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I temi della cultura della crisi La crisi nel Positivismo.

5. L’ipertrofia dell’immaginazione

Prima di arrivare al 1888, però, sarà bene tornare al 1884 e alla recensione alla prima serie degli Essais di Bourget. È infatti qui che si trova, enucleata per la prima volta, quella causa del pessimismo presente che consente di riconnetterlo alla tradizione romantica. Sono molteplici le dinamiche che portano il secondo Ottocento a conclusioni nichiliste e scettiche, come ricordava De Roberto a chiusura di articolo. Oltre all’applicazione del metodo positivo alle scienze umane, da cui deriva la scoperta prima della vanità, poi della relatività del Tutto, esiste anche un’altra dinamica psicologica che porta alle stesse, scettiche conclusioni. Unita allo spirito d’analisi moderno, De Roberto la rintraccia e descrive nell’esperienza di Flaubert. E se qui segue ancora le orme del magistero bourgettiano, presto se ne affrancherà, e tale tema diverrà in assoluto centrale nella sua personale riflessione e produzione poetica. Mi riferisco al tema designato dal lessema di ‘illusione’ tanto familiare al lettore derobertiano, e del cui rispettivo concetto, nell’’84, viene tracciata per la prima volta la dinamica puntuale. L’opera flaubertiana, infatti, non sarebbe mero frutto dello spirito d’analisi del secolo XIX, che «gli rivela il valore dei fatti ben constatati» grazie ai quali, raccolti e coordinati logicamente, arriva a «crea[re] dei tipi così veri che sembrano viventi».118

L’opera sua nasce piuttosto dall’elemento che De Roberto definirà d’ora in poi ‘ipertrofia dell’immaginazione’, il cui determinarsi dipenderebbe tanto dal

si rintracciano le influenze del ‘male del secolo’ a cavallo fra letteratura francese e russa, un tentativo analogo era già stato portato avanti da De Roberto due anni prima, affidato alle colonne del «Fanfulla della Domenica» (F. De Roberto, Maupassant e Tolstoj, ivi, a. XII, n. 35, 31 agosto 1890).

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Si tratta degli articoli Intermezzi. Una malattia morale (I), «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 21 luglio 1888, Intermezzi. Una malattia morale (II), «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 24 luglio 1888, Intermezzi. Una malattia morale (III), «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 28 luglio 1888, che De Roberto pubblica con lo pseudonimo ‘Hamlet’. La lunga e dettagliata analisi della crisi che si acuisce alla fine del secolo XIX è indagata a partire dalla sua prima comparsa, in epoca romantica e roussoviana, sulla scorta di uno studio di Paul Charpentier pubblicato anni prima (Une malarie

morale: le mal du siècle, Paris, Didier, 1880).

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temperamento quanto dall’educazione ricevuta: ma già da subito, piuttosto che sull’innata predisposizione a questo psicologico male, insiste sulla componente culturale romantica che ne sarebbe cagione. Non solo, dunque, il Positivismo è rinvenuto quale matrice concretamente storica del metastorico sentimento nichilista che pervade la letteratura dell’epoca; anche il Romanticismo, per vie diverse e complementari, è posto sul banco degli accusati. Basterebbero certo l’influenza e l’esperienza dei maestri e recenti sodali siciliani119 a rendere ragione della dinamica culturale ‘anti-romantica’ alla base del pensiero e dell’opera derobertiana. Ma rintracciarne la prima ascendenza entro i due poli letterari ‘Flaubert-Bourget’ servirà, leggendo tale influenza sullo sfondo del contesto della cultura della crisi in cui nasce, a comprendere il passaggio ulteriore che questo concetto subirà nella riflessione derobertiana. Tale passaggio risulterà evidente nel celebre studio, di là da venire, su Giacomo Leopardi, l’autore cui De Roberto presto assocerà Flaubert proprio sulla base della dinamica psicologica descritta per la prima volta nell’‘84. Vediamo allora con quali parole De Roberto, sulla scorta di Bourget, inizia a formalizzare un concetto psicologico-culturale destinato ad avere tanta importanza.

