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Le prime decisioni della giurisprudenza comunitaria sono state adottate facendo ricorso alla teoria basata sulla dicotomia tra "l’esistenza" e "l’esercizio" del diritto di proprietà industriale19.

Secondo tale teoria, che trae origine dall’interpretazione delle norme sulla libera circolazione delle merci, il giudice comunitario non può pronunciarsi "sull’esistenza” e sulle modalità di tutela del diritto IP, perché considerate immuni al sindacato ex art. 101, 102 TFUE, essendo esse materia riservata alle singole legislazioni nazionali a norma dell’art. 345 TFUE 20.

Tuttavia, in applicazione dell’art. 36 TFUE21, l’“esercizio” del diritto sarebbe invece passibile di limitazioni da parte della disciplina antitrust22, laddove la prerogativa riconosciuta al titolare rappresenti un ostacolo alla libertà del commercio intracomunitario.

Con l’evolversi di tale teoria, si è poi giunti ad affermare che l’esercizio della proprietà intellettuale foriero di effetti restrittivi sul commercio sarebbe comunque coperto dalla deroga

19 Vedi per tale teoria, tra i tanti: TAVASSI, Diritti della proprietà industriale e antitrust nell'esperienza comunitaria e italiana, in Rivista di diritto industriale, 1997, vol. I, pp. 150-153; FRIGNANI, WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, UTET, 1996, pp. 723-724; ANDERMAN, SCHMIDT, EU competition Law and IPRs: The regulation of innovation, Oxford, 2011, pp. 17-15; KEELING, Intellectual Property Rights in EU Law, Vol. I, Oxford, 2003, p. 52 ss.; COLANGELO, Alla ricerca dell'isola che non c'è: i diritti di proprietà industriale nell'oceano antitrust, in Giurisprudenza Commerciale, 2000, I, pp. 339 ss.

20 Art. 345 TFUE: “I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.

21 Art 36 TFUE: “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.

22 La prima sentenza a cui si fa risalire questo orientamento è del 13 luglio 1966, Etablissements Consten e Grundig, c. Commissione, cause riunite 56 e 58/64, in Racc. 1966, 458, vertenti su un accordo tra la Grundig e la Consten, distributrice esclusiva in Francia dei prodotti Grundig, avente ad oggetto, tra l’altro, il deposito in Francia a nome di Consten del marchio Gint da apporre sui prodotti Grundig così da evitare importazioni parallele di tali prodotti in Francia. La Corte ha avuto modo di osservare che il diritto comunitario della concorrenza “senza alterare la proprietà di tali diritti (i diritti di proprietà industriale regolati dai diritti nazionali), ne limita l’esercizio nella misura necessaria alla realizzazione del divieto di cui all’articolo 85 (ora 101), paragrafo 1”. Vedi anche la sentenza del 28 febbraio 1968, Parke Davis, causa 24/67, in Racc. 168, 55, in cui la Corte, discutendo della possibilità che un brevetto concesso, ai sensi della normative nazionali, possa rientrare nelle previsioni degli artt. 81 o 82 TCE (ora art. 101 e 102) “ (…) poiché il brevetto è attualmente disciplinato unicamente dall’ordinamento interno, solo il suo uso potrebbe essere disciplinato dal diritto comunitario, ove esso contribuisse ad una posizione dominante il cui sfruttamento abusivo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri”. Vedi infine la sentenza della Corte di Giustizia del 18 febbraio 1971, Sirena S.r.l. c. Eda S.r.l e altri, causa 40/70, in Racc. 1971, 69, cit., par. 5: “benché i diritti attribuiti dalla legislazione di uno Stato membro in fatto di proprietà industriale e commerciale non siano di per sé ricompresi dagli artt. 85 e 86 (ora art. 101 e 102) del Trattato, il loro esercizio può tuttavia ricadere sotto i divieti da questi sanciti”.

prevista dall’art. 36 TFUE, se tali restrizioni sono inerenti “all’oggetto specifico” (o “sostanza”) delle esclusive industriali. In altri termini, se le restrizioni al commercio sono indispensabili per consentire all’esclusiva di svolgere la funzione ad essa assegnata dalla disciplina IP23.

