• Non ci sono risultati.

05 dicembre 2017

Siamo a Lastarria, quartiere centrale di Santiago molto amato da Pedro Lemebel, che passava tanto tempo fra le sue strade dallo stile un po’ in stile bohemien all’ombra del verde cerro Santa Lucía. Con me c’è il libraio Sergio Parra, migliore amico dell’autore e proprietario della libreria Metales Pesados, che si trova a due passi da qui. Ci troviamo nel ristorante cinese dove i due si incontravano sempre, soprannominato: “Los chinos gay”.

Buonasera Sergio. Mi racconti come vi siete conosciuti tu e Lemebel?

Erano i primi anni 80, forse l’83, lavoravo in una sartoria di nel quartiere Estación Central. In quegli anni erano iniziate le prime proteste contro Pinochet che si svolgevano come occupazioni di strade nel centro di Santiago. A giugno o luglio dell’83 ci fu una chiamata per una protesta all’incrocio tra Ahumada e Alameda, e io approfittai della pausa pranzo per unirmi alla manifestazione. C’erano pamphlets, si interrompeva il traffico, tutti andavamo a manifestare contro il tiranno. Arrivò la polizia per reprimere la sommossa, con bombe lacrimogene e tutto l’apparato repressivo. Iniziai a correre, correre e correre con altri verso calle Londres e poi verso un’altra strada dove ci accerchiò la polizia chiudendo il passaggio. Ci avrebbero fatto a pezzi. A un certo punto persona mi tira per una spalla e mi dice: «Corriamo per di qua!» allora abbiamo iniziato di nuovo a correre e correre attraversando la Alameda fino al cerro Santa Lucía, che distava un paio di isolati dalla manifestazione. Ci siamo seduti su una panchina del cerro Santa Lucía facendo i finti tonti, come se niente fosse successo, per non dare nell’occhio, lì seduti come due idioti. E a quel punto lo ringrazio per avermi aiutato e lo osservo, non l’avevo ancora guardato nella fretta della corsa, aveva i capelli lunghi e portava una borsa a tracolla. Mi chiede come mi chiamo e mi dice che il suo nome è Pedro Mardones, professore d’arte, ci raccontiamo dove lavoriamo, mi dice da dove viene, gli racconto che io vengo dal sud e sono in affitto in una stanza, ci raccontiamo che scriviamo, leggiamo, insomma, abbiamo iniziato a diventare amici. Gli dico che mi piace molto leggere, lui mi dice che gli piace scrivere e mi racconta dell’esistenza della Sociedad de Escritores de Chile, che devo assolutamente andarci. A quel tempo aveva ancora il vecchio cognome, poi l’avrebbe cambiato con il cognome della madre, Lemebel. Insomma, così ci siamo conosciuti, a una manifestazione contro Pinochet.

Ci troviamo nel ristorante preferito di Lemebel, che è anche protagonista di una cronaca della raccolta Adiós mariquita linda, “El asalto de

113

los chinos gay” (“La rapina a Los chinos gay”). Ti ricordi qualcosa in prima persona di quel giorno?

Io non c’ero quel giorno, era il 31 dicembre. Lavoravo in una casa editrice e Pedro mi chiamò e mi invitò ad andare a mangiare a Los chinos per festeggiare l’ultimo dell’anno, ma io non potevo perché stavo uscendo con una ragazza che a Pedro stava antipatica. Era molto geloso con i suoi amici, quando uscivo con una ragazza e a lui non piaceva diventava insopportabile, e lei gli stava proprio antipatica. Allora gli dissi che no, che sarei uscito con Cecilia e casomai avrei fatto un salto. E lui mi disse: «se sei con lei non passare proprio!».

(Ride)

E poi il giorno dopo mi chiama verso mezzogiorno e mi dice: «Non sai che è successo al ristorante, c’è stata una rapina a Los chinos!» Ci incontriamo a Bellavista in un bar e mi racconta la storia. E rideva come un matto soprattutto per l’aneddoto della Pacita, una signora un po’ anziana che era con lui a cena e che si era infilata tutti i gioielli in bocca per non farseli rubare. Poi siamo andati a casa mia a bere vino e abbiamo continuato a ridere e chiacchierare. Mi raccontò tutto e più avanti mi disse che aveva scritto una cronaca sull’avvenimento, quando la lessi era proprio uguale a come me l’aveva raccontata.