La prima influenza riconoscibile nel Flaubert è il romanticismo. Egli […] conobbe ben presto le opere della scuola romantica, s’innamorò di tutti gl’interessanti tipi da essa creati; sognò una vita altrettanto fortunosa quanto la loro, e l’urto con la realtà ostile fu per lui terribile. Un duplice odio ne derivò: contro l’ambiente in cui viveva, perché era in contradizione [sic] col suo ideale e non lo comprendeva; contro sé stesso perché non sapeva né realizzarlo, né ripudiarlo. La sua immaginazione esuberante era per lui una causa di disinganni continui; essa gli faceva intraveder, a proposito d’avvenimenti futuri, emozioni potenti, straordinarie; quando poi l’avvenimento si compiva, egli era stupito di non aver provato che una minima parte di quello che si aspettava. Tutti i personaggi usciti dalla sua fantasia, Emma Bovary, Federico Moreau, Salambbò, Sant’Antonio, partecipano a questo stato d’animo. Ciascuno di essi si è formato un ideale a cui corre avidamente dietro, ma nessuno può raggiungerlo; sono tutti vittime della propria immaginazione.120

Tutti, Emma Bovary, Sant’Antonio, Federico Moreau, come pure Federico Ranaldi, Teresa Uzeda, Ermanno Raeli e molti fra i personaggi su cui De Roberto farà i più grandi investimenti autobiografici. Questa predisposizione

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Com’è noto, e come testimoniano gli studi e le accurate ricostruzioni dei rapporti epistolari fra De Roberto e i maestri siciliani fornite da Di Grado, all’altezza del 1884 il rapporto di amicizia e di scambio con Verga e Capuana, per il giovane catanese è appena iniziato o si è comunque appena consolidato (cfr. A. Di Grado, La vita, le carte, i turbamenti cit., pp. 73, ss.; ma cfr. anche la corrispondenza raccolta in: Capuana e De Roberto, a cura di S. Zappulla Muscarà, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1984, e Verga-De Roberto-Capuana. Catalogo

della mostra. Celebrazioni bicentenarie, a cura di A. Ciavarella, Giannotta, Catania, 1955).

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nativa all’ipertrofia dell’immaginazione, unita all’esorbitante sviluppo determinato da fattori culturali, è la seconda, concomitante causa che porta agli stessi esiti dell’indagine scientifica applicata all’uomo morale, perché:

se il pensiero è il nostro peggior nemico, se ogni insidia ci vien tesa da lui, bisogna desiderare che esso si spenga, che l’essere si distrugga, che la vita finisca, che tutto rientri nel nulla! …Il nihilismo più fosco è la conseguenza di questo modo di vedere.121

E fra questo ‘modo di vedere’, fra dinamica immaginazione/disillusione e volontà/dolore, il passo è breve, ed anzi nullo, e presto verranno gli articoli in cui il messaggio di Flaubert sarà equiparato a quello di Leopardi, e il messaggio di Leopardi sarà indicato quale base della filosofia di Schopenhauer. La flaubertiana ipertrofia dell’immaginazione, a questa altezza del pensiero derobertiano, ha ancora come esito specifico il più sconfortato pessimismo.

6. Solo un «modo di vedere»: relativismo come leggerezza?

In fondo ci troviamo soltanto di fronte a una recensione: De Roberto si appassiona, certo, ma riporta quelli che sono i risultati dell’indagine di Bourget. Ma ci ricorda anche come al «credo sconsolante della filosofia del secolo» il romanziere francese pervenga «forse non senza un preconcetto di sintesi». E il ‘forse’ che attenua un simile giudizio potrebbe abolirsi, perché in realtà «egli fa sue molte fra le tendenze rintracciate nelle opere di coloro ai quali dà riverentemente il titolo di maestri», e, argomenta De Roberto per convincere definitivamente il lettore, «se le pagine eloquenti di questo volume non lo dimostrassero, i suoi poemi, le sue novelle ne darebbero una prova irrefrangibile».122 Allora, prova altrettanto ‘irrefrangibile’ dell’affinità esistente fra autore e concetti affrontati saranno anche le opere derobertiane di là da venire, e i saggi giornalistici che d’ora in poi, numerosi, dedicherà a Bourget, e agli autori affrontati da Bourget, e agli autori che in generale contribuiranno a comporre il quadro del credo sconsolante del secolo.

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Ibidem, p. 3. 122

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