Il nodo cruciale è proprio quello di individuare i limiti entro i quali il rifiuto di concedere una licenza sia da considerare un esercizio legittimo o invece un comportamento abusivo24.

Essendo il rifiuto di concedere in licenza idoneo a restringere la circolazione delle risorse di proprietà intellettuale, in una prima fase gli organi comunitari decidono quindi di fare uso di questa teoria - che trae origine dall’interpretazione delle norme europee inerenti al rapporto tra libera circolazione delle merci e IP - come criterio per risolvere il conflitto tra il diritto antitrust e il diritto IP.

Tale approccio è conseguenza del fatto che l’EU assegnava alla disciplina anticoncorrenziale principalmente il compito di rimuovere gli ostacoli al commercio intracomunitario, in vista del mercato unico25.

Tuttavia recentemente varie critiche sono state mosse a questa teoria, che risulta ormai essere, come sostenuto da Tritton con riguardo alla sentenza Ideal Standard 26 “only of historical and academic interest”, motivo per cui, dopo la sentenza Volvo, non verrà più richiamata per la

risoluzione dei successivi casi.

Viene in particolare criticato il fatto di essere eccessivamente vaga e artificiale, essendo l’esistenza del diritto di privativa consistente negli usi stessi che di tale diritto si possono fare, per

23 Quindi ai sensi di tale teoria per “specific subject-matter” si suole intendere sia l’“oggetto specifico” sia la “funzione essenziale”, inteso come l’obiettivo del diritto, la ragione per cui il legislatore garantisce dette prerogative a colui che detiene il diritto. Korah è uno degli autori che ha notato questo doppio significato nella definizione di “specific subject matter” data per la prima volta nelle sentenze Centrafarm v Sterling Drug, causa 15/74, in Racc. 1974, 1147; e Centrafarm v Winthrop, causa 16/74, in Racc. 1974, 1183.: “Is the specific subject-matter of the right its function-the policy reason for granting an exclusive right to the innovator-or its essence-the nature of the protection granted? The Court refers to both”. V. KORAH, National Patents and the Free Movement of Goods within the Common Market, 1975, MLR 333, 335.

24 BERTANI, Proprietà intellettuale, antitrust e rifiuto di licenze, in Quaderni di AIDA, 10, Milano, 2004, pp. 98-99; SCUFFI, Le interferenze tra i diritti di proprietà intellettuale e la disciplina antitrust: problematiche processuali e sostanziali, in Concorrenza e Mercato, 2005, pp. 487-488.

25 Le politiche antitrust rientravano nella costituzione economica Comunitaria. Prima delle modifiche avvenute con i trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza, il trattato di Roma assegnava alla tutela della concorrenza un ruolo di mero strumento destinato a perseguire il fine dell’integrazione economica (art. 3).

cui la privazione totale della facoltà di esercitare un diritto porterebbe pregiudizio alla sua stessa esistenza27.

3.1 IL CASO VOLVO

È quindi nel 1988, con il caso Volvo c. Veng28, che la Corte di Giustizia si è per la prima volta pronunciata sulla questione inerente al rapporto tra il rifiuto di concedere in licenza un diritto IP e la normativa europea in materia antitrust.

È in questa sentenza infatti che viene affermato il principio generale – che costituisce tutt’oggi l’unica reale certezza in materia - per cui il titolare di un diritto di proprietà intellettuale, anche se in posizione dominante29, non è di per sé obbligato a dare in licenza tale diritto.

