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5. LA NEW ECONOMY E L’INADEGUATEZZA DEL “NEW PRODUCT

5.1. L’INFORMATION TECHNOLOGIES E L’IP REVOLUTION

La prima questione da affrontare è la trasformazione dei principali beni oggetto di privativa e la corrispettiva crescita dei diritti IP.

beni fisici mobili e immobili – siano ormai stati rimpiazzati dal bene dell’informazione e della conoscenza tecnologica, con inevitabili ripercussioni nei rapporti tra proprietà intellettuale e concorrenza123.

In tale contesto, se da un lato si registra una crescente importanza della proprietà intangible, dall’altro si verifica quella che viene definita una IP Revolution, cioè un’invasione inarrestabile di diritti IP124.

Essa è conseguenza diretta, in primo luogo, del mutamento dell’obiettivo tradizionale di tutela: diritti non più destinati solo alla promozione dell’innovazione tecnica e dell’espressione artistica, ma sempre più volti alla tutela dell’informazione in quanto tale, e conseguentemente estesi in qualsiasi settore economico e sociale125.

È inoltre l’effetto indesiderato di un’inadeguatezza istituzionale degli odierni ordinamenti, dimostrata da una maggiore superficialità nell’esecuzione dei controlli per concedere un diritto IP – dovuta anche, secondo una dottrina minoritaria, al crescente numero di brevetti che comporterebbe ad una diminuzione della qualità del lavoro degli esaminatori –, e di un tendenziale snaturamento delle forme tradizionali di protezione intellettuale, dilatate per ricomprendervi tipologie di beni fino a quel momento trascurate126.

Conseguentemente si sta verificando una preoccupante “stratificazione" di privative, che rischia di portare all’innalzamento delle barriere all’ingresso nel mercato e all’inevitabile

123 PITOFSKY, Antitrust and Intellectual Property: Unresolved Issues at the Heart of the New Economy, in Berkeley Technology Law Journal, 2001, vol. 16, pp. 535 ss: “The essential feature that is new about the New Economy is its increased dependence on products and services that are the embodiment of ideas”.

124 Secondo il WIPO’s World Intellectual Property Indicators reports 2015, “global growth in patent and trademark filings in 2014 of 4.5% and 6.0%, respectively”, è possibile prendere visione dei dati: http://www.wipo.int/edocs/pubdocs/en/wipo_pub_941_2015.pdf.

125 COLANGELO, L’Antitrust, i Patent Pools e le Tragedie della (Intellectual) Property Governance, Mercato Concorrenza e Regole, 2004, pp. 54 ss., che alla nota 15 fa riferimento ad un’espressione usata dalla Corte Suprema Americana nella sentenza Diamond v. Chakrabarty, 447 US 303, 309 (1980), per cui oggi i diritti IP finirebbero per impattare ogni settore, sino a coprire “anything under the sun that is made by man”.

126 COLANGELO, Alla ricerca dell'isola che non c'è: i diritti di proprietà industriale nell'oceano antitrust, in Giurisprudenza Commerciale, 2000, I, pp. 339 ss.; PARDOLESI, GRANIERI, Vizi e virtù dei diritti di proprietà intellettuale nell’era digitale, in Mercato, Concorrenza e Regole, 2001, pp. 7 ss, in cui fanno riferimento in particolare al diritto d’autore che è quello che ha maggiore vocazione autoespansiva, e ancora al tema della brevettabilità dei business methods. Obiettivo dell’odierna dottrina è infatti di individuare nuovi criteri per valutare la brevettabilità e la concessione di copyright, in grado di ridurre questa corsa alla protezione IP. Vedi sul tema ad esempio HALL, Business Method Patents, Innovation, and Policy, NBER Working Paper n. W9717 (2003), in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=410644.

aumento degli sforzi inventivi, degli oneri R&D e dei costi transattivi; elementi che a loro volta incentiverano il ricorso alla protezione IP127.

Inoltre, il sempre più frequente ricorso all’esclusiva in chiave strategico-opportunistica – cioè brevettare diventa l’espediente per mettere in atto strategie, come minacciare azioni di contraffazione128, ostacolare l’innovazione sequenziale, o come leva per aumentare il proprio potere negoziale nel caso di contrattazioni – è di ulteriore stimolo per l’impresa a preferire creare (e quindi tutelare l’invenzione con altri diritti IP), piuttosto che ricorrere a costose licenze129.

Questo fenomeno ha quindi un carattere circolare: l’esistenza di molteplici IPRs sembra portare ad un incremento ulteriore di tale diritti, con il rischio di condurre ad una parcellizzazione proprietaria e alla conseguente cd. tragedy of the anticommons, teorizzata da Michael Heller. Con tale parabola si vuole ammonire del pericolo che la presenza di troppi soggetti detentori di un potere di esclusione degli altri, congiutamente agli elevati costi di transazione, possa di fatto inibire il pieno utilizzo delle risorse, non avendo alcuno l’effettivo privilegio del loro utilizzo130. Tale scenario provocato dall’information technologies sembra reclamare, secondo alcuni autori, un ripensamento del rapporto tra IP e concorrenza così come inquadrato dall’analisi dei precedenti casi.

Il conflitto tra le due discipline s’inquadra infatti nella più generale tensione tra efficienza dinamica ed efficienza allocativa, per cui la differenza tra Antitrust e IP risiede principalmente nel fatto che quest’ultima pone sull’efficienza dinamica una maggiore enfasi.

127 GRANIERI, Proprietà intellettuale e Concorrenza: convergenza finalistica e “liasons dangereuses”, in Foro Italiano, 2003, vol. 10, pp. 194 ss.

