poneva neppure questione del giudizio rescissorio, in quanto l’impugnazione per nullità avrebbe potuto concludersi con una semplice pronuncia rescindente di annullamento del lodo.

Ciò poteva verificarsi, innanzitutto, nel caso in cui si fosse ravvisata l’inesistenza del lodo, vuoi per radicale mancanza del vincolo compromissorio, vuoi per incompromettibilità della materia oggetto della controversia portata dinnanzi agli arbitri354.

Parimenti, si riteneva che si sarebbe dovuta limitare l’impugnazione alla sola fase rescindente nel caso in cui, annullato un capo del lodo esorbitante dal patto compromissorio, gli altri capi non travolti ne esauriscano compiutamente l’oggetto355.

352 In questi termini Fazzalari, op. ult. cit., 111; Califano, Le vicende del lodo: impugnazioni e correzione , in Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 321; La China, op. ult. cit., 190; Luiso, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, cit., 29 e Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 246 e in Enc. Giur. Treccani, voce Arbitrato, cit., 49.

353 Tarzia, op. ult. cit., 176.

354 Così, Bernardini, op. ult. cit., 121; Califano, op. ult. cit., 321; Giorgetti, op. ult. cit., 734 e ss.; Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 373 (il quale puntualizza che, in questo caso, si avrebbe un’applicazione analogica dell’art. 354 c.p.c., a norma del quale il giudice d’appello che dichiara inesistente un pronuncia di primo grado, rimette la causa di fronte al giudice di primo grado per una nuova decisione) e Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 247 e in Enc. Giur. Treccani, voce cit., 49. Per la giurisprudenza, Cass. 25 gennaio 1997 n. 781, in Riv. Arb. 1997, 529, con nota di Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio; Cass. 4 febbraio 1993 n. 1407; Cass. 6 gennaio 1983 n. 66; Cass. 28 febbraio 1964 n. 458. Per un’ipotesi particolare di errata composizione del collegio arbitrale in materia di appalti di opere pubbliche (alla luce del Capitolato generale per le opere pubbliche approvato con D.P.R. 1063/1962) e asserita conseguente limitazione dell’impugnazione per nullità alla sola fase rescindente in presenza di lodo inesistente, vedi App. Roma 27 gennaio 1997, in Riv. Arb., 1998, 517 e ss., con nota critica di Berlinguer, Scelta degli arbitri e autonomia delle parti tra diritto comune e disciplina delle opere pubbliche, 534 e ss.

355

In questo senso Giorgetti, op. ult. cit., 736 e ss.; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 248 e Vecchione, Questioni in tema d’arbitrato, in Giur. it., 1955, I, 159 e ss. Contra, Andrioli, L’indivisibilità del lodo arbitrale, in Riv. dir. proc., 1938, II, 256.

Altro caso che veniva tradizionalmente escluso dalla pronuncia rescissoria della Corte d’appello è quello in cui si procede all’annullamento del lodo per indebita chiusura in rito del processo arbitrale a seguito di declinatoria di competenza ad opera degli arbitri medesimi356. Rimaneva, tuttavia, incerta l’identificazione dell’organo deputato alla pronuncia sostitutiva. Secondo una prima ricostruzione357, infatti, tale competenza avrebbe dovuto essere rimessa agli arbitri (che avevano omesso d’intervenire), secondo un altro orientamento, invece, detta funzione avrebbe dovuto ascriversi al giudice ordinario competente in primo grado, data l’impossibilità di reinvestirne gli arbitri in virtù dell’originario patto compromissorio358

. Senza prendere al momento posizione in merito, riserveremo in seguito accurato approfondimento alla questione.

Già nella vigenza della pregressa disciplina, in dottrina si era, peraltro, affermato che la competenza della Corte d’appello dovesse escludersi, altresì, nel caso in cui il merito della controversia fosse da ascriversi ad una giurisdizione speciale359.

Per completare questa breve indagine relativa al pregresso tenore dell’art. 830 c.p.c., occorre considerare che il giudizio in sede d’impugnazione, ancorché rimesso per entrambe le fasi alla Corte d’appello, avrebbe potuto assumere due esiti differenti.

Si sarebbe potuta avere, infatti, un’unica pronuncia (di annullamento e contemporaneamente sostitutiva) oppure due distinte pronunce, la prima caducatoria e la seconda in sede rescissoria. Quest’ultima opzione si sarebbe verificata nel caso in cui vi fosse stata la necessità di un’ulteriore istruttoria, allorché la causa non fosse in condizione di essere de

plano decisa.

Discussa la natura della sentenza resa in sede rescindente: a fronte di chi la riteneva una sentenza non definitiva soggetta a riserva di ricorso per Cassazione o ad impugnazione

356

Cecchella, in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, cit., 2357 e ss.; Giorgetti, op. ult. cit., 737 e ss. e Ruperto, Lodo-Decisione sull’impugnazione per nullità, in AA.VV., Dizionario dell’arbitrato con prefazione di Natalino Irti, cit., 432 e ss. Contra, Califano, op. ult. cit., 283 e ss.

357

Vedi nota precedente.

358

Fazzalari, op. ult. cit., 110 e, in giurisprudenza, Cass. 18 dicembre 1973 n. 3433, in Giust. civ. 1974, I, 1140.

359

Andrioli, Procedura arbitrale e regolamento di giurisdizione, in Foro it., 1956, I, 849 e, ancor prima Forti, in Foro it., 1938, III, 57, in commento alla sentenza del Consiglio di Stato del 2 febbraio 1938.

immediata360, vi era chi la qualificava come definitiva, sottoposta al regime proprio delle sentenze civili e, quindi, ordinariamente ricorribile per Cassazione361.

Le osservazioni finora compiute, oltre a fungere da indispensabile ricostruzione storica dell’istituto che qui ci occupa, si rivelano ulteriormente indispensabili, in quanto capaci di prospettare alcuni dei profili problematici che ineriscono al giudizio rescissorio, anche alla luce delle nuove disposizioni codicistiche.

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