La controversia era stata sollevata, di fronte al giudice inglese, dalla società Volvo - titolare di un brevetto per modello ornamentale, relativamente a componenti di carrozzeria delle autovetture Volvo - nei confronti di Veng, impresa importatrice e commerciate nel territorio del Regno Unito delle medesime parti di carrozzeria, provenienti però da altri stati membri dove venivano prodotte senza il consenso di Volvo.

Il giudice inglese presentava ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia, volto ad accertare, inter alia, se il rifiuto di concedere a terzi la licenza per fornire tali parti di ricambio, anche dietro pagamento di un corrispettivo ragionevole, costituisse un abuso ex art. 102 TFUE30.

27 V. a questo riguardo le significative parole dell’Avv. Generale Fenelly, nelle sue conclusioni al caso Merck c. Prime crown, cit. riportate in TRITTON, Intellectual Property in Europe, London, 2002, pp. 457-575, spec. p. 467: “the distinction between the existence and the exercise of rights can, at times, be quite unreal , (…) and may now at least in so far as the interpretation of [Articles 28 to 30] be concerned, be discarded ”. V. anche le conclusioni dell’Avv. Generale Gulman, nel caso Magill: “(…) the distinction between the existence and the exercise of rights and the application of the concept of the specific subject-matter are basically expression of the same conceptual approach (…) the distinction between the existence and exercise of rights has no independent significance for resolving specific question of delimitation”, anch’esse riportate in TRITTON, Intellectual Property in Europe, London, 2002, p. 468.

28 V. Corte di giustizia, 5 ottobre 1988, AB Volvo c. Erik Veng , causa 238/87, in Racc. 1988, 6211; vedi inoltre il caso Renaul, molto simile nei fatti: Corte di giustizia, 5 ottobre 1988, CICRA e altri c. Renault, causa 53/87, in Racc. 1988, 6039.

29 A riguardo vedi supra capitolo 1, paragrafo sulla “posizione dominante e diritti IP”, in cui si evidenzia che dalla titolarità di un diritto IP non ne consegue di per sé l’attribuzione di posizione dominante.

30 Il tribunale inglese in particolare aveva sottoposto tre quesiti: “1) Qualora un importante produttore di autovetture sia titolare di brevetti per modello ornamentale che, a norma della legislazione di uno Stato membro, gli attribuiscono il diritto esclusivo di produrre e di importare parti componenti di ricambio della carrozzeria necessarie per effettuare riparazioni della carrozzeria di un’autovettura di sua produzione (ove tali parti componenti non siano sostituibili con altre di diverso modello), se, a motivo di tali diritti esclusivi detto produttore si trovi in una posizione dominante ai sensi dell’art. 86 del trattato CEE relativamente a tali pezzi di ricambio. 2) Se, a prima vista costituisca uno sfruttamento abusivo di tale posizione dominante il fatto che detto produttore rifiuti di concedere a terzi la licenza di

La Corte giunge emblematicamente ad affermare che la facoltà del titolare di un brevetto su un modello di vietare a terzi la fabbricazione, la vendita e l’importazione senza il suo consenso, di prodotti che incorporino tale modello ornamentale - sebbene comporti una limitazione della circolazione di tali merci - costituisce l’essenza stessa del suo diritto esclusivo31.

Ne consegue che imporre al titolare del brevetto l’obbligo di concedere la licenza a terzi, anche in cambio di una royalty ragionevole, avrebbe portato a privare il titolare della sostanza stessa del suo diritto d’esclusiva, per cui il rifiuto di concedere licenza non costituisce di per sé un abuso di posizione dominante.

Il nodo cruciale era quindi quello di individuare i limiti entro i quali il rifiuto di concedere una licenza sia da considerare un esercizio legittimo o invece un comportamento abusivo.

