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Bassnett e Lefevere, nel 1990, scrissero una serie di saggi intitolati Translation,

History and Culture, nei quali affermavano che l’enfasi degli studi sulla traduzione

avevano avuto un grande cambio di focus chiamato “cultural turn”, cominciando a considerare molto più ampiamente questioni di contesto, storia e convenzioni:

Once upon a time the questions that were always being asked were 'How can translation be taught' and 'How can translation be studied?' Those who regarded themselves as translators were often contemptuous of any attempts to teach translation, while those who claimed to teach often did not translate and so had to resort to the old evaluative method of setting one translation alongside another and examining both in a formalist vacuum. Now, the questions have been changed. The object of study has been redefined; what is studied is text embedded within its network of both source and target cultural signs.120

Come sostiene Bruno Osimo ne Il manuale del traduttore, “in ciascun ambito culturale può essere presente o meno la consapevolezza della propria identità culturale” e molto spesso tendiamo a dare per scontate le norme e le consuetudini che regolano la nostra “cultura madre”. La traduzione è il mezzo per lo stimolo reciproco delle diverse culture e permette di acquisire una visione della realtà da un’angolatura diversa da quella che consideriamo consueta. Viktor Sklovskij nel 1917 fu il primo a parlare del fenomeno dello straniamento, proprio quell’effetto che si produce quando due culture diverse si incontrano, lo stesso effetto che potrebbe provare un lettore italiano medio nel leggere parole come “Barrio Alto” o “sandunga”.

Toporov:

La cultura provoca immancabilmente il confronto e la giustapposizione; non solo è il luogo in cui nascono i significati, ma anche lo spazio in cui vengono scambiati, ‘trasmessi’ e cercano di farsi tradurre da un linguaggio culturale a un altro.121

Jurij Lotman ha introdotto nella teoria della traduzione il concetto di “semiosfera”:

questa concepisce l’universo della significazione come un insieme di sistemi, molto piccoli o molto grandi, che sono in continua interazione fra loro e ogni

120 Susan Bassnett, André Lefevere, “Translation, History and Culture”, Printer Publishers, London-

New York , 1990, pp. 11-12

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testo che viene generato porta in sé tracce della memoria culturale collettiva oltre a quella dell’autore che lo produce. All’interno del proprio sistema, ciascun individuo percepisce come altrui tutto ciò che è esterno, e il traduttore è colui che invece assume il ruolo di rappresentante della cultura del confine, è una sorta di “ponte”.122 Egli è consapevole della differenza esistente tra la cultura interna al proprio sistema e quella esterna e ha perciò una “conoscenza metaculturale” che lo pone di fronte “a due poli estremi della strategia di mediazione culturale: uno consiste nel cercare di inserire l’altrui nel proprio, l’altro consiste nell’appropriarsi dell’altrui”123.

La prima strategia consiste nell’inserire elementi di una cultura estranea senza mascherarla sotto altre spoglie. È difficile perché una cultura può fare molta fatica a recepire istanze estranee che non rientrano negli schemi in cui normalmente tale cultura è abituata. Appropriarsi dell’altrui significa inserire elementi di una cultura estranea fingendo che non siano estranei, stemperandoli e diluendoli fino a farli passare inosservati.124

Uno studioso che si è occupato di questo tipo di rapporto è il semiotico israeliano Even-Zohar (1990) con la teoria dei polisistemi125:

il polisistema è l’insieme dell’universo della semiosi e individua leggi che regolano le relazioni tra i singoli sistemi. Il sistema centrale è quello che ha la maggiore influenza sugli altri, mentre i sistemi periferici sono meno autosufficienti, più dinamici e più ricettivi delle influenze dei sistemi più centrali. Il tasso di innovatività e ricettività è determinato anche dalla cristallizzazione o meno del sistema, dalla sua giovinezza e dal fatto che stia attraversando una fase di crisi, svolta o vuoto. Even- Zohar ha isolato il sistema dei testi tradotti, che riceve un ruolo nei singoli sistemi culturali: in quelli centrali e conservatori, i testi tradotti sono marginali, in quelli periferici e innovativi i testi tradotti sono invece centrali. Tutti questo è facilmente dimostrabile con il seguente aneddoto: molti amici e parenti definibili “lettori medi”, avuta la notizia della mia partenza per il Cile, hanno ingenuamente chiesto quando avessi imparato il cileno, o che lingua si parlasse laggiù.

