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L’invalidità della convenzione arbitrale

IL PROCEDIMENTO IN SEDE RESCISSORIA

SEZIONE SECONDA: I CASI DI STRUTTURALE IMPOSSIBILITÀ DI SOPRAVVIVENZA DELLA CONVENZIONE ARBITRALE

3. L’invalidità della convenzione arbitrale

Il primo dei possibili esiti summenzionati del rapporto tra giudizio rescindente e rescissorio è costituito da tutte quelle situazioni in cui il processo impugnatorio si chiude con l’annullamento della decisione arbitrale, senza possibilità alcuna che ad esso segua un nuovo giudizio finalizzato all’adozione di una nuova pronuncia.

In questa categoria, in buona sostanza, devono essere raggruppate tutte quelle situazioni in cui l’adozione della pronuncia sostitutiva non spetta alla Corte d’appello (sia per volontà delle parti che per previsione legislativa), né sopravvive la convenzione arbitrale.

Ne consegue che non possono essere ricomprese in questa categoria le situazioni illustrate ai nn. 5, 6, 7, 8, 9, 11 e 12 del primo comma dell’art. 829 c.p.c., nonché quelle del terzo, quarto e quinto comma, giacché afferenti a quei casi in cui è la stessa Corte d’appello investita del giudizio rescindente a dover adottare la nuova pronuncia.

A ciò fa eccezione il fatto che le parti compromittenti abbiano, comunque, voluto investire ulteriormente un collegio arbitrale della nuova pronuncia, così derogando a quanto expressis

verbis sancito dalla littera normativa.

La situazione di limitazione del giudizio impugnatorio alla sola fase rescindente, comunque, non può verificarsi neppure in tutti quei casi in cui all’annullamento del lodo sopravvive la convenzione arbitrale, dal momento che in questo caso sono nuovi giudici privati a dover intervenire nel merito della controversia oggetto di vincolo compromissorio. Ma è proprio tra i motivi d’impugnazione del lodo, per i quali non è previsto che la nuova pronuncia rescissoria rimanga affidata alla Corte d’appello, che si debbono individuare i casi in cui viene meno l’efficacia della convenzione arbitrale, con susseguente inevitabile impossibilità che ad adottare la nuova pronuncia siano giudici privati.

Cominciamo, quindi, con il primo motivo d’impugnazione del lodo che, oltre che per la sua collocazione nell’art. 829 c.p.c., merita un particolare rilievo per i notevoli risvolti problematici che pone all’interprete.

Prima della novella del 2006, l’art. 829 individuava come motivo di invalidità del lodo la nullità del compromesso e la dottrina aveva avuto modo di precisare che l’ipotesi dovesse

essere estesa all’analogo vizio della clausola compromissoria, ma non al caso d’indisponibilità della materia, che avrebbe condotto alla diversa situazione d’inesistenza della pronuncia arbitrale371.

L’art. 829 primo comma n. 1 ora prevede che l’impugnazione è ammessa “se la convenzione

d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’art. 817 terzo comma”.

Ai fini di una preliminare e generale disamina della disposizione in esame, ci preme evidenziare, oltre che il (felice) richiamo alla convenzione arbitrale tout court e non al solo compromesso, il rinvio all’art. 817 terzo comma, ai sensi del quale la parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può impugnare il lodo, salvo il caso di materia non compromettibile.

Il rinvio così operato è foriero di fondati dubbi.

Mettendo da parte il caso di incompromettibilità della materia, in ordine al quale non si pone alcun problema di spendita del vizio in ogni sede e in ogni momento372, si deve segnalare la puntuale previsione di rilievo tempestivo del vizio della convenzione arbitrale ai fini del successivo impiego dello strumento impugnatorio. La semplice invalidità del patto compromissorio, infatti, non è condizione sufficiente per far valere il vizio di fronte alla Corte d’appello, occorrendo, al contrario, una sua tempestiva rilevazione nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri.

Mentre l’art. 829 comma primo n. 1 richiama il solo caso d’invalidità, l’art. 817 terzo comma si rapporta ai casi d’inesistenza, invalidità e inefficacia: ciò, tuttavia, non esclude che anche le categorie dell’inesistenza o dell’inefficacia possano essere spese quali motivi d’impugnazione del lodo, in quanto anch’esse patologie lato sensu invalidanti del vincolo compromissorio. Ne deriva, però, un importante corollario. L’inesistenza della convenzione arbitrale è, unitamente all’incompromettibilità della materia, una tradizionale ipotesi d’inesistenza del

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Luiso, Diritto processuale civile, IV, 2000, 363 e Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, cit., 13 e ss. In giurisprudenza si vedano Cass. 24 settembre 1982 n. 4934, in Giur. it., 1983, I, 1, 755 e Cass. 27 luglio 1982 n. 4317, in Giur.it., 1983, I. !, 761. Contra Fazzalari, L’arbitrato, cit., 98-99.