C’è qualche ricordo o aneddoto che ti va di raccontare?

Uh, ce ne sarebbero di storie. In 30 anni di amicizia, figurati, è successo di tutto e di più. L’amicizia, l’affetto, la stima intellettuale che avevamo l’uno per l’altro erano grandi, non c’è mai stata invidia né rancore fra noi e abbiamo litigato solo una volta, per una ragazza. Eravamo a una cena in casa di una grande fotografa, Paz Errázuriz165. Stavamo mangiando e io ero con una ragazza che però era sposata. Era una grande casa antica con un bel patio e mentre bevevo e mangiavo ogni tanto uscivo sul patio con lei e ci baciavamo, insomma, stavamo insieme. A un certo punto tornai al tavolo e Pedro tutto serio mi si avvicinò e mi disse «Ma che fai? Lei è sposata e conosciamo il marito!» Entrambi conoscevamo il marito, in effetti. Insomma, mi dice così, e io gli rispondo «Ma che vuoi, non ti impicciare, non è un problema tuo. Non ti permettere di giudicarmi» ecc. E lui risponde ancora che no, che è sbagliato, e insiste. Era contrario a quello che stavo facendo. Lo mandai a quel paese e ci urlammo contro e poi io e la ragazza ce ne andammo. Ero davvero sconvolto perché avevamo litigato per la prima volta. E niente, il giorno dopo venne

165 È la fotografa che ha scattato la maggior parte delle foto delle performance di Lemebel e de Las

114

a trovarmi a lavoro super pentito e voleva parlare. E io non volevo parlare, gli dissi che si era impicciato nella mia vita e non avrebbe dovuto e via dicendo. E mi disse: «Dai, andiamo a Los chinos». Venimmo qui e mi chiese scusa, dicendo che non aveva considerato le conseguenze, che non doveva impicciarsi. Che alla fine la vita era mia, che si preoccupava per me perché si trattava di una persona che conoscevamo e poteva andare male se si fosse saputo quel che era successo. Insomma, si era preoccupato per me. E così facemmo la pace. Il suo affetto e la sua apprensione erano forti, e anche la sua gelosia. Era molto geloso con le amicizie, soprattutto con me, non tanto con gli altri, forse perché ero il suo unico amico eterosessuale. Gli altri amici suoi erano gay e quindi era diverso, io ero il suo unico confidente etereo e si preoccupava molto per me.

Come descriveresti Lemebel in poche parole?

Un tipo brillante, con un’intelligenza molto sottile, non cadeva mai in luoghi comuni, mai pesante o ricercato. Sì, brillante, creativo, davvero una persona eccezionale, come dimostra la sua letteratura.

Lemebel nasce a San Miguel, che ai tempi era un quartiere periferico e povero. Che cosa gli dette l’impulso per cominciare a scrivere e diventare artista?

Sì, Pedro nasce in un settore periferico di Santiago. Io credo che sia stato il suo sguardo sociale della vita a renderlo scrittore, ed era anche un grande lettore. Non è detto che si diventi automaticamente scrittori solo per essere nati nel quartiere povero, ci sono tutti i tipi di persone: operai, medici, qualsiasi cosa uno voglia o riesca a fare nella vita. Pedro aveva una grande sensibilità per raccontare il mondo dal quale veniva, e ovviamente si servì dello stile autobiografico per raccontare quel mondo, quello che conosceva, sì, raccontava le cose che conosceva. Le cose della vita reale, un mondo periferico, povero. Voleva restituire a quella gente la loro voce e la loro storia, è forte l’impatto della sua opera a livello sociale.

La sua famiglia ebbe influenza nel suo sviluppo come artista e nelle sue opere?

Sì, la sua mamma ebbe una grande influenza. Nel mondo omossessuale la madre è la prima persona che accoglie il bambino. Il mondo omosessuale non gira intorno al padre ma intorno alla madre, che accoglie la sua marginalità, gli offre il suo riconoscimento di identità di genere, affetto e protezione. Quando hai un problema affettivo o emozionale dove vai? Vai dalla mamma.

115

Fu per questo che decise di cambiare il suo cognome in Lemebel?

Sì, nella società maschilista e patriarcale, la figura femminile di sua madre lo rappresentava, gli dava un’identità. Anche se con il padre aveva un buonissimo rapporto. Il padre si è preso cura di lui fino alla fine.