Nonostante in generale si sappia che in America Latina si parla lo spagnolo, c’è della confusione legata al fattore “esotico” che tali luoghi hanno nell’immaginario collettivo eurocentrico. È chiaro quindi che il paese e la cultura di partenza in questo

122 Bruno Osimo, Manuale del traduttore, Hoepli, Milano, 2015, p. 101. 123 Bruno Osimo, “Manuale del traduttore”, Hoepli, Milano, 2015, p. 86 124 Bruno Osimo, “Manuale del traduttore”, ibidem.

125 Itamar Even-Zohar,”The position of translated literature within the literary polysystem”, in

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caso sono periferici rispetto a quella di arrivo, considerando che invece in Cile nessuno mi ha chiesto che lingua si parlasse in Italia e tutti conoscevano le città più vicine a me, Pisa e Firenze, i cibi più famosi come la pizza, la pasta, la Nutella, e addirittura alcuni cantanti come Laura Pausini, Nek, Biagio Antonacci e Jovanotti.

Usando ancora le parole di Osimo:

Se il traduttore è un ponte tra due sistemi della semiosfera, bisogna vedere fino a che punto del ponte il lettore viene condotto per mano al traduttore e fino a che punto è il mondo ad essere addomesticato in modo da apparire più vicino126.

Tutto quanto l’addomesticamento non compiuto dal traduttore è un pezzo di strada in più da fare solo per il lettore, e perciò, a seconda di quanto il “lettore modello” della cultura ricevente venga considerato capace e volenteroso di comprendere la cultura di partenza, il traduttore produrrà un testo più o meno addomesticato.

Entriamo ora un po’ più nello specifico osservando quali sono stati gli elementi più problematici riscontrati nel corso della traduzione di De perlas y cicatrices nell’ambito della questione culturale, cominciando dai “realia”.

“Realia” è una parola che ha le sue origini nel latino medievale e significava “le cose reali”, cioè indicava le cose concrete in contrapposizione alle parole, invece astratte. In traduzione, invece, significa non oggetti ma parole, ossia le parole che denotano “cose materiali culturospecifiche127”.

in ogni lingua ci sono parole che, senza distinguersi in alcun modo nell’originale dal co-testo verbale, ciò nondimeno non si prestano a trasmissione in un’altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare: alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali di valore del tutto diverso di aspetto o addirittura “composte”. Tra queste parole s’incontrano denominazioni di elementi di vita quotidiana, della storia, della cultura ecc. di un certo popolo, paese, luogo che on esistono poresso altri popoli, altri paesi e luoghi. Proprio queste parole nella teoria della traduzione hanno ricevuto il nome di «realia». 128

126 Bruno Osimo, “Manuale del traduttore”, Hoepli, Milano, 2015, p. 101. 127 Bruno Osimo, “Manuale del traduttore”, Hoepli, Milano, 2015, pp. 111

128 Vlahov e Florin, “Neperovodimoe v perevode. Realii”, in Masterstvo perevoda, 6, 1969, Moskvà,

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Si tratta insomma di fenomeni socialmente e culturalmente legati a un certo contesto, che possono riguardare numerose categorie di elementi e possono essere molto difficili da tradurre. Le strategie che possono essere adottate sono, ad esempio:

o esotizzazione, cioè scegliere di lasciare così com’è l’elemento realia,

creando l’effetto dello straniamento;

o spiegazione nel paratesto, quindi utilizzare note a piè di pagina, introduzioni,

o glossari per spiegare in che cosa consiste l’elemento realia;

o esoticizzazione riconosciuta, quindi, se esiste, utilizzare la versione del realia

conosciuta dalla cultura di arrivo.;

o domesticazione, cioè utilizzare un possibile equivalente nella cultura di

arrivo eliminando del tutto il realia.

Bruno Osimo fa un elenco ancora più specifico delle possibili rese dei realia ne Il manuale del traduttore:129

1. traslitterazione;

2. trascrizione secondo la pronuncia della lingua target; 3. creazione di un neologismo o di un calco;

4. uso di un traducente appropriante;

5. uso di un altro vocabolo della cultura emittente spacciato per forma originaria dell’elemento di realia;

6. esplicitazione del contenuto;

7. sostituzione con un omologo locale del fenomeno della cultura emittente; 8. sostituzione con un omologo generico/internazionale del fenomeno della

cultura emittente; 9. aggiunta di un aggettivo; 10. traduzione contestuale.