128 Vedi infra Capitolo 3, par. 4.3.

129

COLANGELO, Alla ricerca dell'isola che non c'è: i diritti di proprietà industriale nell'oceano antitrust, in Giurisprudenza Commerciale, 2000, I, pp. 339 ss.

130 Il termine è stato coniato da F.I. Michelman (in Ethics, economics and the law of property, «Nomos series», 1982, 24, 1.) in cui ha definito l’anticommons come “un tipo di proprietà in cui tutti i soggetti hanno un diritto di esclusiva sul bene, e nessuno, di conseguenza, ha il privilegio di utilizzare il bene se non autorizzato da altri”. Heller nel 1998 ha rivitalizzato il concetto in un lavoro dedicato al passaggio alle istituzioni di mercato nella Russia contemporanea HELLER, The Tragedy of Anticommons: Property in the Transition from Marx to Markets, in Harvard Law Review, 1998, vol. 111, pp. 621 ss. in cui si riflette sulla causa della prevalenza di negozi vuoti a Mosca in contrapposizione al successo dei chioschi sorti sulle strade. Brevemente: le vetrine dei negozi a Mosca sono soggette a sottoutilizzo, perché, così scopre Heller, ci sono troppi comproprietari (agenzie governative locali, regionali e federali, lavoratori ecc.), ciascuno dei quali ha un diritto di veto sull’utilizzo del bene. La definizione di anticommons secondo Heller, è “un tipo di proprietà in cui più proprietari detengono i diritti di veto nell’uso di una risorsa scarsa”.

Rispetto a tale scenario tradizionalmente riconosciuto, il dato innovativo sta nel fatto che l’odierna proliferazione di diritti IP, sempre più frammentati, sembra rendere più difficile generare innovazione. Per cui, si verificherebbe un “effetto soglia”: al di sopra di un certo livello di protezione, la proprietà intellettuale, anziché promuovere i processi innovativi, ne rappresenta un freno131.

E ancora, il carattere cumulativo dell’innovazione, per cui i prodotti della creazione umana si innestano su conoscenze acquisite da altri, e la tendenza ad elevare la soglia di brevettabilità fino a ricomprendere la conoscenza di base, comportano infine una maggiore difficoltà nell’acquisire licenze per via dei possibili fattori di bargaining breakdown – cioè costi transattivi, esternalità e comportamenti strategici –, che rischia anch’essa di mettere a serio repentaglio il progresso del sapere.

Da quest’analisi emerge che i diritti di esclusiva sull’informazione sembrano spesso non essere asserviti pienamente alla finalità di incentivazione dell’innovazione, ma alla preservazione di posizioni di vantaggio competitivo.

Tale congestione di diritti, derivante principalmente da un fallimento inerente al funzionamento del sistema IP, sembrerebbe far emergere l’importanza della condivisione della proprietà intellettuale, per il benessere stesso dell’innovazione e del progresso del sapere132.

Oltre al più conveniente ricorso alle Collective Rights Organizations (CRO) - istituzioni spontanee in grado di fornire un punto d’incontro e di coordinamento ai proprietari di IP (oggetto di trattazione nel prossimo capitolo) - tale empasse potrebbe essere drasticamente ridotto attraverso il più emblematico degli strumenti di condivisione: la licenza obbligatoria nei casi di beni protetti da IPRs indispensabili, non soltanto però nel caso in cui tale bene impedisca l’emergere di un prodotto nuovo merceologicamente diverso, ma (sembra), come emerso dal caso

131 MELI, Standard, standardizzazione e applicazione dell’art. 102 TFUE ai conflitti su licenze a diritti di proprietà intellettuale, in Orizzonti del Diritto Industriale, 2014, pp. 7 ss.; COLANGELO, L’Antitrust, i Patent Pools e le Tragedie della (Intellectual) Property Governance, Mercato Concorrenza e Regole, 2004, pp. 54 ss.; COLANGELO, Alla ricerca dell'isola che non c'è: i diritti di proprietà industriale nell'oceano antitrust, in Giurisprudenza Commerciale, 2000, I, pp. 339 ss.

132 COLANGELO, L’Antitrust, i Patent Pools e le Tragedie della (Intellectual) Property Governance, Mercato Concorrenza e Regole, 2004, pp. 54 ss.,

Microsoft133, anche nel caso in cui consista in un mero avanzamento tecnico.

Infatti, l’impostazione tradizionale del diritto IP, che prevede che questo debba essere concesso solo nel caso di trovati dotati di effettivo carattere inventivo e creativo - il quale dimostra un dispendio di energie e risorse, e che quindi giustifica l’attribuzione di un diritto di privativa – sembra giustificare la necessità di prevedere tra le condizioni eccezionali il test del new product, perché idoneo a ripristinare la competition by substitution, pur rispettando l’essenza stessa del diritto di esclusiva (cioè impedire solo la competition by imitation).

Le ultime considerazioni in merito alle attuali inefficienze del sistema di proprietà intellettuale – che abbiamo visto mettere a repentaglio la sua capacità pro-innovativa -, ed in particolare dell’odierna preoccupante tendenza a concedere diritti di privative anche a trovati privi (o quasi) di carattere inventivo e creativo, sembra spingere verso nuove interpretazioni più

estensive di tale condizione, con il fine di ristabilire la competition on merits.

Il test esito della sentenza Microsoft, potrebbe, secondo tale visione, incentivare la concorrenza ma anche l’innovazione, individuando una possibile soluzione alle attuali inefficienze del sistema IP.