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Opzioni difensive a disposizione. Fonti di dottrina e giurisprudenza per la soluzione del quesito contenuto nel parere

Nel documento N. 5 Percorsi (pagine 154-162)

Laddove si individui nella ricettazione il reato contestato a Tizio, gioverà richiamare nel pa-rere, anche ricorrendo alla giurisprudenza, i problemi di fondo dell’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 648 c.p. (il dolo si estende alla consapevolezza della provenienza delit-tuosa del bene).

In punto di dolo della ricettazione, la giurisprudenza − specie quella di merito1 − è molto se-vera, accontentandosi del dolo eventuale2e affermando che anche il dubbio sulla provenienza

1 Tra le ultime note: Trib. Genova 21.6.2010 n. 3226, in www.diritto24.ilsole24ore.com, la cui massima afferma “per-ché si configuri il delitto in questione, ciò che rileva è la consapevolezza dell’imputato, anche generica, di ricevere una cosa di provenienza delittuosa senza alcuna precauzione, accendo il rischio a ciò connesso”.

2 «In tema di ricettazione, è sufficiente il dolo eventuale, che è ravvisabile quando il soggetto riceve la cosa non con mera negligenza, ma nella consapevole accettazione del rischio che questa sia di provenienza illecita» (Cass. Sez. II., 13,11.2000, n. 12566). Tra le più recenti in questo senso si veda Cass. Sez. II, 22.1.2008 n. 5996: «Il criterio distintivo tra la ricettazione e l’in-cauto acquisto deve ricercarsi nell’elemento psicologico, nel senso che si configura il primo reato, sotto il profilo del dolo even-tuale, ogniqualvolta l’agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della res risolvendolo nel senso dell’indifferenza della soluzione; mentre si configura la fattispecie contravvenzionale quando il soggetto ha agito con negligenza, nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il problema e ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata. In sostanza, nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale − nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’espe-rienza − sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la pro-venienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di propro-venienza illecita».

delittuosa è sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del reato: com’è noto, parte della giurisprudenza di legittimità3 e la dottrina dominante manifestano perplessità su un siffatto severo orientamento, che pare estraneo al dettato dell’art. 648 c.p., rilevando che nei confronti di un accadimento del passato il dubbio non implica conoscenza di ciò che si è verificato e concludendo che il dolo della ricettazione non può che essere quello diretto4.

Al proposito le Sezioni Unite della Cassazione, recentemente pronunciatesi, non hanno risolto compiutamente la questione e anzi hanno confermato che il dolo eventuale è sufficiente per rite-nere integrata la ricettazione, rimodellando, tuttavia, l’istituto nel richiedere, che l’agente effettui una “precisa e inequivoca scelta”, tant’è che, secondo la Suprema Corte «il dolo eventuale non può essere ravvisato da un semplice motivo di sospetto ma è necessaria una situazione fattuale tale che, dal punto di vista soggettivo, renda pressoché inequivocabile la provenienza illecita del bene acquistato» (Cass. SS. UU., 30.3.2010 n. 12433, in GD n. 20 del 15.5.2010).

Dev’essere chiaro che il tema del dolo, seppure fondamentale per la descrizione della fattispe-cie di reato ex art. 648 c.p. (che la traccia chiede di illustrare) non è l’unica strada per definire la linea di difesa di Tizio.

Di sicuro interesse, piuttosto, i seguenti aspetti:

– in fatto: Tizio si è limitato ad accettare un passaggio (dal punto di vista probatorio: egli è trasportato);

– in fatto: egli ha avuto poco tempo a disposizione per rendersi conto che l’auto aveva pro-venienza illecita;

– è tutt’altro che pacifico che, alla vista di una manomissione del congegno di avviamento del veicolo, si debba concludere per l’esistenza di un delitto presupposto;

– non vi sono elementi concreti da cui desumere il concorso di Tizio nella ricettazione (né, ovviamente, nel furto presupposto);

– Tizio ha solo un contatto occasionale con il bene precedentemente rubato e non ne entra mai in possesso, manca quindi la relazione di fatto con la res di provenienza illecita, che invece caratterizza la condotta di ricettazione;

– d’altra parte, la ricettazione è reato istantaneo e quando Tizio accetta il passaggio da Caio, si è già consumata mentre, in base alla circostanze di fatto note (Caio gode di piena e au-tonoma detenzione del veicolo), non potrà certo sostenersi che il bene è successivamente passato nella disponibilità di Tizio che, per di più, non può giuridicamente concorrere a posteriori nel fatto altrui.