La scelta dipende dalla funzione e dall’importanza del realia nel testo e dal tipo di elemento considerato, dato che ne esistono, come già accennato, moltissime categorie. Di seguito vediamone alcune130 con qualche esempio tratto dal testo:

129 Bruno Osimo, “Il manuale del traduttore”, Hoepli, Milano, 2015, pp. 112-113. 130 Bruno Osimo, “Il manuale del traduttore”, ibidem.

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 realia geografici, parole che denotano elementi della geografia fisica (pampa, selva, cerro), della biologia (diuca, gorrión);

 realia etnografici, che riguardano la vita quotidiana, ad esempio il lavoro (cesante), la religione (virgen de animita), la moda (pañuelo hindú), i tipi di danze, i generi e gli strumenti musicali (cueca, sandunga, pachanga, pichanga, guaracha, marimba,

charrango), il cibo (sopaipilla, empanada, charquicán, porotada, curanto ecc.), le monete

(pesos), e infine l’arte e media, presenti in ingenti quantità: Condorito, Mizomba,

Turok, Roy Rogers, Mawa, Juani en Sociedad, Lucía Sombra, Don Francisco, Larraín,Jappening con ja, “El Mercurio”, Televisión Nacional, , teletrece, canal trece, “The Clinic”, i nomi di cantante e gruppi musicali come ad esempio Los prisioneros, Gloria Benavies, Zalo Reyes e molti altri. Questi ultimi non sono da considerarsi veri e

propri realia, ma fanno comunque parte di quell’insieme di elementi che, senza una qualche strategia, possono creare confusione nel lettore;

 realia politici e sociali, che contengono entità amministrative territoriali (Barrio Alto, comuna, junta de vecinos, avenida), organismi e istituzioni (Patria y Libertad,

Frente Patriótico Manuel Rodríguez, UP, CNI, DINA, Colectivo Ayuquelén, Sociedad de Escritores, Vicaria de la Solidaridad) vita sociale e militare (pacos, milicos, rotos, cuicos, upeliento, momio, pepe-patos, bototos bloques, quintas, conventillos, cités, fraile castrense, Mamito).

Entriamo ora ancor più nei dettagli: in molti casi ho adottato una strategia esotizzante traslitterando semplicemente il termine realia, utilizzando però l’espediente della nota a piè di pagina di cui mi sono abbondantemente servita nel corso di tutto il testo. Per esempio, ho scelto di lasciare invariato il termine “cerro”, che in spagnolo americano significa “collina” o “colle” e non “montagna” come in spagnolo standard, perché il termine viene utilizzato a Santiago per indicare dei giardini o parchi situati su piccole colline in mezzo alla città, come il cerro Santa Lucía o il cerro San Cristóbal. Dire “colle” o “collina” in italiano dà, a mio parere, un’idea diversa, magari un’ambientazione più di campagna o un po’ più periferica, oltre al fatto che non ci riferisce mai a tali luoghi senza utilizzare anche la parola “cerro”, come se ormai fosse parte integrante del nome, tanto che ho valutato l’opzione di scrivere il termine “cerro” in maiuscolo. In una traduzione come quella che si presenta in questa tesi, ho potuto conservare “cerro” senza problemi facendo semplicemente ricorso ad una nota a piè di pagina. Forse, richiamando il confronto fra Ta e Te di cui si è

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parlato, un lettore di tipo diverso potrebbe richiedere una strategia diversa, ma non necessariamente: tra le opzioni, ci sono la sostituzione di “cerro” con uno dei suoi traducenti, per esempio “collinetta” (esempio 1), oppure con un termine diverso, come “parco” (esempio 2) per dare maggiormente l’idea della funzione del luogo, che non è ben chiara nel caso (1). Nessuna di queste due opzioni però a mio parere è soddisfacente. In alcuni casi, il lettore può ‘arrangiarsi’, e capire dal contesto o attraverso una piccola ricerca di che cosa si sta parlando. Una strategia intermedia potrebbe essere lasciare “cerro” con l’aggiunta di una parola o più che funga da spiegazione (esempio 3):

[…] cuando paseaba la tarde echándose aire con sus enormes pestañas postizas en el cerro Santa Lucía.

