Rappresentare la realtà dopo la crisi di fine secolo.
5. Le linee fondamentali della sperimentazione derobertiana e
5.2. Relativismo e psicologismo: ‘psicologismo impersonale’ e ‘psicologismo come flusso’
Ma l’incipit delle Due facce della medaglia, come si diceva, è premessa ad un racconto incluso nei Documenti umani, che [se non è più il caso di definire raccolta ‘idealista’, certo] appartiene al versante della rappresentazione dell’inside, dei casi di coscienza, che si serve di una tecnica teoricamente assai distante da quella dell’osservazione impersonale: l’analisi psicologica. Se allora va considerato dichiarazione implicita di poetica, questo incipit lo è anche rispetto alla novella che introduce, dunque anche rispetto al metodo di rappresentazione dello psicologismo.
Questo non solo prova ulteriormente l’identità della visione della realtà alla base delle due forme della narrativa derobertiana; prova soprattutto l’esistenza di uno stessa visione relativista a ispirare in De Roberto l’impiego dei due metodi e a informare la sperimentazione condotta dall’autore su di essi, nel tentativo di piegarli alla nuova concezione epistemologica in questione, e di rappresentare dunque la nuova visione che investe entrambe ‘le facce’ dell’esistenza umana. Le tecniche impiegate per il racconto che segue all’incipit delle Due facce, certo, differiscono in buona parte da quelle operate per il filone ‘naturalista’ della sua produzione: De Roberto predispone una cornice, che coincide col dialogo fra i due personaggi cui sopra si accennava, a partire dalla quale, per dimostrare la realtà della propria tesi, la signora Auriti propone al proprio interlocutore l’infelice
vicenda d’amore occorsa a due suoi conoscenti. Il racconto di secondo grado è affidato in parte a due ‘documenti umani dell’inside’, le epistole dei due amanti, ciascuna delle quali riferisce una diversa e opposta versione della ‘morte del loro amore’, e ciascuna delle quali si propone come ugualmente sincera. Alla diretta voce della signora Auriti è invece affidato il racconto dell’epilogo della vicenda, che coincide con la rapida consolazione trovata ‘altrove’ da entrambi gli amanti poco prima disperati. Sebbene la struttura della narrazione sia dunque radicalmente diversa dalla modalità di racconto tipica del ‘metodo dell’osservazione’, tuttavia De Roberto non solo piega la vicenda alla dimostrazione della radicale parzialità di giudizio cui porta l’egoismo e l’amor proprio ferito,289 ma, per farlo, lavora e ‘sperimenta’ sullo stesso principio tecnico cardinale della modalità ‘impersonale’: la focalizzazione interna sui protagonisti della vicenda, realizzata ricorrendo direttamente a un narratore autodiegetico nel caso delle epistole, e alla vera e propria focalizzazione sul personaggio al momento in cui il racconto torna ad essere gestito dal narratore di secondo grado.
Nonostante le vistose differenze tecniche, nonostante le differenze dell’oggetto della rappresentazione (coscienza/società), nonostante un escamotage come quello delle epistole o della cornice di un dialogo mondano e salottiero, anche nella narrazione psicologista De Roberto struttura il proprio testo in modo che esso ceda la parola agli opposti punti di vista dei protagonisti per rivelare la loro natura fallace, soggettiva, relativa ed egoistica. Non altrimenti accade nel primo racconto dei Documenti Umani di cui si è parlato, Il passato, in cui a confrontarsi attorno ad una stessa vicenda d’amore sono ben tre punti di vista diversi, su cui il narratore eterodiegetico di volta in volta focalizza la propria narrazione. Non altrimenti accade in molti altri racconti della stessa raccolta, in cui un narratore esterno focalizza la narrazione su punti di vista multipli (si pensi a Studio di donna) o anche sul punto di vista di un solo personaggio, che scopre autoinganni, inganni, disillusioni (è il caso del Sacramento della penitenza o di
Epilogo), o in cui, ancora, si ricorre a forme narrative che affidano il racconto
direttamente a un narratore autodiegetico, senza bisogno di cornici (come nel
289
Se non bastasse il citato incipit del racconto, che propone la visione del mondo che la narrazione si incaricherà di dimostrare, si vedano le conclusioni che il personaggio della Auriti trae al termine dello stesso. Di fronte alle proteste di Eugenio Marsi, il suo interlocutore, che chiede se dunque la signora «cred[a] che tutto sia finzione», questa precisa di credere piuttosto «che tutto è relativo, che tutto può esser vero e falso al tempo stesso, secondo il punto di vista» (F. De Roberto,
Memoriale del marito); ma è il caso anche delle narrazioni ‘psicologiste’ di là da
venire.
