Tizia riferisce di aver subito, in data 20 maggio 2011, una perquisizione presso la propria abi-tazione ad opera della Guardia di Finanza. Nel corso di essa, gli operanti rinvenivano su un computer di proprietà della medesima, dalla stessa acceso su richiesta, una cartella contenente delle immagini a carattere pedopornografico.
Tizia prosegue il proprio racconto affermando di non sapere nulla di quelle immagini. Da un lato, infatti, le sue conoscenze informatiche sono assai basse e si limitano alla frequenza di un corso di informatica di base iniziato nel novembre 2010, proprio per imparare ad usare il computer, da lei acquistato nel settembre dello stesso anno.
cui Caio, con cui intratteneva una relazione sentimentale (poi chiusasi nel marzo 2011), ancora conviveva con lei nell’abitazione.
Quanto alla frequenza del corso di informatica ed all’acquisto del computer, Tizia afferma di disporre della relativa scheda di iscrizione e della ricevuta d’acquisto.
Quanto alla presenza di Caio in abitazione, Tizia afferma di poter portare a sostegno la testi-monianza di tre sue amiche.
Il caso prospettato induce ad interrogarsi, in prima battuta, sulla fattispecie penale configura-bile a carico di Tizia.
Dopo aver riformato la materia dei reati contro la libertà sessuale con la legge n. 66 del 1996, che ha introdotto gli artt. 609-bis ss. c.p., è del 1998 il primo, organico intervento del legisla-tore in materia di contrasto alla pedopornografia. Con la legge 3 agosto 1998, n. 269, recante appunto «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù», il legislatore ha co-niato una serie di nuove fattispecie penali, volte a reprimere, tra l’altro, fenomeni di grave ed anzi crescente allarme sociale, come la prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.) ed il turismo sessuale (art. 600-quinquies c.p.).
Per quanto invece qui direttamente interessa, la produzione e la diffusione di materiale pe-dopornografico trova la propria norma incriminatrice nell’art. 600-ter c.p., che punisce, con modulata gravità, a titolo di delitto, una serie di condotte (produzione e commercio: commi 1 e 2; distribuzione ma non per fini commerciali: comma 3; singola cessione, anche a titolo gratuito: comma 4; aggravante dell’ingente quantità: comma 5).
Al di fuori di tale ipotesi, la mera detenzione di materiale (più precisamente, le azioni di procurarsi o di detenere quel materiale), il cui pur presente disvalore sociale ne suggerisce comunque l’incriminazione, trova collocazione nell’art. 600-quater c.p., autonoma figura de-littuosa punita con la reclusione sino a tre anni e la multa non inferiore ad euro 1.549. Vale la pena di ricordare che, non prevedendo la norma speciale un tetto massimo alla pena pecunia-ria, risulta applicabile l’art. 24 c.p., che lo fissa in euro 50.000.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’art. 600-quater c.p. si pone in rapporto di residualità rispetto all’art. 600-ter c.p.: «il reato di detenzione di materiale pornografico pre-visto dall’art. 600-quater c.p. è norma di chiusura e residuale che, per non lasciare impunite alcune condotte di sfruttamento dei minori a fini di pratiche sessuali illegali, copre, come emerge dall’inciso fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter c.p., tutte quelle condotte con-sistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico utilizzando minori» (Cass. pen., sez. III, 11-11-2010, n. 43246, in Guida dir., 2011, fasc. 6, 102).
Le caratteristiche della condotta − di detenzione − lo rendono, tra l’altro, reato permanente: «il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.) ha natura di reato permanente, la cui consumazione inizia nel momento in cui il reo si procura il materiale e cessa nel momento in cui quest’ultimo ne perde la disponibilità» (in applicazione di tale principio, la Corte ha individuato il momento di cessazione della permanenza in quello in cui venne eseguito il sequestro del materiale: Cass. pen., sez. III, 24-06-2010, n. 29721, in C.E.D., rv. 248108), con quel che ne deriva in quanto a decorrenza del termine prescrizionale (cfr. anche Cass. pen., sez. III, 21-04-2010, n. 22043, in C.E.D., rv. 247635).