1. […] quando la sera passeggiava dandosi arie con le sue enormi ciglia finte nella collina Santa Lucia.

2. […] quando la sera passeggiava dandosi arie con le sue enormi ciglia finte nel parco Santa Lucia.

3. […] quando la sera passeggiava dandosi arie con le sue enormi ciglia finte nei giardini del cerro Santa Lucia.

L’aggiunta di un termine esplicativo è una strategia che è risultata utile, ad esempio, nel caso di “diuca”, una razza di uccellino tipica del Cile, che pur avendo una traduzione italiana può non essere conosciuta dal lettore medio. Basta dire, per esempio, “uccello diuca”, per risolvere ogni dubbio.

Anche nel caso di “copihue”, il fiore nazionale del Cile, ai più sconosciuto in Italia, si può adottare una simile strategia.

Per esempio:

Porque una reina no tiene opinión, solamente habla de las bondades de su tierra: del clima, del paisaje, de los copihues […]

Perché una regina non ha opinione, parla solo delle bellezze della sua terra, del clima, del paesaggio, di quando fioriscono i copihue […]

Altri casi nei quali una spiegazione si rende necessaria per la comprensione del testo sono ad esempio gli organi come la DINA, la CNI o la UP. In mancanza di un equivalente in lingua italiana, come avviene per le organizzazioni mondiali come la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), traducente di WHO (World Health

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Organization), oltre all’esplicitazione della sigla in lingua spagnola è importante anche chiarire la loro funzione. Se non si vuole appesantire il testo con troppe spiegazioni interne, resta sempre da tenere in considerazione la possibilità di un glossario con alcuni chiarimenti, come si è già accennato. Nel caso di UP, quando compare la forma estesa “Unidad Popular” ho scelto di mantenere il termine in spagnolo, data l’estrema somiglianza con l’italiano “Unione Popolare”, così come ho fatto con “Sociedad de Escritores”. Ho invece sostituito con un equivalente “pañuelo hindú”, dato che la stessa cosa è chiamata “kefiah” in italiano.

Anche per le danze e i cibi ho mantenuto un atteggiamento esotizzante lasciando invariati i termini originali e facendo uso di note, ma, volendo riprendere per un attimo il confronto Ta-Te, è calzante l’esempio già riportato di “sandunga” dove ho preferito trasformare la “sandunga de los bototos” nel “balletto degli stivaloni”. Questo perché utilizzare il termine “sandunga” significa correre il rischio che il lettore non colga l’immagine che l’autore sta offrendo, e l’immagine in questo caso è la cosa che ho scelto di privilegiare.

Per alcuni tipi di cibi ho preferito utilizzare il corsivo, (per esempio “sopaipilla”), mentre per altri, che anche se non fanno parte della nostra cultura ci sono più familiari (come “empanadas”) ho scelto di lasciare lo stampatello per non appesantire eccessivamente il testo.

Riprendendo ancora il confronto tra le due versioni Ta e Te, un esempio interessante di realia è il seguente:

En Chiloé, se juntaron mariscos por toneladas para cocer un histórico curanto, el plato típico de la zona. Y fueron miles de choros zapatos, machas, almejas, piures, erizos y chapaleles […]

Ta: A Chiloé, si misero insieme frutti di mare a tonnellate per preparare uno storico curanto1, il piatto tipico della zona. E furono migliaia di choros zapatos,

machas, piures2, vongole, ricci e chapaleles3

1Dal mapudungun: kurantu, è un metodo tradizionale millenario per cucinare cibo

nell'arcipelago di Chiloé usando pietre calde posizionate in una buca.

2Varietà di frutti di mare cileni.

3Impasto di patate e farina che si usa per accompagnare il piatto principale, in particolare il curanto di

frutti di mare.

Te: A Chiloé, si misero insieme frutti di mare a tonnellate per preparare uno storico curanto la zuppa tipica della zona. E furono migliaia di choros zapatos,

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Come si nota dall’esempio, nella Te la parola “plato” è stata tradotta con “zuppa” per far capire al lettore di che cosa stiamo parlando. I tipi di frutti di mare sono lasciati invariati: al lettore il compito di approfondire le proprie conoscenze culinarie!