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L’incompromettibilità della materia, oltre ad essere eccettuata dall’art. 817 terzo comma, non è richiamata in nessuna disposizione dell’art. 829 quale possibile motivo d’impugnazione per nullità del lodo. Come esattamente osservato da Menchini, op. ult. cit., 850, rimane il dubbio se l’inesistenza del lodo per tale motivo possa anche spendersi in sede d’impugnazione per nullità, potendosi far valere anche in sede di opposizione all’esecuzione, esperendo un’actio nullitatis o in via di eccezione, in qualsiasi processo in cui siano opposti gli effetti del lodo. Da notarsi che parte della dottrina (Cecchella, Le impugnazioni del giudizio arbitrale, in L’arbitrato, Torino 2005, 237 e

lodo, passibile di essere fatta valere in ogni sede e senza limiti temporali373; pur tuttavia, alla luce dell’art. 817 essa deve essere fatta valere con il solo rimedio dell’impugnazione per nullità e, peraltro, previa tempestiva rilevazione nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri. Se la parte, infatti, non rileva in apertura del processo arbitrale l’inesistenza del patto compromissorio, il vizio risulta definitivamente sanato e si ha una sorta di formazione endoprocessuale della convenzione arbitrale prima inesistente.

Come prontamente evidenziato da una parte di quella dottrina che ha commentato a caldo la riforma dell’istituto arbitrale374, il collegamento tra l’art. 829 primo comma n. 1 e l’art. 817 terzo comma insinua non pochi dubbi relativamente al rispetto della matrice consensualistica dell’arbitrato, dal momento che favorisce la formazione di una convenzione arbitrale altrimenti inesistente per facta concludentia in caso di mancata tempestiva rilevazione del relativo vizio.

L’unico modo per superare l’impasse del dato letterale senza tradire i capisaldi della disciplina dell’arbitrato consiste, allora, nel ritenere che l’inesistenza della convenzione arbitrale può farsi valere autonomamente (senza, di necessità, ricorrere al rimedio di cui all’art. 829 c.p.c.) solamente nel caso in cui la parte interessata sia stata del tutto assente sia nella fase di costituzione del giudice arbitrale, sia nel successivo procedimento.

Fatte queste debite indispensabili premesse per cogliere l’esatta portata del motivo d’impugnazione in esame, si tratta ora di valutare quali conseguenze esso produca nel rapporto tra fase rescindente e fase rescissoria nel contesto dell’impugnazione per nullità. Dobbiamo riprendere il tenore dell’art. 830 comma secondo c.p.c. e metterlo in correlazione con quanto previsto al successivo comma quarto del medesimo articolo. Nella prima disposizione, che individua i casi di competenza della Corte d’appello in sede rescissoria, non vi è richiamo alcuno al n. 1 dell’art. 829, mentre nel quarto comma si dice testualmente che “quando la Corte d’appello non decide nel merito si applica la convenzione di arbitrato,

salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia”.

ss. e Fazzalari, in Briguglio-Fazzalari-Marengo, La nuova disciplina, cit., 197-198) ritengono inibito il ricorso all’impugnazione per nullità in questo caso.

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Per una ricostruzione sulla categoria dell’inesistenza del lodo si vedano Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza del patto compromissorio, in Riv. Arb., 1997, 534 e ss. (il quale, anche prima della riforma del 2006, condivideva l’assunto che l’inesistenza del patto compromissorio non fosse ipotesi di radicale inesistenza, ma solo motivo d’impugnazione per nullità) e Fazzalari, in Briguglio-Fazzalari-Marengo, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 197-198.

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Quest’ultima disposizione, che è quella che ci viene in soccorso, non contempla il caso d’inesistenza del patto compromissorio, ma, alla luce delle riflessioni poc’anzi formulate, non sembra che possa distinguersi questo caso dal quelli citati afferenti all’invalidità o all’inefficacia.

Di conseguenza, di fronte all’accertamento giudiziale di ipotesi d’invalidità, inesistenza o inefficacia del vincolo compromissorio si applica la medesima regola che prevede l’inoperatività della convenzione arbitrale.

Allorché la Corte d’appello abbia accertato l’invalidità del patto compromissorio, pertanto, non potrà emettere alcuna pronuncia sostitutiva, giacché si è accertato che ab origine mancava o non era stata validamente manifestata la volontà delle parti di compromettere la lite in arbitri. A queste ultime, quindi, non resta che rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinariamente competente in primo grado o, in alternativa, stipulare una nuova valida convenzione arbitrale che consenta di rivolgersi ex novo agli arbitri. Quel che merita sottolineare è che, in quest’ultimo caso, si tratterà di un nuovo vincolo compromissorio, del tutto sganciato e distinto da quello originariamente stipulato.

Non è difficile ammettere che della precisazione offerta dall’ultima parte del quarto comma dell’art. 830 c.p.c. (“salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia”) non vi sarebbe stato neppure bisogno, dal momento che è intuitivo considerare che la convenzione arbitrale possa rivivere ai fini dell’instaurazione di un nuovo giudizio soltanto se esistente e valida.

Corollario di quanto sino ad ora esposto è il fatto che il giudizio arbitrale eventualmente instaurato verrà a determinare una fase processuale del tutto nuova e sganciata dalla precedente, senza salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta di fronte agli arbitri. Se la pregressa vicenda giudiziale era stata invalidamente avviata, perché in assenza del vincolo compromissorio o in presenza di una convenzione arbitrale viziata, una volta annullato il lodo scaturitone, di essa non rimarrà traccia nel nuovo giudizio avviato di fronte al giudice statale o a seguito della stipulazione di una nuova (e diversa) convenzione d’arbitrato.

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