Da quanto sopra si potrà ragionevolmente concludere per l’assenza di responsabilità in capo a Tizio.

Conclusioni (argomentazioni e temi da esporre nella traccia)

3 Per la configurabilità dell’elemento psicologico del reato di ricettazione non è sufficiente il dolo eventuale, poiché la rap-presentazione del dubbio della provenienza illecita della cosa acquistata o ricevuta, ovvero la raprap-presentazione dell’eventualità che questa provenga da delitto, integra la fattispecie dell’incauto acquisto di cui all’art. 712 c.p., che punisce colui che «senza averne accertato la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose che per la loro qualità o per le condizioni di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato» (Cass., Sez. II, 15.10.2002, n. 5123).

Svolgimento del parere per esteso

Si chiede al difensore di Tizio di valutare gli eventuali profili di responsabilità o corresponsa-bilità discendente dalla presenza dello stesso Tizio su un veicolo provento di furto ma guidato da altro soggetto.

Risulta, infatti, che Tizio abbia accettato di essere trasportato sulla vettura guidata da Caio e che si sia accorto, durante il tragitto, della presenza di segni di effrazione.

In quello stesso contesto di tempo il veicolo, sottoposto a controllo da parte della Polizia, risultando rubato da circa un mese, veniva sequestrato e i due, che si trovavano a bordo, con-seguentemente indagati.

Occorre valutare, preliminarmente, quali siano i reati astrattamente ipotizzabili a carico di Tizio e, successivamente, elaborarne una linea di difesa.

Nel caso in esame rilevano essenzialmente due fattispecie di reato le quali possono alter-nativamente, (ma non congiuntamente, per via del principio di specialità) essere oggetto di contestazione in situazioni in cui il bene in sequestro è palesemente provento di furto: al detentore del bene può, in effetti, essere addebitato il furto del veicolo oppure la ricetta-zione, ossia l’acquisto ovvero la ricezione o l’occultamento del veicolo nella consapevolezza che provenga da reato.

Il furto d’auto è, perlopiù, caratterizzato da una o più aggravanti, dal momento che l’effrazione e la forzatura della serrature sono pacificamente considerate “violenza sulle cose” (art. 625, n. 2, c.p.) e che gli autoveicoli, se parcheggiati sulla pubblica via, sono, per definizione, esposti alla pubblica fede (art. 625, n. 7, c.p.), anche quando le serrature delle portiere sono state chiuse a chiave (Cass., Sez. V, 5.2.2004, RV 228757) o quando l’auto è stata dotata di antifurto (che, se-condo Cass. Sez. II, 16.5.1985, RV 170556, non elimina il pubblico affidamento della res). Non vi sono elementi di fatto, tuttavia, per potere addebitare a Tizio il concorso nel furto aggrava-to del veicolo dal momenaggrava-to che egli non ha evidentemente tenuaggrava-to alcun tipo di condotta di “sot-trazione” del bene ovvero di compartecipazione, morale o materiale, al furto commesso da altri. Per contro è sostenibile l’ipotesi di una ricettazione (evidentemente in concorso, dal momento che la convalida del sequestro viene notificata sia a Tizio che a Caio), fattispecie caratterizzata, come sopra accennato, dall’acquisto o dalla ricezione od occultamento della res provento di delitto, “fuori dei casi di concorso” nel reato presupposto.

Scopo della previsione di cui all’art. 648 c.p. è la repressione dell’illecito incremento patri-moniale che deriva dall’acquisizione di beni di provenienza illegittima (Cass. 12.1.1996, RV 203809): da ciò deriva che la ricettazione, la cui condotta tipica è idonea a rafforzare l’offesa originariamente arrecata da altro delitto, cosiddetto “delitto presupposto”, è annoverata tra i reati contro il patrimonio.

Ovviamente il dolo della ricettazione non deve essere inteso solo come volontà di ricevere o acquistare il bene, ma deve anche essere caratterizzato dalla consapevolezza della illecita pro-venienza di quel bene: è responsabile della ricettazione, in altri termini, colui che acquista un bene sapendo che proviene da un delitto.