Da San Miguel a Lastarria, dalla marginalità alla fama. Che rapporto aveva Lemebel con la fama e con i suoi lettori?

Abbiamo parlato spesso con Pedro di questo tema. La fama dette un certo potere a Pedro. Vedi, la fama ti può distruggere se la usi male, ti può essere fatale. Nel caso di Pedro, considerando il contesto sociale e sessuale dal quale veniva, io credo che la fama gli abbia offerto una grande opportunità, quella di dire cose che molti non potevano dire, difendere cause che altri non potevano difendere, usare la sua voce per aiutare gli altri. In questo senso Pedro utilizzò la propria fama, per poter parlare delle cose che non andavano bene nella società cilena.

Che cosa rappresentava, quindi, la scrittura per lui?

Era una voce che parlava per chi non poteva esprimersi. Era un questione politica, non c’è una cronaca che non rappresenti anche un gesto politico, qualunque sia il tema trattato.

Come nacque il collettivo artistico Las Yeguas del Apocalípsis, con Francisco “Pancho” Casas?

Pancho studiava all’Università Arcis, lo racconta un po’ nel libro Yo, yegua166. Si

conobbero lì. Mi disse Pedro: «Ho conosciuto un ragazzo, è molto intelligente! Gli ho parlato di te, usciamo insieme così vi conoscete». Io lavoravo in una libreria a Bellavista e Pancho venne lì, molto simpatico, era com’è ora, ironico, creativo, molto divertente. Andammo a bere al bar El Galindo. E così ci conoscemmo, chiacchierammo, era molto creativo, con la battuta veloce, aveva un grande senso dell’umorismo, scherzava con tutti. Lui e Pedro divennero subito molto amici e così fondarono il collettivo, era il 1987. Andavamo a bere vino, ci incontravamo al parco forestale o a casa mia, io vivevo con una ragazza di nome Paloma, c’era sempre anche lei, facevamo progetti, parlavamo di letteratura.

Che rapporto aveva Lemebel con la musica e come influì questa nella sua opera?

166 Come detto precedentemente, il libro è stato recentemente ripubblicato dalla casa editrice Pequeño

Dios ed è stato presentato nel Centro de Extensión dell’Università di Talca il 21 novembre 2017, giorno del compleanno di Lemebel, insieme all’esposizione Arder, raccolta di tutte le sue opere visive.

116

In tutte le cronache è molto presente la musica, soprattutto quella degli anni ’60, ’70, ‘80, la musica faceva parte della sua vita, la musica popolare. La questione ha anche a che fare con la madre, con Violeta si sedevano insieme sul terrazzo ad ascoltare musica, ad ascoltare la radio, soprattutto il bolero. Lui le faceva compagnia il pomeriggio, cantava per lei, fin da bambino organizzava show. Inoltre lui aveva un buonissimo orecchio, si percepisce anche dalla musicalità della sua scrittura, l’oralità musicale della sua scrittura. La musica era un’altra scrittura per Pedro.

Come arrivò al programma «Cancionero» di Radio Tierra?

Pedro faceva sempre performance, era un grande artista, e quando leggeva le sue cronache se ne usciva sempre vestito di piume e tacchi alti di camoscio, sempre molto raffinato. Quando faceva queste letture era sempre molto seducente, erano qualcosa di speciale. E Radio Tierra era una radio di donne, femminista, che lo vide e gli propose di tenere quel programma radio dove invitava personaggi della cultura cilena e leggeva le sue cronache.

Qual era la sua canzone preferita?

La sua canzone preferita, che ballava sempre, era La copa rota.

https://www.youtube.com/watch?v=IBmhBH4gVjc (versione di Jose Feliciano) https://www.youtube.com/watch?v=oHEtyTePEnc (versione di Marc Anthony)

Il linguaggio delle sue cronache è un linguaggio ricco, con una melodia speciale, senza fare troppa attenzione alla punteggiatura, ma con metafore e immagini dettagliate, con parole volgari e colloquiali accanto a parole fantasiose, inventate, piene di colori, molto poetiche. Questo stile così vivo e variegato corrisponde alla personalità di Pedro?

