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Il rapporto tra proprietà intellettuale e diritto della concorrenza è da sempre fonte di discussioni accese: a chi evoca una contrapposizione intrinseca tra i due sistemi, vi è chi ribatte prospettando una sostanziale convergenza finalistica delle due discipline rispetto al bene dell’innovazione; convergenza alla luce della quale attriti e contrasti si rivelerebbero meramente apparenti 1.

In virtù di quanto verrà analizzato in questo capitolo, si giungerà a confutare quest’ultima conclusione, evidenziando invece il persistere di una tensione reale tra tali discipline2, seppur in

1 Vedi supra Capitolo 1 per maggiori dettagli su tale dupplice visione.

2 CAPUANO, Abuso di posizione dominante e proprietà intellettuale nel diritto dell'Unione europea, Editoriale Scientifica, 2012, pp. 163 ss.: "Non è condivisibile l'opinione di chi scorge nella dialettica tra proprietà intellettuale e concorrenza un conflitto solo apparente (...) non siamo al cospetto di una querelle meramente accademica quanto, piuttosto, di una tensione reale".

forme nuove dovute all'evoluzione di un'economia knowledge based, che sembra imporre una loro ridefinizione.

Tale dibattito sulla loro interfaccia non dovrebbe quindi limitarsi ad un'astratta ricostruzione dei loro rapporti, quanto addentrarsi in una più proficua analisi dei punti in cui le due discipline entrano concretamente in contatto, essendo in tali casi che si verificano le vere inefficienze del mercato.

Scopo di questo capitolo sarà proprio quello di studiare uno dei casi più emblematici in cui si esprime di questo conflitto, ripercorrendone la posizione assunta nel tempo dall'ordinamento comunitario, per verificare se è possibile uno scambio dialettico tra le due distinte discipline3.

In particolare, essendo l’abuso di posizione dominante la fattispecie in cui le due materie vengono più strettamente a contatto, il proseguo di questo capitolo si concentrerà su una particolare ipotesi di tale condotta anti-concorrenziale nell’ambito di diritti IP: il rifiuto di concedere in licenza i diritti di privativa, che viene generalmente considerata species del più ampio genus del rifiuto di contrarre4.

La ragione della criticità di tale figura è insita nel fatto che anche il più tradizionale rifiuto di contrarre da parte di un’impresa in posizione dominante obbliga il sistema a mediare tra due esigenze contrapposte: da un lato, garantire la concorrenza e lo sviluppo dei mercati a valle, da cui consegue la necessità di imporre all’impresa in posizione dominante l’obbligo di contrarre; dall’altro, l’esigenza di rispettare la libertà di scelta delle proprie controparti contrattuali e di tutelare gli sforzi compiuti dall’impresa, per evitare una conseguente probabile riduzione dei suoi investimenti.

3 GHIDINI, Collisione? Integrazione? Appunti sulla intersection fra diritti di proprietà intellettuale e disciplina(e) della concorrenza, in Mercato, concorrenza e regole, 2005, pp. 246 ss. che afferma al riguardo: " Si tratta invece di riconoscere, mettendone a fuoco modalità e limiti, uno scambio dialettico fra le due distinte discipline le quali, pur tendendo ad obiettivi diversi, ma certo non incompatibili ed anzi frequentemente sinergici (donde appunto quello «scambio»), si intrecciano spesso per prevenire e rimuovere situazioni e/o comportamenti che ostruirebbero vuoi l’innovazione vuoi la dinamica e la correttezza della competizione economica" (cit. p. 270).

4 Vedi a riguardo anche nel diritto statunitense, previsto da U.S. Department of Justice and Federal Trade Commission, Antitrust Guidelines for the Licensing of Intellectual Property § 1.0 (1995) [IP Guidelines], che sebbene ne riconosce delle caratteristiche autoctone, la riconduce ad ogni altra forma di proprietà.

Ed è proprio con tale finalità che è stata adottata, a livello comunitario, l' Essential

Facilities Doctrine (EFD), che ha razionalizzato il trattamento del rifiuto di contrarre quale

possibile pratica abusiva ex art. 102 TFUE, subentrando ad una prassi che, fino a quel momento, era stata caratterizzata da un’estrema eterogeneità dei criteri di intervento5.

Essendo però i diritti di esclusiva, riconosciuti dalla proprietà intellettuale, volti a compensare gli sforzi inventivi e il dispendio di risorse - con l'obiettivo di incentivare l'innovazione -, nel caso in cui questi siano coinvolti risulta essere ancora più complesso mediare tra le due esigenze supra indicate.