La Cassazione è solita affermare che, per la configurabilità del delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto senza che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di moto e luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, purché gravi, univoche e tali da

generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto (Cass. Sez. II, 7.4.2004, RV 228797). Occorre ancora rammentare che la prevalente giurisprudenza ravvisa nella ricettazione il dolo eventuale sicché la consapevolezza della provenienza illecita della res deve ritenersi sussistente anche quando nella mente dell’agente si sia affacciato il dubbio della provenienza delittuosa ed egli, nonostante ciò, ne abbia accettato il rischio (Cass. Sez. VI, 31.5.1993, RV 194913 e, tra le ultime, Cass Sez. II, 22.1.2008 n. 5996).

Date queste premesse, tutt’altro che irragionevole, nella prospettiva di un’accusa formulata a Tizio e a Caio, è l’ipotesi che costoro, non identificabili con gli autori del furto siano, piutto-sto, coloro che hanno ricevuto o acquisito il bene in tempi successivi all’originaria sottrazione dell’auto al legittimo possessore (vicenda che diviene, pertanto, il delitto presupposto della ricettazione addebitata a Caio e a Tizio): il furto dell’auto su cui viaggiavano Caio e Tizio al momento del controllo della Polizia risulta infatti avvenuto un mese prima, sicché gli elementi di fatto a disposizione non consentono l’attribuzione di una specifica attività di “sottrazione” del bene, elemento invece caratterizzante il fatto punito dall’art. 624 c.p.

Per la corretta elaborazione di una linea difensiva, con riferimento alla posizione di Tizio, occorre sottolineare come egli si sia limitato ad accettare un passaggio da Caio e di avere no-tato, una volta salito sull’autovettura, i segni di effrazione e di manomissione del dispositivo di accensione.

Siffatti elementi non sembrano sufficienti a configurare in capo a Tizio una qualche forma di responsabilità per il reato in esame.

Infatti, affinché il reato di ricettazione si perfezioni, sotto il profilo oggettivo, è necessario che l’agente ponga in essere una delle condotte contemplate dall’art. 648 c.p. o, in riferimento all’ipotesi plurisoggettiva, abbia apportato un contributo causale, materiale o meramente psi-cologico, alla loro realizzazione.

Le condotte descritte dalla norma in esame implicano che l’agente acquisti il possesso della cosa di provenienza illecita mentre, in base agli elementi di fatto disponibili, si può ragione-volmente escludere che Tizio abbia mai esercitato una qualche forma di controllo sul veicolo sul quale era trasportato.

Quand’anche si ritenesse ch’egli, notando i segni esteriori della effrazione, avrebbe dovuto rendersi conto della provenienza delittuosa della vettura non si potrebbe, comunque, ritenere realizzata la condotta caratterizzante il reato in esame perché difetta il trasferimento del bene nella disponibilità di Tizio.

Ad analoghe conclusioni si perviene anche analizzando l’ipotesi di un concorso di Tizio nella eventuale ricettazione di Caio.

Poiché ricorra l’ipotesi concorsuale di ricettazione è sufficiente, in forza del combinato di-sposto degli artt. 110 e 648 c.p., che il soggetto ponga in essere una condotta atipica che sia dotata di un’efficacia causale, rilevante sul piano materiale o morale ai fini della realizzazione del reato de quo; efficacia causale che svolge un ruolo per così dire tipizzante della condotta atipica posta in essere dal concorrente.

Prendendo le mosse dal dettato normativo di cui all’art. 648 c.p. occorre, pertanto, domandarsi se la condotta di Tizio − il quale, si rammenti, è semplicemente “trasportato” sul veicolo guidato da Caio − abbia in qualche modo apportato un contributo causale alla realizzazione del reato di ri-cettazione e quindi della condotta tipica di acquisto o ricezione di cosa di provenienza delittuosa.

Occorre, al proposito, individuare il momento consumativo della ricettazione che, essendo reato istantaneo, si perfeziona nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa: nella concreta fattispecie, l’elemento materiale dell’acquisizione del possesso è ovviamente il mo-mento della ricezione o dell’acquisto dell’autovettura che, quand’anche o qualora attribuibile a Caio, si è ormai verificato allorché Tizio accetta il passaggio e sale sul veicolo.

