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Svolgimento per esteso del parere

Nel documento N. 5 Percorsi (pagine 169-172)

Si richiede di redigere un parere in ordine alla ipotizzata esistenza di lesioni colpose attribuite al chirurgo estetico a causa delle vistose cicatrici arrossate e non assorbite e quindi visibili sul seno della paziente che, per tale ragione, ha presentato querela.

Risulta, in particolare, che il chirurgo abbia, prima di effettuare la mastoplastica additiva, documentato Caia in ordine alla natura e alla tecnica dell’intervento da eseguire.

Successivamente l’operazione è stata svolta applicando protocolli collaudati nel settore ma, trascorso un mese dall’atto chirurgico, le cicatrici non si sono assorbite.

Da ciò la necessità di valutare se i fatti lamentati da Caia integrino o meno un illecito di rile-vanza penale.

La peculiarità della vicenda sta nella natura dell’intervento eseguito: infatti la tradizionale funzione dell’attività medica è la cura della malattia, e non il miglioramento estetico, sicché v’è da chiedersi se il consenso prestato dal paziente all’attività chirurgica-estetica non abbia contenuti più ampi e “responsabilizzanti” rispetto al consenso espresso nell’ambito di vicende della comune chirurgia terapeutica.

Va chiarito, al proposito, che l’attuale concezione di “salute”, includendo il benessere psi-chico della persona, si riferisce anche al miglioramento estetico (laddove siffatto migliora-mento possa incidere sull’accettazione, da parte del paziente, del proprio aspetto fisico4) sicché non v’è ragione di disapplicare, sulla base di una errata emarginazione della chirurgia estetica, le comuni norme penalistiche relative alla materia della colpa e, in particolare, della colpa medica.

La fattispecie di reato da valutare è descritta dall’art. 590 c.p., caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da una condotta a forma libera sia essa attiva o omissiva (nel qual caso da porre in relazione con l’art. 40 cpv c.p.) e da un evento di danno, tra loro legati da un nesso causale e, dal punto di vista soggettivo, dell’elemento della colpa.

Sul piano della causalità, appare evidente come l’intervento chirurgico effettuato da Sempro-nio assurga a causa, rilevante ex art. 40 c.p., delle cicatrici lamentate da Caia, in assenza del quale le stesse non si sarebbero verificate.

Tuttavia, affinché il reato di lesioni personali colpose si perfezioni, occorre verificare se sussi-stano, nel caso concreto, gli elementi costitutivi della fattispecie sia di carattere oggettivo sia di carattere soggettivo.

Il caso di specie si inserisce, per quanto sopra accennato, nel contesto del trattamento medico chirurgico il quale, per essere ab origine lecito, deve preventimente costituire oggetto di con-senso informato da parte del paziente.

4 Sul punto si veda, CARUCCI-MACCIONI, La responsabilità penale del chirurgo estetico, in Ventiquattrore avvocato, 10-2006, p. 75.

Com’è noto, la necessità di prestare preventivo consenso informato al trattamento medico chirurgico trova il proprio fondamento costituzionale negli artt. 32, comma 2, e 13 Cost.: «Il consenso afferisce alla libertà morale del soggetto e alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto delle proprie integrità corporee, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art. 13 Cost.» (Cass. Sez. IV, 11.7.2001): solo nelle situazioni di urgenza allorché, quindi, il paziente non è in grado di pre-stare il consenso, ovvero nel caso dei trattamenti sanitari resi obbligatori dalla legge, non v’è necessità del preventivo assenso di colui che si sottopone al trattamento medico.

Il difetto di forma scritta della dichiarazione resa da Caia non è idonea a negarne l’esistenza storica sicché, laddove fondato su informazioni correttamente rese dal medico, il consenso - seppure non “trasposto” in un documento - conserva comunque la sua efficacia scriminante del reato eventualmente prospettabile al chirurgo: «Nel valutare la responsabilità colposa del medico, deve ritenersi che il consenso informato non necessiti della forma scritta, essendo suf-ficiente la forma orale o altra modalità, a condizione che le necessarie informazioni vengano ef-fettivamente recepite dal paziente» (Trib. Milano 25.11.2005, in Foro ambr. 2005, n. 4, p. 406). Anche gli elementi di fatto noti confermano che il consenso è stato liberamente e fondatamen-te reso dalla pazienfondatamen-te la quale, infatti, si è sottoposta all’operazione solo dopo avere svolto gli esami diagnostici preliminari la cui durata (anche tenendo conto dei tempi della risposta e del-la redazione dei referti) ha, inevitabilmente, consentito a Caia di ben ponderare l’opportunità di sottoporsi o meno all’intervento estetico.

Posto quindi che Sempronio, prima di procedere all’operazione, ha documentato Caia in ordi-ne alle caratteristiche delle protesi, nonché sulla natura e sulle tecniche dell’intervento, potrà ragionevolmente escludersi il difetto di un efficace consenso informato della paziente. La seconda riflessione resa necessaria dalla tipologia dell’addebito mosso al chirurgo estetico riguarda la possibilità di inquadrare l’evento cicatriziale nel concetto di malattia penalmente rilevante.

Com’è noto, l’art. 590 c.p. si limita a prevedere una pena per chi cagioni, con colpa, una “lesione” sicché l’evento del reato colposo viene necessariamente integrato ricorrendo alla “malattia (nel corpo o nella mente)” che, secondo l’art. 582 c.p., è effetto della lesione dolosa. A proposito della nozione penalistica di “malattia” si sono recentemente succeduti almeno due orientamenti giurisprudenziali.

Una tesi più rigorosa accoglie una concezione ampia di “malattia” che coinciderebbe con qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali (Cass. Sez. V, 2.2.1984, in Giust. Pen., 1985, II, 32), mentre la prevalente tesi giurisprudenziale afferma che “il concetto clini-co di malattia richiede il clini-conclini-corso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guari-gione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non costituiscono malattia, e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alte-razioni anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità” (Cass. Sez. IV, 14.11.1996, n. 10643, che si pronuncia sul ricorso della parte civile che, per l’appunto, aveva subito un intervento chirurgico al seno da cui era derivata l’asimmetricità delle mammelle e dei capezzoli; tali conseguenze, per i giudici dell’appello, costituivano una

lesione, vale a dire un’alterazione peggiorativa della preesistente condizione anatomica in cui tali asimmetrie non erano presenti, ma non integravano l’evento malattia previsto dall’art. 590 c.p., potendo esclusivamente dare luogo a responsabilità con correlativo diritto al risarcimen-to del danno nella competente sede civile. La Corte di cassazione, nell’affermare il principio sopra menzionato, ha osservato che, se anche il danno lamentato consisteva nell’indeboli-mento permanente della funzione estetica di una parte della cute, l’evento era penalmente irrilevante, poiché l’unico inestetismo cutaneo permanente di rilevanza penale è la lesione gravissima che riguarda il viso).

Se, quindi, l’evento lamentato da Caia è soltanto l’inestetismo del seno, pare ben difficile ipo-tizzare che ciò si sostanzi in una “malattia” di penale rilevanza: ne deriverebbe l’insussistenza del fatto per carenza di tipicità.

Né si può evitare di osservare che, in definitiva, Caia ha presentato la sua querela in tempi immediatamente successivi allo svolgimento dell’intervento di mastoplastica additiva, lamen-tando la persistenza dell’arrossamento e il mancato assorbimento delle cicatrici: tutt’altro che irragionevole è, quindi, ipotizzare che il decorso post-operatorio non fosse ancora completato al momento della presentazione della querela, essendo ancora in atto il processo infiammato-rio delle cicatrici, la cui scomparsa richiede talora tempi lunghi e soggettivamente variabili. Ulteriore, ma non meno importante, tema di riflessione è quello della tecnica operatoria uti-lizzata dal chirurgo: ove detta metodica venisse considerata scorretta, la condotta risulterebbe infatti censurabile sotto il profilo del difetto di diligenza, prudenza o perizia ed integrerebbe l’elemento soggettivo del reato.