La Corte quindi prosegue individuando un elenco esemplificativo di casi in cui l’esercizio del diritto esclusivo poteva essere considerato abusivo ex art. 102, non essendo in tali circostanze attuazione della funzione essenziale del diritto, in particolare: “l’arbitrario rifiuto di fornire pezzi

di ricambio ad officine di riparazione indipendenti, il fissare i prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello non equo o la decisione di non produrre più pezzi di ricambio per un dato modello malgrado il fatto che numerose vetture di questo modello siano ancora in circolazione”32.

Da tale vicenda, è possibile evidenziare il ricorso, nella valutazione della liceità del rifiuto di licenza, alla teoria fondata sulla dicotomia "dell’esistenza/esercizio" e "dell’oggetto specifico" del diritto di proprietà intellettuale 33, precedentemente analizzata.

L’abuso, in questa prima fase, viene quindi individuato attraverso il ricorso a principi elaborati in materia di diritto della proprietà intellettuale e della libera circolazione delle merci,

fornire tali parti componenti della carrozzeria anche ove questi siano disposti a pagare un corrispettivo ragionevole per tutti gli articoli venduti su licenza (…); 3) se tale sfruttamento abusivo possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri ai sensi dell’art. 86 in conseguenza del fatto che si impedisce così, a chi intenda ottenere una licenza, di importare le parti componenti della carrozzeria in un altro Stato membro” (par. 4).

31 Ibidem, par. 8.

32 Ibidem, par. 9.

33 BACHES OPI, The application of the essential Facilities Doctrine to Intellectual Property Licensing in the European Union and the United States: Are Intellectual Peroperty Rights still sacrosant?, in Fordham Int. Prop., Media and Entertainment Law J., 2001, vol. 11, issue 2, pag. 452-453; GITTER, The conflict in the European community betwen competition law and intellectual property rights: a call for legislative clarification of the Essential Facilities Doctrine, in American Business Law Journal, vol. 40, pp. 240-243.

che hanno permesso di trarre come conseguenza che il comportamento che rientra nella sostanza del diritto IP, o rispondente alle prerogative fondamentali riconosciute dall’ordinamento al titolare di un diritto IP, è da considerare conforme al trattato e quindi lecito; se invece va oltre tali prerogative può essere considerato abusivo34.

La condotta che realizza la sostanza del diritto IP sarebbe quindi di per sé sempre legittima, indipendentemente dall’eventuale eliminazione di concorrenti che questa possa provocare. La normativa in ambito antitrust e le sue teorie (come l’essential facilities doctrine) non vengono, infatti, ancora prese in considerazione nel regolare le condotte delle imprese titolari di diritti IP35.

Tuttavia, tale sentenza non sembra essere particolarmente significativa, dal momento che si limita ad affermare che il rifiuto di concedere licenza non è di per sé abusivo, senza stabilire se in altre circostanze tale rifiuto possa essere considerato tale 36; inoltre i casi di abuso indicati, oltre ad essere eccessivamente vaghi nei termini in essi utilizzati – “arbitrario", “prezzi non equi”, “numerose”-, non configurando nessuno di essi un’ipotesi di rifiuto di concedere licenze, non permettono di trarne una disciplina generale in materia.

Essa ha però il merito di sollevare per la prima volta la questione dell’abusività del rifiuto di concedere licenza diritti IP.

34 BERTANI, Proprietà intellettuale, antitrust e rifiuto di licenze, in Quaderni di AIDA, 10, Milano, 2004, pp. 98-99.

35 Non vi è infatti alcuna analisi del mercato rilevante e la posizione dominante, concetti questi che sarebbero da analizzare preliminariamente rispetto all’abuso, nonostante uno dei quesiti del giudice inglese fosse anche inerente a tale questione.

36 BACHES OPI, The application of the essential Facilities Doctrine to Intellectual Property Licensing in the European Union and the United States: Are Intellectual Property Rights still sacrosant?, in Fordham Int. Prop., Media and Entertainment Law J., 2001, vol. 11, issue 2, pag. 452-453.

4. SECONDA FASE: I casi Magill e IMS Health e l’Exceptional