Sì, ma Pedro era anche molto timido. La gente oggi mi incontra e mi dice che qualche volta avevano incontrato Pedro in libreria ma non l’avevano salutato perché aveva un’espressione molto seria. Era timido, ma tanto creativo, odiava i luoghi comuni, la sua voce sono le cronache.

Perché scrisse così tante cronache e solamente un romanzo?

La cronaca è emergenza, serve a comunicare rapidamente un evento che vuole essere raccontato immediatamente. Inoltre lui lavorava per i giornali, “La Nación” e “The Clinic”, e doveva scrivere una cronaca alla settimana per guadagnarsi da vivere. Fu così che accumulò tante cronache. Il romanzo lo scrisse con i soldi del premio Guggenheim, ma non fu facile per lui scriverlo, fece molta fatica. Pedro era un cronista.

117

Giornalismo e letteratura, che rapporto c’è fra essi secondo Lemebel?

Ricordo che in un congresso litigò con il giornalista argentino Caparrós167 su questo argomento. Un giornalista non è necessariamente un grande scrittore. Pedro non era un giornalista, usava il giornale come mezzo per esprimere il suo punto di vista rispetto a un tema che gli interessava. Non è la stessa cosa pubblicare una cronaca contro Piñera168 su Facebook o farlo su un giornale. L’effetto di pubblicare qualcosa su un quotidiano è molto diverso, ha un impatto molto più forte. Sul giornale rimane la memoria, la testimonianza, Facebook passa, non rimane. Pedro usava il giornale come mezzo per dire pubblicamente quello che pensava.

Che rapporto aveva con gli altri scrittori?

Non passava molto tempo con gli altri scrittori. Non gli interessò mai partecipare a riunioni di scrittori o cose così, e quando lo invitavano spesso rifiutava. Gli piaceva stare da solo, leggere le sue cronache da solo. Non si relazionava molto con gli altri, molti li considerava idioti, ipocriti. Forse preferiva alcuni scrittori stranieri, amici comuni, creativi come lui che non era un bugiardo né un adulatore. Era molto amico di Bolaño.

Chi ha rappresentato una fonte di ispirazione per lui?

Direi Carlos Monsiváis, Pier Paolo Pasolini e Néstor Perlongher.

Chi era il suo scrittore preferito e chi sono gli scrittori contemporanei che per lui erano più importanti?

Manuel Puig gli piaceva, e poi molte donne: Nelly Richard, Beatriz Sarlo, Carmen Berenguer. Gli piaceva molto la scrittura delle donne. Dei giovani cileni, apprezzava molto Alejando Zambra e Diego Zuñiga.

Chi ha seguito le orme di Pedro Lemebel?

Un amico travestito che vive a New York, Iván Monalisa Ojeda. Era di Talca, (Cile, Regione del Maule) e se ne andò a New York per studiare teatro, lavorava per strada come prostituta. Pedro andò a trovarlo a New York e Iván gli passò il manoscritto del suo libro, era davvero un libro molto buono, ben scritto. Fu pubblicato e tradotto in inglese. È lui un grande continuatore dell’opera di Lemebel, sarebbe interessante da tradurre in italiano.

167 Martìn Caparròs (Buenos Aires, 29 maggio 1957), giornalista e romanziere argentino.

168 Miguel Juan Sebastián Piñera Echenique (Santiago del Cile, 1º dicembre 1949), Politico di tendenza

al conservatorismo liberale e all’umanesimo cristiano, è Presidente della Repubblica eletto del Cile, in carica a partire dall’11 marzo 2018. Era già stato Presidente della Repubblica dall'11 marzo 2010 all'11 marzo 2014.

118

Lemebel e la politica. Abbiamo detto che scrittura e politica sono per lui strettamente legate. In quali altre forme si sviluppò la sua militanza contro la dittatura?

Ogni cosa che scriveva o leggeva aveva a che fare con la sua coscienza politica. Lui ha vissuto l’Unidad Popular negli anni ’70, ha partecipato alle marce per Allende, alle manifestazioni in strada, c’era nel maggio del ‘73. È stato fortemente segnato da queste esperienze. Molti amici suoi sono morti nel Frente Patriótico Manuel Rodríguez.