Il rifiuto di concedere licenza è, in effetti, espressione dell'essenza del conflitto tra un titolo giuridico che garantisce l'esclusiva - e quindi un monopolio - e uno strumentario giuridico ed economico diretto invece ad assicurare condizioni di concorrenza, e dunque la pluralità di attori.

Infatti, se venisse alterato l’equilibrio del sistema in favore di un mercato perfettamente concorrenziale, imponendo quindi ai titolari di mettere a disposizione dei terzi l’invenzione o la creazione intellettuale tramite licenza obbligatoria, verrebbe snaturata l’essenza stessa della proprietà intellettuale, con un conseguente rischio di ridurre gli stimoli allo sviluppo tecnologico e culturale.

In questi casi quindi è sorta la necessità di sviluppare una soluzione che tenesse in considerazione tali specificità della proprietà intellettuale, e che ha portato, come vedremo, alla nascita dell'"Exceptional Circustances Test", una variante pro-innovativa dell'Essential Facilities Doctrine6, che tutt’ora viene generalmente considerata, anche a livello nazionale - sebbene le

5 Vedi supra Capitolo 1 per maggiori dettagli sulla definizione “dell’Essential Facilities Doctrine" e sui casi che ne hanno proclamato la definitiva adozione a livello comunitario (caso Bronner).

6 MELI, Rifiuto di contrarre e tutela della concorrenza del diritto antitrust comunitario, ed Giappichelli, pp. 203 ss., cit. p. 205: “La presenza di barriere legali, poste proprio a nome della promozione dell’innovazione, sembra imporre a prassi e giurisprudenza antitrust una messa a punto della regola generale Bronner, che tenga conto delle valutazioni relative all’incentivazione dell’innovazione già operate dall’ordinamento della proprietà intellettuale (…) la vicenda del refusal to deal con riferimento ai diritti di propretà intellettuale dimostra infatti come non vi sia imcompatibilità tra metodo delle essential facilities e regimi di privative legali, ma domostra altresì come l’applicazione del metodo debba tenere conto delle peculiari esigenze che fondano l’istituzione di tali regimi e dei limiti alla concorrenza che da esse vengono imposti”.

persistenti e numerose critiche -, come la soluzione più idonea a consentire uno scambio dialettico tra le due discipline.

L' attuale economia knowledge based - caratterizzata dall'emergere di nuovi fenomeni strutturali (come gli effetti di rete7), dalla forte standardizzazione8 e dalla lievitazione della proprietà intellettuale9 - sta però portando allo sviluppo di dottrine sempre più restie sull’effettiva utilità di tale forma proprietaria, perché ritenuta non più in grado stimolare adeguatamente l'innovazione e di assicurare la concorrenza dinamica.

Sembra emergere quindi, come analizzato al termine di questo capitolo, una generale tendenza ad incentivare la condivisione del trovato10, dimostrata sia dal crescente ricorso alle

standard setting organizations (SSOs) – oggetto di analisi del prossimo capitolo - sia da un

approccio pro-access degli organi comunitari (e non solo, come dimostra la recente normativa cinese11).

Quest'ultimi, infatti, nelle ultime occasioni in cui è stato richiesto il loro intervento per disciplinare tale condotta abusiva, hanno fatto ricorso a una versione dell’exceptional

circumstances test sempre più svuotata dei requisiti precedentemente fissati.

Tale situazione ha naturalmente comportato l'acuirsi delle critiche della (ancora rilevante) dottrina sostenitrice del ruolo fondamentale dei diritti IP per lo sviluppo e la ricerca, spingendola, come vedremo, a promuovere strumenti di controllo della proprietà intellettuale diversi dall'impiego di norme dell'antitrust

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Da tale introduzione già si può quindi dedurre il reale carattere conflittuale delle due dottrine e la persistente difficoltà a portare a compiuta definizione tale rapporto. La mutevolezza

7 Vedi infra paragrafo 5.3.

8 Vedi infra paragrafo 5.2.

9 Vedi infra paragrafo 5.1.

10 COLANGELO, L’antitrust, i patent pools e le tragedie della (intellectual) property governance, in Mercato Concorrenza e Regole, 2004, pp. 54 ss., cit. p. 61: “il quadro complessivo segnala in maniera inequivocabile quanto sia diventato cruciale, ai fini dell’innovazione e della diffusione delle nuove tecnologie, il tema della condivisione della proprietà intellettuale”.

tecnologica e scientifica, all'interno di un ordinamento giuridico complesso, come quello europeo, rende il raggiungimento di tale obiettivo ancora più difficile.

2. RIFIUTO DI LICENZE SU DIRITTI IP E ABUSO DI POSIZIONE