Essendo la ricettazione un reato istantaneo, «non è configurabile un concorso morale a po-steriori, per adesione psicologica alla ricettazione consumata da altri. Il concorso morale può precedere l’esecuzione del reato o esprimersi nel corso della fase esecutiva, ma non successiva-mente a reato consumato». Tant’è che solo una «successiva ricezione della cosa può dar luogo a ulteriore ricettazione, sempre che sussista il relativo elemento psicologico e si stabilisca una relazione di fatto con la cosa che ne comporti la disponibilità» (Cass. 4.12.1991, RV 191007). Sulla scorta di tali considerazioni, si ritiene dover negare qualsiasi efficacia causale alla con-dotta di Tizio ai fini della realizzazione del reato, poiché nel momento in cui è posta in essere dall’agente il delitto di ricettazione è da intendersi già perfezionato.

L’ipotesi di una contestazione fondata sulla semplice accettazione del rischio della illecita provenienza del bene (laddove, aderendo al più rigoroso orientamento giurisprudenziale, s’intenda identificare l’elemento soggettivo del reato de quo con il dolo eventuale), seppure suggestiva, non basterebbe comunque all’attribuzione di responsabilità a Tizio, che mai ha esercitato un controllo sul veicolo guidato da Caio, e che quindi mai ha realizzato il fatto tipico previsto dalla norma (e, per le già esposte considerazioni, non è neppure concorso con il reato eventualmente addebitabile a Caio).

Traccia per la redazione di atto di appello

Caio e Tizio sono rinviati a giudizio per ricettazione in concorso davanti al Tribunale in com-posizione monocratica.

All’esito del dibattimento Caio, gravato da precedenti penali, viene condannato per ricetta-zione dell’autoveicolo alla pena di due anni di reclusione oltre a 1.000 euro di multa mentre Tizio, che risultava incensurato, viene condannato (quale concorrente nel reato di Caio) alla pena di un anno e quattro mesi e multa di 800 euro, previo riconoscimento delle attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis c.p.

Nella veste del difensore di Tizio, redigete atto d’appello per impugnare la sentenza che ha condannato il vostro assistito.

Svolgimento dell’atto per esteso

Cancelleria del Tribunale

Alla Corte d’Appello di <...> Atto d’appello

nell’interesse di Tizio

Il sottoscritto, difensore di fiducia del signor Tizio, nato a <...> il <...>, residente a <...>, dichiara di proporre appello avverso la sentenza n. <...>/<...> del Tribuna-le di <...>, emessa in seguito a giudizio ordinario nel procedimento n. <...>/ <...>

RGNR nonché n. <...>/<...> RG dib. RGGIP, sentenza pronunciata il <...> e depositata in cancelleria il <...>,

che, concesse le attenuanti generiche, condannava l’imputato alla pena di anni uno e mesi quattro per il reato di cui all’art. 648 c.p.

La sentenza, che si ritiene ingiusta in fatto e in diritto, s’intende impugnata in relazione ai punti meglio precisati in narrativa,

per i seguenti motivi:

1. Non condivisibilità della ricostruzione fattuale operata dal Tribunale

La prima, doverosa doglianza nei confronti della sentenza qui impugnata, concerne l’approc-cio probatorio utilizzato dal Tribunale.

Le prove a carico dei prevenuti, in effetti, consistevano nell’avvenuto sequestro del veicolo, con a bordo i due imputati, e nella preesistente denuncia di furto della stessa autovettura. I due imputati, sottopostisi ad esame, avevano offerto il loro contributo alla ricostruzione del fatto spiegando, tra l’altro, con quali modalità si erano incontrati poco prima del controllo da parte delle Forze dell’Ordine: Caio, buon conoscente di Tizio, aveva in tale occasione offerto all’amico Tizio un passaggio a bordo del veicolo che conduceva.

Tizio abita nello stesso quartiere in cui risiede Caio e, del resto, l’autoveicolo risulta essere stato fermato a poche centinaia di metri dall’indirizzo di residenza dello stesso Tizio.

Ciò implica, evidentemente, che i due imputati abbiano raccontato una versione assolutamen-te veritiera dell’accaduto.

In particolare, tutt’altro che inverosimile è quanto sostenuto da Tizio dapprima in sede di di-chiarazioni spontanee alla Polizia Giudizia, poi nel suo interrogatorio reso in seguito all’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e, quindi, nel racconto del fatto al giudice del dibattimento.