Ricardo Palma Salamanca “El negro” era nostro amico, uno di quelli che uccise il senatore Jaime Guzmán, insieme a Poblete. Studiava letteratura all’Università Arcis, con Pancho. Ogni tanto si organizzavano feste con tanti intellettuali, professori tornati dall’esilio, ascoltavamo i Prisioneros, c’erano risse, erano feste molto divertenti. In una festa così conoscemmo il Negro. Un tipo simpatico, si sedette con noi a bere una bottiglia di pisco, e ogni tanto appariva alla libreria di Bellavista dove lavoravo. Pancho si innamorò del Negro, erano molto amici. Quando uccisero Guzmán mi chiamò Pedro, mi disse: «Parra! Parra! Hai saputo?» «Sì bello, hanno ucciso Guzmán, non uscire di casa che è pericoloso» Noi eravamo del Frente169, potevano arrestarci. «Ma hai visto chi appare nelle notizie?» Era proprio lui, El Negro. Successivamente scappò dalla prigione pubblica, fece una gran fuga in elicottero e ora è ricercato. Due anni fa un artista cileno fece un’opera chiamata la Gran Fuga, in suo onore, e la voleva comprare un fascista cileno, così quando lo venni a sapere la comprai io.

Lemebel era la voce della marginalità: come visse la propria condizione di «povero, comunista e finocchio» come lui era solito dire? Che significò il suo lavoro come artista in questo senso? Ha portato un cambiamento nella società cilena per gli omosessuali?

Il problema maggiore per Pedro fu che il partito comunista non vedeva affatto di buon occhio l’omosessualità, negli anni ‘70. Fu Gladys Marin che aprì le porte alla comunità omosessuale nel partito, erano molto amici con Pedro. Il lavoro di Pedro ha avuto un grande impatto per la comunità omosessuale, ti racconto un aneddoto: quando Bolaño fu invitato per un’intervista con Pedro a Radio Tierra, io e Roberto siamo andati a pranzo in un ristorante di cucina cilena prima dell’intervista. Poi abbiamo camminato verso Radio Tierra e lì di fronte c’erano Pedro, una signora e un

169 Il Frente Patriótico Manuel Rodríguez, gruppo armato di ideologia marxista-leninista. L’omicidio di

119

ragazzino adolescente sui 16 anni. La signora stava piangendo, stava ringraziando Pedro perché attraverso il suo programma e le sue cronache, aveva capito suo figlio, grazie a lui era riuscita a capire come si sentiva suo figlio.

Le sue cronache sono molto legate alla cilenità, a Santiago, alle tradizioni, alla musica, ma i temi trattati sono certamente universali: omosessualità, dittatura, marginalità. Credi che attraverso la traduzione le sue cronache possano essere apprezzate e capite anche in altri paesi?

Sì, i temi sono assolutamente universali e ora è ancora più importante con questo avanzare dei governi di destra. È necessario. Il fascismo sta in qualche modo ritornando. Le cronache sono importanti come voce dissidente, possono fare luce per molti giovani

Anche per i giovani, quindi? Qui in Cile si legge Pedro Lemebel nelle scuole?

Sì, esatto, si legge molto nelle scuole. È importante, soprattutto per i giovani.

Purtroppo, il cancro si portò via Pedro a soli 63 anni, privando il Cile di uno dei suoi scrittori preferiti e togliendo a lei un amico. Che cosa farebbe Pedro oggi se fosse ancora in vita? Che cosa penserebbe della società e delle questioni politiche che infiammano il Cile proprio in questi mesi di elezioni politiche?

Sono sicuro che avrebbe scritto un testo contro Piñera e starebbe lottando contro il suo governo, a fianco dei giovani del Frente Amplio. È proprio in questi momenti che ci manca di più Pedro.

Quali erano i suoi sogni e quali le sue paure?

Non voleva morire, non era pronto, aveva ancora molti da dire, era contento della sua vita. È un bene che almeno abbia avuto modo di sfruttare e conoscere la propria fama, essere testimone degli effetti della sua scrittura sulla società cilena, sentire l’apprezzamento dei lettori. Alla sua ultima apparizione in pubblico c’erano 3-4 mila persone.

Cosa ha lasciato al Cile, Pedro Lemebel?

Uno sguardo di dignità alla società, fu generoso nell’affrontare i temi che la società si rifiuta di affrontare. Fu un grande artista anche nell’opera visiva, e con la sua scrittura aprì la strada ad altri narratori cambiando radicalmente parte del giornalismo