Tale residualità fa sì che la contestazione ex art. 600-ter c.p. della fabbricazione di materiale pedopornografico assorba (ed impedisca, pertanto, la contemporanea contestazione di) quella
di detenzione del medesimo ex art. 600-quater c.p. (Cass. pen., sez. III, 09-12-2009, n. 8285, in Cass. pen., 2011, 196).
Da ultimo, non prevedendolo la norma, non è necessario che la detenzione penalmente rile-vante per l’art. 600-quater c.p. abbia carattere o finalità economici (Corte app. Torino, sez. III, 05-05-2009, in Guida dir., 2009, fasc. 38, 52).
Oltre che per le modifiche al codice penale, la legge n. 269 del 1998 si segnala anche per la possibilità, disciplinata all’art. 14 della medesima legge, di porre in essere “attività di contra-sto”, vale a dire acquisti simulati di materiale, utilizzo di indicazioni di copertura, anche per attivare o partecipare a siti web in cui si scambi materiale.
Gli interventi legislativi successivi al 1998 hanno confermato l’impianto della legge ed anzi ne hanno perfezionato e talora inasprito la filosofia di fondo.
A tale proposito, si segnalano la legge n. 228 del 2003, recante misure contro la tratta di persone, la legge n. 38 del 2006, cui si deve l’introduzione della discussa fattispecie di pedopornografia virtuale (art. 600-quater1 c.p.) e degli artt. da 14-bis a 14-quinquies nella legge n. 269 del 1998, volti a fornire agli organi dell’investigazione strumenti sempre più raffinati per l’attività di con-trasto alla pedopornografia on line, ed infine da una serie di interventi del 2009 (leggi n. 38, 94 e 99 del 2009), che hanno tra l’altro definitivamente sancito l’inasprimento del trattamento peni-tenziario per molti dei delitti in questione (cfr. art. 4-bis della legge n. 354 del 1975).
Ciò detto in generale, nel caso di specie sul computer di Tizia è unicamente stata scoperta una cartella contenente delle immagini a contenuto pedopornografico. Se il quadro investigativo non dovesse mutare in peius (a puro titolo d’esempio per l’emergere, dall’esame della posta elettronica, della prova della cessione a terzi di quelle od ulteriori immagini), a Tizia appare ascrivibile unicamente la condotta di cui all’art. 600-quater c.p.
Nel caso di condanna per uno qualsiasi dei reati di cui sopra, l’art. 600-septies, comma 1 c.p. rende obbligatoria la confisca di tutto quanto elencato all’art. 240 c.p. e, se ciò non è possibile, la confisca per equivalente del profitto del reato. Operativamente, questo significa che una condanna per il reato in questione (od anche per altro più grave) comporterà certamente − sempre a quadro probatorio e giuridico immutato − almeno la confisca del computer di Tizia, in quanto cosa impiegata per la commissione del reato (art. 240, comma 1 c.p.).
Va precisato che nemmeno un esito patteggiato scongiurerebbe la misura ablatoria, essendo assai chiaro l’incipit dell’art. 600-septies, comma 1 c.p. («nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale»). Ed anzi, la stessa giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che anche una pronuncia formal-mente assolutoria, ma per estinzione del reato, non fa venir meno l’obbligo di confisca: «in relazione al delitto di divulgazione di materiale pedopornografico, la confisca dello stesso e degli apparecchi di qualunque tipo ad esso riferibili ha natura obbligatoria e va disposto anche nel caso di sentenza di patteggiamento o di proscioglimento per estinzione del reato, in quan-to deve essere applicata non già la disciplina generale in tema di confisca prevista dall’art. 240 c.p. ma le specifiche disposizioni di cui agli artt. 600-ter e 600-septies c.p.» (Cass. pen., sez. III, 09-06-2006, n. 24054, in Riv. pen., 2007, 3, 272).
Da ultimo, sempre l’art. 600-septies, comma 2, c.p. comporta una conseguenza di particolare pregnanza di cui Tizia, la cui professione non consta, deve essere resa edotta: in caso di con-danna (o di patteggiamento), ella riporterà «l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture
pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori». È evidente che un simile, pesan-te automatismo, conseguenpesan-te alla pronuncia di qualsiasi senpesan-tenza diversa da quella non am-piamente liberatoria, deve essere attentamente considerato in relazione alle condizioni attuali ed alle prospettive future di lavoro.