Tizio, senza mai contraddirsi nelle tre volte in cui è stato sentito dall’autorità e mostrando, anzi, coerenza narrativa, ha sempre precisato di avere solo approfittato − dopo una giornata di lavoro – dell’offerta di abbreviare il percorso di rientro alla propria abitazione.

Non è chi non veda, in tale prospettiva, l’assoluta estraneità dell’imputato al reato attribuito-gli dal Pubblico Ministero: Tizio non si è mai impossessato dell’autoveicolo, ma è entrato in occasionale contatto con il suo reale (e unico) detentore.

Per contro, il Tribunale, perviene all’affermazione di responsabilità di Tizio mostrando in-differenza cognitiva nei confronti della ricostruzione del fatto offerta dai due imputati e non smentita da alcun elemento probatorio.

In altri termini, il giudice di prime cure si appiattisce sul mero rinvenimento dei due imputati a bordo del veicolo rubato, senza occuparsi in alcun modo della vicenda personale di Tizio e financo svilendo alcuni dati di agevole percepibilità (tra questi, per esempio, il fatto che Tizio fosse il soggetto trasportato e non alla guida dell’auto e, non meno importante, il fatto che la di-rezione dell’automezzo era inequivocabilmente quella della casa di abitazione dello stesso Tizio).

2. Erronea valutazione del Tribunale in ordine alla ritenuta consapevolezza della provenien-za delittuosa dell’autoveicolo in capo a Tizio

Neppure condivisibile è il percorso logico, per così dire, “alternativo”, effettuato dal giudi-cedel primo grado di giudizio allorché osserva che «quand’anche fosse veridica la versione

fornita dai prevenuti in ordine alla casualità del loro incontro (a cui fece seguito l’offer-ta, poi accettal’offer-ta, di un passaggio verso l’abitazione di Tizio), lo stesso Tizio sarebbe stato certamente in condizione di rendersi conto della furtiva provenienza dell’automezzo, che presentava evidenti segni di scasso».

In base a tale ragionamento, il Tribunale conclude, quindi, per la consapevolezza − evidente-mente fondata su un ipotizzato dolo, per di più eventuale, di Tizio − circa l’esistenza del delit-to presupposdelit-to della ricettazione: secondo il giudice, Tizio avrebbe dovudelit-to rappresentarsi la furtiva provenienza dell’autovettura, il cui «sistema d’avviamento presentava anomali segni di forzatura» (così è dato leggere nella sentenza qui appellata) e, sempre secondo la motivazione addotta dal Tribunale, evitare di impossessarsene.

Siffatta prospettiva è, ancora una volta, errata, sia perché probatoriamente fondata su mera congettura, sia perché giuridicamente insostenibile.

In primo luogo il Tribunale ipotizza − senza darne conto in motivazione − che Tizio si fosse realmente accorto della forzatura del sistema di accensione del motore dell’autovettura con-dotta da Caio; inoltre, con logica personalissima, lo stesso Tribunale sostiene che, una volta constatata (da parte di Tizio) la manipolazione del nottolino d’accensione, egli avrebbe dovu-to necessariamente concludere per l’esistenza di un precedente readovu-to, quasi a voler muovere un rimprovero alla disattenzione del passeggero (che, si badi, dopo una giornata trascorsa al lavoro rientrava alla propria abitazione approfittando del passaggio offertogli da un amico) anziché al dolo della ricettazione.

A fronte di una lettura attenta e critica, la sentenza del Tribunale mostra, dunque, evidenti carenze logiche.

Nondimeno, anche la ricostruzione dell’elemento psicologico della ricettazione di cui Tizio è stato incolpato risulta censurabile.

Al proposito, il Tribunale effettua un sintetico rinvio alla giurisprudenza (viene citata, tra le altre, Cass. Sez.II, 22.1.2008 n. 5996, Piccirillo) che ritiene configurata la ricettazione anche in presenza del dolo eventuale, bastando a tal fine che l’agente, al momento della ricezione della res, ne sospetti la provenienza delittuosa con accettazione del relativo rischio.

Fondandosi su tale impostazione, il Tribunale ritiene quindi che Tizio fosse in dolo di ricetta-zione, perché − questa la tesi accolta dal giudice − l’imputato avrebbe dovuto accorgersi della

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