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La irregolare costituzione dell’organo giudicante e l’incapacità degli arbitri

IL PROCEDIMENTO IN SEDE RESCISSORIA

SEZIONE SECONDA: I CASI DI STRUTTURALE IMPOSSIBILITÀ DI SOPRAVVIVENZA DELLA CONVENZIONE ARBITRALE

6. La irregolare costituzione dell’organo giudicante e l’incapacità degli arbitri

Dopo aver analizzato le specifiche situazioni in cui non sembra sussistere necessità di un giudizio rescissorio, allorché sia intervenuto annullamento del lodo e dopo aver circoscritto queste situazioni alle fattispecie di invalidità della convenzione arbitrale e di pronuncia resa

extra compromissum, si tratta ora di considerare i casi in cui vi sia necessità di adozione di

una pronuncia rescissoria.

In particolare, è opportuno, per coerenza espositiva, prendere le mosse da quelle fattispecie in cui detto giudizio deve essere necessariamente riservato a (come si è già detto) diversi giudici privati, in quanto la convenzione arbitrale originariamente stipulata continua a preservare i propri effetti.

Si tratta, quindi, di prendere in considerazione quei motivi di nullità della pronuncia arbitrale per i quali l’art. 830 c.p.c. non prevede che la pronuncia sostituiva sia affidata alla Corte d’appello e, all’interno di essi, valutare se la previsione dell’ultimo comma del succitato articolo possa trovare piena applicabilità.

Assodato che i vizi d’invalidità del patto compromissorio, di pronuncia resa extra

compromissum o, comunque, di decisione del merito in un caso in cui agli arbitri era inibita

agli arbitri, si tratta di considerare se i motivi d’impugnazione di cui ai restanti nn. 2, 3 e 10 del primo comma dell’art. 829 c.p.c. possono fondare la competenza del giudice arbitrale. Ai fini della ricostruzione di un’eventuale competenza arbitrale in sede rescissoria, si tratta ora di analizzare due motivi d’impugnazione per nullità del lodo non richiamati dal secondo comma dell’art. 830, ma accomunabili, in quanto afferenti alla regolare e valida costituzione del collegio arbitrale.

Si tratta dei motivi 2 e 3 dell’art. 829, che individuano il caso in cui gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del titolo VIII del libro IV e quello in cui il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’art. 812 c.p.c.

La formulazione è del tutto analoga a quella precedente la riforma del 2006, anche se è mutato il contenuto della disposizione richiamata dal n. 3, vale a dire l’art. 812.

La disposizione prevedeva che fossero ammessi all’ufficio arbitrale tutti (anche gli stranieri), purché non minori, interdetti, inabilitati, falliti e coloro che sono sottoposti ad interdizione dai pubblici uffici. Ora, più genericamente, essa prevede che tutti (apolidi compresi395) possono svolgere le funzioni arbitrali, purché in possesso della capacità legale d’agire.

Profilo centrale delle disposizioni richiamate è quello della tempestiva rilevazione del vizio nel corso del processo arbitrale: mentre il motivo n. 2 (irregolare costituzione del collegio arbitrale) testualmente prevede che la nullità debba essere dedotta nel corso del giudizio arbitrale, il successivo terzo motivo omette qualsivoglia riferimento.

Quid iuris? Si deve ritenere che, nel silenzio del legislatore, non sussista l’onere di tempestiva

rilevazione endoprocessuale o, piuttosto, facendo leva sul secondo comma dell’art. 829, si deve ammettere che il vizio possa essere speso se sollevato nella prima istanza o difesa successiva alla costituzione del collegio?

Secondo la prima ricostruzione396 il silenzio del legislatore è significativo: se fosse stata necessaria la tempestiva rilevazione, lo si sarebbe potuto dire espressamente, come si è fatto, del resto, nello stesso secondo motivo.

395

La pregressa formulazione alludeva sia ai cittadini italiani che agli stranieri, omettendo qualsiasi riferimento alla categoria degli apolidi, i quali sembravano così esclusi dall’ufficio arbitrale.

396

Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 160-161, il quale conclude asserendo che presumibilmente del secondo comma dell’art. 829 c.p.c. (introdotto con la riforma del 2006) si sarebbe potuto anche fare a meno.

A questa si contrappone una diversa lettura397 che attribuisce un preciso significato al neointrodotto secondo comma dell’art. 829, il quale prevede che “la parte…che non ha

eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo”.

La norma, infatti, assolverebbe, in relazione ai singoli motivi di cui al primo comma dell’art. 829, diverse funzioni: ora di conferma a quanto già espressamente previsto (nn. 1 e 7), ora d’integrazione delle modalità di rilevazione (nn. 4 e 6), ora d’introduzione dell’onere di tempestiva rilevazione (nn. 3 e 9). Senza trascurare, comunque, che vi sono casi in cui la disposizione in commento è incompatibile con le specifiche regole di cui al primo comma, come avviene nel caso di contrasto con precedente lodo non più impugnabile o sentenza passata in giudicato (n. 8).

Come si intuisce, pertanto, rispetto al vizio d’incapacità degli arbitri, la norma opera in funzione integrativa, imponendo l’onere di sollevare la detta incapacità nel primo atto difensivo successivo all’accettazione degli arbitri, indicando sia la necessità della tempestiva rilevazione, sia le modalità temporali della sua operatività.

Credo che questa affermazione sia condivisibile, in quanto evidenzia il pregio di cogliere la specifica funzione d’introduzione di una disposizione che, a voler aderire alla tesi contraria, finisce per essere svuotata di significato. Il silenzio del legislatore in ordine al motivo di nullità derivante dall’incapacità degli arbitri, allora, va colmato con il richiamo al secondo comma dell’art. 829, norma che acquisisce, in questa maniera, un preciso significato nel contesto della spendita dei motivi d’impugnazione del lodo.

Venendo, così, al tema oggetto della presente indagine, occorre valutare cosa accada nel caso in cui la Corte d’appello ravvisi il vizio d’irregolare costituzione del collegio o d’incapacità degli arbitri.

Una volta annullato il lodo, in sintonia con quanto disposto al secondo comma dell’art. 830, la Corte non ha la possibilità di emettere un pronuncia sostitutiva e dovrebbe conservare la propria efficacia la convenzione arbitrale.

Questa, infatti, preserva la sua validità, giacché l’irregolare nomina degli arbitri o la designazione di soggetti incapaci non inficiano in alcun modo l’originaria scelta di esperire la via arbitrale. Non essendo posta nel nulla la scelta in sé di rivolgersi agli arbitri, le parti

397

potranno procedere alla designazione di nuovi arbitri (ritualmente nominati e legalmente capaci d’agire) per intraprendere un nuovo giudizio di fronte agli stessi, anche in questo caso senza conservazione degli effetti della pregressa litispendenza.

In queste ipotesi, infatti, benché vi sia stato un lodo, può ritenersi mancante una vera e propria cognizione della causa ad opera dei giudici privati. La pronuncia, infatti, è stata resa in esito ad un giudizio totalmente invalido e detta originaria e perdurante invalidità scaturisce dalla viziata costituzione del giudice privato o dalla sua incapacità.

Anche prima della riforma, comunque, in dottrina si era evidenziato come in questi casi fosse precluso alla Corte d’appello il giudizio in sede rescissoria. Secondo talune voci ciò derivava dalla perdurante efficacia del vincolo compromissorio398. L’orientamento non era, comunque, univoco, dacché parte della dottrina riteneva, al contrario, necessario l’intervento della Corte d’appello399

.

Sul punto si riscontrava anche un contrasto giurisprudenziale, dal momento che la Suprema Corte, con sentenza 19025/2003400, aveva chiarito che l’avvio della fase rescissoria dinnanzi alla Corte d’appello era possibile, alla luce del previgente testo dell’art. 830, nel caso in cui si fosse svolto un procedimento, ancorché irregolare, di fronte agli arbitri, ma non nel caso d’inesistenza del lodo: ipotesi questa che si sarebbe verificata, oltre che nel caso d’inesistenza del patto compromissorio, anche in quella di assoluta carenza di potestas iudicandi degli arbitri. Nonostante ciò, la pronuncia aveva ritenuto che, nel caso d’irregolare costituzione del collegio arbitrale, non si dovesse ravvisare un difetto di potestà di giudizio degli arbitri ed aveva conseguentemente ammesso l’intervento in fase rescissoria dei giudici d’appello. Di contro diverse altre pronunce dei giudici di legittimità401 erano concordi nel ritenere che il difetto di potestas iudicandi, quale ipotesi di reiezione dell’intervento della Corte d’appello in fase rescissoria, comprendesse anche i casi d’irrituale nomina degli arbitri o di loro incapacità.

398

Fazzalari, in Briguglio-Fazzalari-Marengo, La nuova disciplina, cit., 217.

399

Califano, in Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 321 e Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., II, 246.

400

Pubblicata in Riv. Arb. 2005, con nota critica di Grasso, Istituzione del procedimento arbitrale, carenza di potestas iudicandi e fase rescissoria del giudizio d’impugnazione per nullità, 76 e ss.

401

Cass. 30 gennaio 2002 n. 1230, in Riv. arb., 2002, I, 976 e in Foro it., 2002, I, 1755; Cass. 27 aprile 2001 n. 6115, in Foro it, 2001, I, 1837 e Cass. 16 giugno 1997 n. 5370, in Foro it. 1998, I, 567.

A comporre detto contrasto soccorre la nuova formulazione dell’art. 829 che, escludendo i casi di cui ai motivi nn. 2 e 3 dalla competenza in sede rescissoria della Corte, sembra aderire al prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza pregresse.

Alla Corte spetta solo di eliminare dal mondo giuridico la pronuncia arbitrale, ma non quello di emettere la pronuncia sostitutiva, in quanto ciò costituirebbe violazione del principio del doppio grado di giurisdizione senza che ne ricorrano i presupposti di legge402.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 830, peraltro, rimane ferma la possibilità per le parti di demandare alla stessa Corte la pronuncia rescissoria, derogando, così, al regime legale di riparto della competenza.

Non è da escludersi, infine, che le parti vogliano concordemente rinunciare alla convenzione arbitrale e rivolgersi al giudice ordinariamente competente in primo grado.

Si precisi, infatti, che il patto compromissorio non ha perso la sua efficacia e, per tal motivo, le parti sono poste di fronte al bivio della scelta tra il mantenimento in vita del vincolo alla procedura arbitrale e la possibilità di rivolgersi al giudice ordinario. Se tra le stesse non c’è accordo, è chiaro che l’azione dovrà essere proposta di fronte al collegio arbitrale: nel caso ci si rivolgesse al giudice dello Stato, infatti, l’azione potrebbe essere agevolmente paralizzata da un’exceptio compromissi.

Benché parte della dottrina concluda in senso parzialmente difforme403, la soluzione definitiva, in difetto di volontà concorde di segno opposto, sembra essere, quindi, quella dell’arbitrato404

, realizzandosi (lo si ribadisca) un giudizio del tutto nuovo rispetto a quello da cui è scaturito il lodo annullato in sede d’impugnazione per nullità.

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