È chiaro, tuttavia, che l’intervento si è svolto in modo corretto “nei tempi previsti e senza alcuna complicazione chirurgica” e in applicazione di “protocolli collaudati (taglio cutaneo sottomammarico, sutura intradermica)”.

Com’è noto, perché il reato colposo sia integrato occorre che all’agente possa muoversi il rim-provero della mancata osservanza delle regole cautelari sulla base del criterio della prevedibi-lità o evitabiprevedibi-lità dell’evento, giacché nessun rimprovero o addebito può muoversi all’accusato se il risultato non poteva essere previsto oppure impedito.

Tuttavia la prevedibilità ed evitabilità dell’evento sono criteri di riferimento della colpa comune mentre nella colpa professionale − tipica, cioè, delle attività più rischiose ma tollerate o addi-rittura incoraggiate dall’ordinamento (tra le quali, su tutte, è l’attività medica) − l’accertamento della responsabilità colposa richiede che sia oltrepassato il limite del rischio consentito. Il superamento di tale limite si verifica quando non sono osservate le regole di condotta fissate dalla miglior esperienza nel settore, regole che già consacrano di per sé il giudizio di prevedi-bilità ed evitaprevedi-bilità di pericoli espresso in base alle cosiddette leges artis, con la conseguenza che, nell’ambito di attività socialmente rischiose, il puntuale rispetto delle regole specifiche e professionali dell’agire esime da responsabilità anche laddove si sia verificato l’evento dan-noso (e sempre che quella e proprio quella violazione della regola cautelare abbia cagionato o contribuito a cagionare l’evento medesimo che la norma aveva l’intento di prevenire): “In tema di responsabilità professionale del medico, deve ravvisarsi la colpa nella condotta del professionista solo allorché vi sia stata esplicita inosservanza delle leges artis scritte o non scritte volte a prevenire il superamento del limite del rischio consentito. A tal fine, il giudice dovrà valutare la correttezza della scelta operata dal professionista con un giudizio ex ante, verificando tutte le circostanze concrete in cui il medico si è trovato ad operare e che lo hanno

indotto ad adottare una soluzione piuttosto che un’altra tenuto conto delle conoscenze scien-tifiche migliori raggiunte nel settore” (Trib. Nola 18.4.2005, n. 567, in Lex24).

L’agente pertanto risponderà per colpa dei soli danni prevedibili ma prevenibili con l’osser-vanza delle regole tecniche, non di quelli prevedibili ma verificatisi nonostante la loro fedele osservanza sicché, posto che l’atto chirurgico praticato sulla paziente si è svolto correttamen-te, mediante l’utilizzo di tecniche operatorie standard, a Sempronio − il quale non ha effettua-to manovre errate o incongrue − non potrà addebitarsi alcuna imperizia.

Neppure sul piano dell’elemento soggettivo Sempronio può essere chiamato a rispondere delle lesioni colpose addebitategli nella querela di Caia.

Alla luce delle premesse considerazioni, le lesioni colpose attribuite a Sempronio non sono integrate: Caia, che ha comunque prestato il consenso all’intervento di mastoplastica additiva, non può dolersi di una malattia in senso penalistico, perché lamenta un mero pregiudizio estetico e certo non una riduzione di funzionalità.

Il processo di cicatrizzazione che, evidentemente, si è rivelato di maggiore durata o complessi-tà a causa della risposta soggettiva della paziente, non può che progredire nel tempo. In ogni caso, il reato sarebbe escluso anche perché ne difetta l’elemento soggettivo: il chirurgo ha correttamente operato, nel rispetto delle regole dell’arte medica, sicché egli andrebbe, in ogni caso, esente da penale responsabilità.

Nel documento N. 5 Percorsi (pagine 169-172)