Appare pertanto scontato che, in forza degli esiti della perquisizione cui è stata sottoposta la sua abitazione, nei confronti di Tizia si proceda ad indagini preliminari per il reato di cui all’art. 600-quater c.p.
Venendo, ora, alle possibili argomentazioni difensive, va chiarito che la detenzione di materia-le, per essere punibile ai sensi dell’art. 600-quater c.p., deve pur sempre essere consapevole. Non si intende qui evocare l’argomento difensivo della “detenzione inconsapevole”, che si ha quando le immagini vengono inavvertitamente copiate nella cache del computer, a seguito di navigazione nel web, argomento cui talora la giurisprudenza ha annesso una qualche efficacia (cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. III, 16-10-2008, n. 3194, in Cass. pen., 2010, 230). Simile sforzo sarebbe qui perfettamente inutile in quanto le immagini si trovano in una cartella creata ad hoc da qualcuno e non, invece, nella cache del computer. Si vuole, piuttosto, valorizzare in chiave difensiva una serie di circostanze fattuali, esposte da Tizia e che porterebbero a ritenere che ella “non ha commesso il fatto”.
In primo luogo, occorre far constare le scarse capacità informatiche di Tizia. Si tenga presente, a questo proposito, che le conoscenze informatiche, mentre forse non sono necessarie per la creazione di una cartella e l’inserimento di file al suo interno (operazione davvero elemen-tare), sono invece indubbiamente necessarie, almeno ad un livello standard, per la ricerca e il reperimento sul web di materiale pedopornografico. A supporto della scarsa conoscenza informatica militano due prove documentali di cui Tizia riferisce di essere in possesso: la rice-vuta d’acquisto del computer sequestrato e la scheda di iscrizione ad un corso di informatica di base. In sostanza, da tale documentazione si evincerebbe che il computer è stato acquistato nel settembre 2010 e che, proprio per imparare ad usarlo, Tizia si sarebbe iscritta ad un corso di informatica il successivo novembre. Si tratta di circostanze senza alcun dubbio utili, che possono essere portate, ancora in pendenza delle indagini preliminari, all’attenzione del P.M. mediante lo strumento della memoria ex art. 367 c.p.p. Tizia deve anche essere avvertita della sua facoltà di presentarsi spontaneamente, in ogni momento, innanzi al P.M. per rendere di-chiarazioni (art. 374 c.p.p.): condotta che potrebbe senz’altro essere valutata positivamente, consentendo di corroborare quanto documentalmente depositato e di chiarire ulteriori circo-stanze che la pubblica accusa ritenesse utile conoscere (quanta parte del corso di base abbia frequentato; se quello era il primo computer in assoluto che usava etc.).
In secondo luogo, è indubbiamente vero che non spetta a Tizia, nell’esercizio del suo munus difensivo, trovare un colpevole al posto proprio, ma per onestà e completezza di difesa va detto che, nel febbraio 2011, data in cui la cartella ed il suo contenuto sono stati creati, l’abitazione di Tizia era regolarmente frequentata anche da altre persone, che avevano accesso al computer. Ci si riferisce, segnatamente, alla relazione sentimentale con Caio, interrotta nel marzo 2011. Prima di quella data, i due convivevano stabilmente e, in effetti, la cartella col materiale incriminato ri-sulta creata proprio nel febbraio 2011. Né va trascurato − ben lungi, questa circostanza, dall’es-sere una prova, tantomeno decisiva ovviamente − che la criminalistica insegna che certi reati (e la pedopornografia è uno di questi) appartengono ad un profilo di devianza tipicamente maschile. La prova della relazione stabile tra i due e della sua successiva rottura appare affidata al
ri-cordo di tre amiche, che Tizia assicura siano disposte a rendere dichiarazioni (anche sulle sue scarse capacità informatiche, ove, ad abundantiam, ve ne fosse bisogno). A questo proposito, la modalità di assunzione delle loro dichiarazioni, già in indagini, può essere duplice.