Altri realia che ho deciso di lasciare invariati sono, tra i tanti: “Barrio Alto”, “Pepe-Pato”, “roto”, “Junta de Vecinos”. Nella Ta, con l’appoggio delle note, ovviamente è stato molto facile lasciare un’enorme quantità di parole invariate. Ho cercato di mantenere soprattutto quelle che costituiscono qualcosa di molto specifico oppure che non hanno nessun tipo di corrispondenza nella cultura d’arrivo, e una sostituzione rappresenterebbe una perdita troppo grande per il testo, come il termine “roto”, concetto di cui si è ampiamente discusso nella parte di analisi del libro.

Ecco invece di seguito alcuni esempi di casi in cui ho preferito la traduzione: “pacos” è il termine cileno comune e corrente per indicare i poliziotti. L’origine del termine è incerta: secondo alcuni, risale alla metà del Settecento, quando fu costruito il ponte di Cal y Canto. Due poliziotti, entrambi di nome Francisco (nome di cui “Paco” è il diminutivo), vennero messi di guardia al ponte, e la gente iniziò a riferirsi a loro come “pacos”. Un’altra versione (dal diccionario de Chilenismos di Zorobabel Rodríguez, pubblicato nel 1875) sostiene una derivazione quechua: il termine verrebbe da “p\’aku” e significherebbe “biondo”, in riferimento al colore del poncho da loro indossato in quel periodo. Altri sostengono che la parola derivi dalla sigla: “Personal A Contrata de Orden y Seguridad” (oggi Personal de Nombramineto Institucional), quella parte della polizia nominata dal capo della polizia e non dal Presidente della Repubblica.

Dopo una lunga riflessione, ho deciso di standardizzarlo pur perdendo, usando le parole di Berman, “un reticolo linguistico vernacolare”. Avrei potuto tradurlo con “sbirri”, ma al mio orecchio suonava eccessivamente dispregiativo rispetto all’originale, che è invece più simile all’uso americano di “cop”.

Anche con “milicos” ho adottato una strategia standardizzante, traducendo semplicemente “militari”. Avrei potuto aggiungere un aggettivo dispregiativo, ma il termine ricorre talmente spesso che il testo ne sarebbe risultato eccessivamente appesantito, e comunque l’odio dell’autore per i militari è lo stesso più che ben percepibile. Ad ogni modo, si potrebbe pensare anche di mantenere il termine invariato sfruttando la somiglianza dei due termini, ma ho preferito non farlo data la grande quantità di termini in spagnolo presenti nel testo.

Anche il termine “cuicos” mi ha dato molto da fare: come già si è visto nella parte di commento al testo, si tratta di personaggi ricchi che amano ostentare la propria

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ricchezza e stare insieme ad altri personaggi ricchi. Sono, in sostanza, dei ricchi snob, ed è proprio con “snob” che alla fine ho deciso di tradurre il termine, anch’esso incredibilmente ricorrente, come “milicos” e “pacos”. La ricorrenza di questi termini all’interno del testo ha influenzato le mie scelte traduttive, in quanto un termine lasciato in originale che ricorre molto all’interno del testo rischia di appesantire eccessivamente la lettura.

“Upeliento” è stato il termine che, forse, tra questi, più di tutti mi ha fatto riflettere. Si tratta di un modo dispregiativo di chiamare gli affiliati al partito della UP, la “Unión Popular”. Inizialmente avevo deciso di lasciarlo invariato, ma poi ho optato per una diversa alternativa, spiegando comunque in nota quale fosse il termine originale.

In un caso, compare in originale come aggettivo in “farra upelienta”, che ho tradotto “baldoria sozza della UP”, successivamente invece ho scelto il traducente “sinistroide”, sia nel caso di “Matta upeliento” che in quello di “Y pareciera que los upelientos aprendieron modales en el exilio francés”.

Un’ultima riflessione sui realia merita il termine “quintas”, uno specifico tipo di casa rurale, che per chiarezza ho fatto seguire da una breve spiegazione: “le grandi case rurali della Gran Avenida”, oltre che da una nota.

Vediamo adesso cosa è stato fatto nei confronti dei riferimenti ai personaggi famosi, programmi televisivi, radiofonici e gruppi musicali.

Ho conservato tutti i nomi di giornali, programmi e personaggi reali, quindi: