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L’interesse della società AZ a dedurre una simile violazione processuale è il medesimo di

Nel documento N. 5 Percorsi (pagine 108-125)

Eventuali fonti di dottrina e giurisprudenza per la soluzione del quesito contenuto nel parere. Schema dell’atto

2.2. L’interesse della società AZ a dedurre una simile violazione processuale è il medesimo di

2. Art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p.: inutilizzabilità delle dichiarazioni di Sempronio per violazione dell’art. 513, comma 2 c.p.p., nonché degli artt. 111, comma 4, II° periodo Cost. e 526, comma 1-bis c.p.p.

La Corte territoriale ha commesso anche un’ulteriore, macroscopica violazione del diritto di difesa di Mevio (e, conseguentemente, anche della società AZ).

2.1. Sempronio, il dipendente pubblico “grande accusatore” di Mevio, presentatosi nel

dibattimento di primo grado, si è rifiutato di rispondere alle domande nel contraddittorio delle parti. Sono state pertanto “ripescate” dal fascicolo delle indagini delle sue precedenti dichiarazioni, rilasciate in via unilaterale in indagini al P.M. Su queste dichiarazioni si è basata, in modo decisivo, la condanna da parte della Corte d’appello.

Ma è evidente che esse sono inutilizzabili: l’art. 513, comma 2, III° periodo c.p.p. stabilisce che, in tali casi, «il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l’accordo delle parti» e né Mevio né tantomeno la società AZ hanno mai prestato un simile consenso!

Inoltre, l’utilizzo di quel verbale in luogo di una rituale deposizione dibattimentale ha violato anche il diritto di Mevio (e della società AZ) di confrontarsi con il proprio accusatore, riconosciuto dalle norme epigrafate, la cui ulteriore violazione conferma la totale inutilizzabilità dell’atto.

2.2. L’interesse della società AZ a dedurre una simile violazione processuale è il medesimo di

cui al precedente motivo 1.

Tale interesse, anzi, risulta rafforzato: se, come pare doveroso alla scrivente difesa, né le intercettazioni, né il verbale di dichiarazioni di Sempronio sono utilizzabili, il castello accusatorio su cui si fonda la pronuncia impugnata viene totalmente meno ed il proscioglimento pieno, tanto per Mevio quanto per la società AZ, diviene doveroso.

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3. Art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p.: violazione degli artt. 317 e 319 c.p. per aver ritenuto configurabile il delitto di corruzione anziché quello di concussione.

Con il presente motivo si censura la grave violazione della legge penale in cui è incorso il giudice di merito.

Senza che ciò costituisca censura di merito, inammissibile nella presente sede di legittimità, si consideri che agli atti, oltre al chiaro esame di Mevio, risulta anche una pacifica deposizione di un testimone terzo ed indifferente alle parti, relativamente alle vere e proprie coazioni, poste in essere da Sempronio, al fine di costringere Mevio alla dazione di danaro.

È evidente che, così stando le cose, non risulta certo configurabile il reato di corruzione, che presuppone che il privato ed il pubblico dipendente concludano un pactum illegittimo su un piano di parità, bensì il diverso reato di concussione, in cui la volontà del privato è totalmente forzata dall’agente, che fa leva sulla sua posizione di supremazia (giurisprudenza costante: cfr., recentemente, Cass. pen., sez. VI, 5.10.2010, n. 38650, in C.E.D., rv. 248522). Conseguentemente, Mevio non è certo correo, bensì vittima della condotta di Sempronio, come lo è anche la società AZ, nei cui confronti nessuna delle statuizioni adottate può essere confermata.

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4. Art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.: violazione degli artt. 12, 13 e 17 D.Lgs. n. 231 del 2001 in materia di determinazione della sanzione pecuniaria e di quella interdittiva.

Per mero scrupolo defensionale, qualora i precedenti motivi non dovessero trovare accoglimento, si porta all’attenzione di codesta Ecc.ma Corte la pacifica circostanza dell’avvenuta adozione di un modello organizzativo da parte della società AZ già nel corso delle indagini. Ciò deve portare, quantomeno, a mitigare la sanzione pecuniaria applicata nella misura della metà, ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b) D.Lgs. n. 231 del 2001, nonché a ripensare la effettiva necessità di applicare la sanzione interdittiva, ai sensi degli artt. 13 e 17 D.Lgs. n. 231 del 2001. Incomprensibilmente ciò non è stato fatto dal giudice di merito, per cui si chiede che codesta Ecc.ma Corte voglia dare le opportune istruzioni al giudice del rinvio in tal senso.

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5. Art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.: violazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 231 del 2001 in materia di confisca del profitto.

In ogni caso, la confisca disposta dal giudice di merito appare totalmente illegittima nel quantum. Anche nel caso in cui si ritenga integrato il reato di corruzione, infatti, la confisca ex art. 19 D.Lgs. n. 231 del 2001 deve avere ad oggetto unicamente il profitto del reato.

Esso è stato determinato, con la sentenza che qui si impugna nell’importo complessivo dei lavori di ristrutturazione (circa 2 milioni di euro).

A fronte di un intenso dibattito dottrinale e del formarsi di orientamenti giurisprudenzia-li non sempre coerenti, sul punto di una corretta definizione del concetto di profitto, nella norma indicata in epigrafe, si è finalmente pronunciata codesta Ecc.ma Corte a sezioni unite, statuendo che «il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto, ai sensi degli art. 19 e 53 del D.Lgs. n. 231 del 2001, nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente» (Cass., sez. un., 27-03-2008, n. 26654, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1738).

Come noto, nella diatriba tra chi propugnava l’adesione ad una nozione di profitto quale ricavo complessivamente percepito dall’ente attraverso il reato (c.d. Bruttoprinzip, principio del lordo), ed un’altra, più restrittiva, di vantaggio patrimoniale derivante dall’illecito al netto delle spese sostenute per il suo conseguimento (c.d. Nettoprinzip, principio del netto), la Su-prema corte ha sì aderito al primo orientamento, ma con alcuni fondamentali distinguo.

Il primo è, appunto, l’esigenza, espressamente rimarcata, che il vantaggio da confiscare si ponga in rigido collegamento di derivazione causale dal reato.

Il secondo riguarda la distinzione tra “reati contratto” e “reati in contratto”. La prima figura ricorre quando la stessa stipulazione del contratto costituisce reato, da ciò derivando che «il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca». Se, invece, il reato «va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale» (“reato in contratto”), il nego-zio è assolutamente lecito e efficace tra le parti, generando una serie di costi di esercinego-zio di cui il giudice deve tenere conto nella determinazione del quantum confiscabile.

Non così, invece, nel caso di specie, in cui il giudice di merito ha ritenuto di assoggettare a sequestro un importo pari al valore lordo della ristrutturazione, senza tenere conto degli ine-vitabili costi da sostenere.

La confisca − sempre che la si voglia mantenere − andrà dunque drasticamente ridotta nel proprio ammontare.

*** Per i sovrastanti motivi, il sottoscritto difensore

chiede

che codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del ricorso e previa declaratoria di inutilizzabilità degli atti segnalati, voglia annullare la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione di legge e di prassi.

Luogo, data

Avv. <...>

Le sentenze in evidenza

Il cuore della presente traccia − e ciò che nella “vita reale” spesso interessa di più, specie quando si versa, come nel caso di specie, in tema di white collar crimes − è dato dalle conseguenze patrimoniali della condotta: nel caso di specie dall’estensione della confisca ex artt. 322-ter c.p. e 19 D.Lgs. n. 231 del 2001.

Nella presente sezione si ritiene, pertanto, di cogliere l’occasione per segnalare due pregevoli e recentissime sentenze della Suprema corte, a sezioni unite, che fanno il punto sull’istituto della confisca, e che (aldilà della loro condivisibilità) contengono il decalogo per superare moltissimi problemi applicativi.

Corte di Cassazione, Sez. Un. pen., 25 giugno 2009, n. 38691

Misure cautelari - Reali - In genere - Sequestro funzionale alla successiva confisca “per equivalente” di cui all’art. 322-ter comma primo cod. pen. - Oggetto - Equivalente del profitto - Legittimità - Esclusione - Fatti-specie in tema di peculato.

In tema di peculato, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente” disciplinata dall’art. 322-ter, comma primo cod. pen., può essere disposto, in base al testuale tenore della norma, soltanto per il prezzo e non anche per il profitto del reato.

Corte di Cassazione, Sez. Un. pen., 27 marzo 2008, n. 26654

Sequestro preventivo funzionale alla confisca - Oggetto del sequestro - Concezione estensiva.

Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto – ai sensi degli artt. 19 e 53 D.Lgs. n. 231/2001 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

***

Responsabilità amministrativa degli enti - Sequestro preventivo e confisca - Responsabilità concorsuale - Disciplina.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, in caso di responsabilità concorsuale, riguardante una pluralità di enti coinvolti nella medesima vicenda, la confisca del profitto del reato, applicandosi il prin-cipio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, può riguardare indifferente-mente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (entro logicaindifferente-mente i limiti quantitativi dello stesso), senza che rilevi il riparto interno del relativo onere tra i concorrenti, che costi-tuisce fatto interno a questi ultimi. Per l’effetto, il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti.

Traccia per la redazione del parere

Il 28 luglio 2010, durante un’operazione di scavo in un cantiere edile, Tizio, di professione muratore, viene investito da una frana mentre si trova a lavorare in una buca e muore sul colpo. In relazione all’episodio vengono subito indagati dal pubblico ministero, per il delitto di cui all’art. 589, comma 2 c.p. (omicidio colposo aggravato), nonché per le contravvenzioni di cui all’art. 36, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 81/2008 in relazione all’art. 55, comma 5, lett. c) del medesimo D.Lgs. (violazione dell’obbligo di informazione al lavoratore sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta) e di cui all’art. 118 del medesimo D. Lgs., in riferimento all’art. 159, comma 2, lett. a) del medesimo D.Lgs. (violazione delle cautele prescritte in caso di splateamento e sbancamento), Caio, amministratore unico della Alfa S.r.l., impresa edile che procedeva ai lavori, di cui Tizio era dipendente, nonché Sempronio, responsabile del cantiere. Ai primi giorni di settembre 2010 si presenta da Voi Caio con in mano una informazione di garanzia ex artt. 369 e 369-bis c.p.p., recante l’indicazione delle norme sopra menzionate, e Vi riferisce che, secondo quanto è emerso, la notte prima dell’incidente era piovuto e, quindi, il terreno era particolarmente friabile, ma che l’iniziativa di scendere nella buca è stata presa da Tizio in modo autonomo. Afferma, altresì, che egli, quale amministratore unico della società Alfa, si occupa esclusivamente di questioni commerciali e che, considerate le notevoli dimen-sioni di detta società, nonché il fatto che essa gestisce più cantieri, le questioni connesse alla si-curezza di quello specifico cantiere erano da lui state delegate proprio a Sempronio, dipendente di fiducia, nominato responsabile del cantiere proprio in quanto fornito di provata esperienza nel settore. Non esiste però una delega scritta, basandosi il rapporto unicamente sugli ottimi rapporti personali.

Ciò premesso, Caio Vi chiede un parere in ordine alla sua posizione.

Schema per lo svolgimento

Analisi della questione

La redazione di un qualsiasi parere esige una preventiva e preliminare attività di analisi, da parte del candidato, volta alla individuazione dei punti problematici e delle argomentazioni da sviluppare, a partire dalle sollecitazioni, in diritto ed in fatto, offerte dalla traccia.

Quella appena riportata conduce ad esaminare i più classici − ma non per questo meno attuali − problemi del diritto penale del lavoro: la delega delle funzioni all’interno dell’impresa, che rappresenta il cuore del parere, nonché l’eventuale rilevanza, in funzione di elisione del nesso causale, della colpa concorrente del lavoratore nella causazione dell’evento.

Nel previgente sistema, basato sul D.Lgs. n. 626 del 1994, la risposta ad ambedue i quesiti andava ricercata unicamente nella giurisprudenza e nella dottrina, punti di riferimento impre-scindibili in materia. Con l’avvento del nuovo D.Lgs. n. 81 del 2008, almeno la delega di funzioni sembra aver trovato una − restrittiva ma chiara − disciplina legale agli artt. 16 e 17.

Il cliente deve inoltre essere senz’altro avvisato di una ulteriore modifica normativa: l’art. 25-sep-ties del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), inserito dall’art. 9, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, e poi sostituito dall’art. 300 del già citato D.Lgs. n. 81 del 2008, prevede la responsabilità ammini-strativa delle persone giuridiche anche nei casi di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole, sulla base della disciplina vigente non solo potrebbe scaturire un procedimento penale a carico di Caio per omicidio colposo, ma un connesso procedimento contro la Alfa S.r.l. per la responsabilità amministrativa derivante dal medesimo reato.

Si ricordi il carattere pro veritate del parere nonché il “divieto” di elaborare una difesa sulla base di circostanze fantasiose od inventate: ogni argomento difensivo deve passare dalla valorizzazio-ne di dati forniti, noti ed esistenti.

Norme e fattispecie di reato da considerare nella redazione del parere

Il punto di partenza per lo svolgimento di ogni parere è costituito dalla ricognizione delle norme rilevanti nel caso sottoposto ad esame.

Art. 589 c.p. Omicidio colposo.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a cinque anni.

(omissis)

Art. 16 D.Lgs. n. 81/2008. Delega di funzioni.

1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla speci-fica natura delle funzioni delegate;

d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.

3. La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.

3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzio-ni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condiziofunzio-ni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate

Art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008. Obblighi del datore di lavoro non delegabili.

1. Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:

a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

Art. 36 D.Lgs. n. 81 del 2008. Informazione ai lavoratori.

1. Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: a) sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale;

b) sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;

c) sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 45 e 46;

d) sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, e del medico competente.

2. Il datore di lavoro provvede altresì affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: a) sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;

b) sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;

c) sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.

3. Il datore di lavoro fornisce le informazioni di cui al comma 1, lettera a), e al comma 2, lettere a), b) e c), anche ai lavoratori di cui all’articolo 3, comma 9.

4. Il contenuto della informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Ove la informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo.

Art. 55 D.Lgs. n. 81 del 2008. Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente.

1. È punito con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro il datore di lavoro: a) per la violazione dell’articolo 29, comma 1;

b) che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell’ar-ticolo 17, comma 1, lettera b), o per la violazione dell’ardell’ar-ticolo 34, comma 2.

2. Nei casi previsti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell’arresto da quattro a otto mesi se la viola-zione è commessa:

a) nelle aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);

b) in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all’articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;

c) per le attività disciplinate dal Titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.

3. È punito con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro il datore di lavoro che adotta il documento di cui all’ar-ticolo 17, comma 1, lettera a), in assenza degli elementi di cui all’arall’ar-ticolo 28, comma 2, lettere b), c) o d), o senza le modalità di cui all’articolo 29, commi 2 e 3.

4. È punito con l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro il datore di lavoro che adotta il documento di cui all’ar-ticolo 17, comma 1, lettera a), in assenza degli elementi di cui all’arall’ar-ticolo 28, comma 2, lettere a), primo periodo, ed f).

5. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:

a) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro per la violazione degli articoli 3, comma 12-bis, 18, comma 1, lettera o), 26, comma 1, lettera b), 43 , commi 1, lettere a), b), c) ed e), e 4, 45, comma 1;

b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.000 a 4.800 euro per la violazione dell’arti-colo 26, comma 1, lettera a);

c) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro per la violazione dell’arti-colo 18, comma 1, lettere c), e), f) e q), 36, commi 1 e 2, 37, commi 1, 7, 9 e 10, 43, comma 1, lettere d) ed e-bis), 46, comma 2; d) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro per la violazione degli articoli 18, comma 1, lettere a), d) e z) prima parte, e 26, commi 2 e 3, primo periodo. Medesima pena si applica al soggetto che viola l’articolo 26, commi 3, quarto periodo, o 3-ter.

e) con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro per la violazione degli articoli 18, comma 1, lettere g), n), p), seconda parte, s) e v), 35, comma 4;

f) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.600 euro per la violazione degli articoli 29, com-ma 4, 35, comcom-ma 2, 41, comcom-ma 3;

g) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.500 euro per la violazione dell’articolo 18 , com-ma 1, lettere r), con riferimento agli infortuni superiori ai tre giorni, bb), e comcom-ma 2;

h) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro per la violazione dell’articolo 18, comma 1, lettere g-bis) e r), con riferimento agli infortuni superiori ad un giorno, e dell’articolo 25, comma 1, lettera e), secondo periodo, e dell’articolo 35, comma 5;

i) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore, in caso di violazione dell’articolo 26, comma 8; l) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro in caso di viola-zione dell’articolo 18, comma 1, lettera aa).

6. L’applicazione della sanzione di cui al comma 5, lettera g), con riferimento agli infortuni superiori ai tre giorni, esclude l’applicazione delle sanzioni conseguenti alla violazione dell’articolo 53 del decreto del

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