La prima è ovviamente quella che passa attraverso la formale segnalazione dei tre nominativi alla pubblica accusa, affinché le persone vengano da questa sentite ex art. 362 c.p.p. Non va però sottaciuto che, per effetto della legge 7 dicembre 2000, n. 397, le investigazioni del difen-sore hanno finalmente trovato una più compiuta disciplina (laddove il precedente e scarno art. 38 disp. att. c.p.p. aveva dimostrato tutti i suoi limiti), per cui si può pensare ad una assunzio-ne delle informazioni, anche immediata, da parte della difesa, con verbalizzazioassunzio-ne integrale ex art. 391-ter, comma 3 c.p.p. (cfr. Cass. pen., sez. un., 27-06-2006, n. 32009, in Cass. pen., 2006, 3985), e successiva produzione dei relativi verbali, più che presso la cancelleria del G.I.P., nel fascicolo del difensore, direttamente alla pubblica accusa.
Anche qui le dichiarazioni di Tizia, nel caso in cui si presenti spontaneamente o comunque renda interrogatorio, potranno fungere da ulteriore elemento di schiarimento su specifiche circostanze: se il computer fosse o meno protetto da password; se, in caso affermativo, Caio la conoscesse; se Caio usasse quel computer e con che frequenza, etc. Occorrerà usare ogni cau-tela, al fine evitare ogni possibile incolpazione per calunnia (art. 368 c.p.), di cui Tizia, nella delicata situazione in cui si trova, non ha certo bisogno. E poiché la notizia di reato rilevante ai fini del reato di calunnia può derivare anche da dichiarazioni della persona sottoposta ad indagini, anche se inutilizzabili per mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p. (questa la fattispecie di cui si è occupata Cass. pen., sez. V, 30-09-2010, n. 45016, in C.E.D., rv. 249044), Tizia dovrà fare molta attenzione nel rendere dichiarazioni, evitando di attribuire responsabilità ancora incerte e limitandosi ad una elencazione di fatti e di circo-stanze obiettive.
Ove il combinato probatorio sopra descritto (prove documentali e prove dichiarative) venga positivamente assunto agli atti già nel corso delle indagini ed abbia effettivamente il contenuto sopra illustrato, l’effetto, ad avviso della scrivente difesa, non può che essere positivo per la posi-zione di Tizia. La condanna in dibattimento per un qualsiasi reato può essere emessa solo ove la responsabilità dell’imputato sia provata dall’accusa al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p.), ma è evidente che tale canone decisorio è destinato a proiettare già in indagini i propri effetti, dal momento che il P.M. può esercitare l’azione solo ove ritenga di poter poi sostenere efficacemente l’accusa in giudizio (art. 125 disp. att. c.p.p.). E, nel caso in cui una persona appaia tecnicamente inidonea a porre in essere un determinato atto, ed offra la possibilità di una spiega-zione alternativa dei fatti, pare ricorrere ben più che un ragionevole dubbio.
Realisticamente, peraltro, occorrerà misurare la reazione della pubblica accusa e la possibile direzione delle indagini nei confronti di Caio, le cui dichiarazioni e reazioni, evidentemente, non si possono prevedere ex ante. Per queste ragioni, si ritiene che Tizia debba comunque essere avvisata dell’esistenza dei riti alternativi, segnatamente della applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento, art. 444 c.p.p.) che, per un reato di medio-bassa gravità, come quello con-testabile (art. 600-quater c.p.), e nel caso di incensuratezza, consentirebbe di pervenire ad una pena assolutamente mite ed anche in ipotesi condizionalmente sospesa (benché restino applica-bili la confisca e la sanzione accessoria di cui all’art. 600-septies c.p., di cui s’è già parlato sopra). In conclusione, a Tizia pare al momento addebitabile l’ipotesi di reato di cui all’art. 600-qua-ter c.p. L’indagata può ed anzi deve, già nel corso delle indagini, portare a conoscenza degli
or-gani dell’investigazione una serie di circostanze relative alla propria scarsa conoscenza infor-matica ed alla presenza, nella propria abitazione al momento dei fatti, di un’altra persona. Al termine delle indagini, ove l’accusa non si risolva a chiedere l’archiviazione nei suoi confronti, Tizia dovrà, anche sulla base del materiale nel frattempo emerso, decidere se affrontare un di-battimento o se invece optare per un giudizio speciale, che potrebbe essere il patteggiamento.