Anche per queste soluzioni narrative, le soluzioni ‘classiche’ dello psicologismo derobertiano, si può parlare di una vera e propria linea sperimentale, di cui conservano traccia le copiose riflessioni affidate nel tempo ai saggi giornalistici. Mi riferisco in particolare alle riflessioni dedicate alla ‘nuova strada’ intrapresa dal Maupassant romanziere, e al significato che esse acquistano in rapporto a un dato di centrale importanza: al ruolo di modello ‘originario’ che Bourget riveste per il filone psicologista derobertiano. Non solo nell’articolo del 1890 visto sopra, ma già in un articolo del 1888 De Roberto riconosceva allo psicologismo di Bourget un preciso elemento di originalità allo psicologismo bourgettiano, che infatti a sua volta mutua: arrivare, con le proprie narrazioni di casi di coscienza riguardanti principalmente il tema dell’amore, alla dimostrazione delle tesi le più pessimiste circa il fondo oscuro che si cela dietro ogni sentimento ed ogni situazione umana, in linea con gli assunti del pessimismo del secolo XIX. In tale articolo, che risale al febbraio di quello stesso anno in cui l’autore stava assemblando in una raccolta organica i propri ‘documenti umani’, l’adesione alla narrativa di un Bourget ancora ‘prima maniera’ appare totale. Accanto ad elogi e testimonianze di ammirazione, De Roberto dimostra una approfondita conoscenza della struttura narrativa dello psicologismo bourgettiano, che descrive lucidamente e che del resto ha già sperimentato nei propri racconti:
mostrare delle serie di idee che conducono alle azioni determinando le volontà: tale è lo scopo del romanziere. Il suo sistema è questo: presentare tre o quattro personaggi e metterli di fronte ad una certa situazione; studiare quindi in che modo – dato il loro carattere iniziale – quella situazione è apprezzata da ciascuno di quei personaggi, e, di analisi in analisi, pervenire ad uno scioglimento che l’enumerazione di tutti gl’impulsi e di tutte le ragioni dimostri l’unico possibile.290
La situazione narrativa delineata e la ‘teoria dei piccoli fatti’ che vi si scorge sono effettivamente motivi portanti dell’ispirazione psicologista derobertiana, che troverranno la loro massima espressione nell’Illusione. Di fronte a questa sostanziale adesione, tanto più significativo dunque il fatto che da subito in De Roberto venga meno il ricorso al narratore onnisciente, istanza narrativa
290
F. De Roberto, Letteratura contemporanea. Paolo Bourget, «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 19 febbraio 1888.
topica della narrativa di Bourget291 e dello psicologismo in generale, come il catanese noterà, fra l’altro, in un articolo dedicato nel 1890 a Maupassant e
Tolstoj: «il caratteristico di quest’ultima [la scuola analitica] è l’intervento
personale dello scrittore nel corso della narrazione, per commentare, discutere o concludere».292 A questa notazione, nell’articolo del ’90, segue una nota polemica a carico della novella Bellezza inutile di Maupassant, perché l’autore ricorrerebbe a un escamotage goffo, almeno secondo il parere di De Roberto, per poter fare ciò che è tipico della narrativa psicologista senza adottarne completamente il metodo: per potere cioè «conciliare la diretta espressione del suo pensiero con la rappresentazione obbiettiva».293 In Maupassant, però, viene contestata la mancata riuscita artistica di un singolo episodio di tutto un filone narrativo di cui l’autore si era già profondamente interessato e sarebbe tornato ancora a interessarsi nella propria saggistica: di una narrativa in grado di approdare a nuove soluzioni tecniche in grado di unire all’analisi psicologica il metodo dell’osservazione impersonale. Non è certo una novità la constatazione che la prefazione di Maupassant a Pierre et Jean, che introduce proprio questa linea della sperimentazione del francese, è il modello delle dissertazioni derobertiane contenute nella seconda metà della sua prefazione ai Documenti Umani e che riguardano lo psicologismo; tuttavia è necessario rileggere l’influenza di questo secondo modello alla luce della stretta connessione fra lo psicologismo derobertiano e quello bourgettiano, e alla luce del fatto che in De Roberto, già prima della pubblicazione del Pierre et Jean di Maupassant, inizia un autonomo e programmatico di stanziamento da un preciso aspetto della tecnica del modello Bourget, e che riguarda appunto un elemento fondamentale della sua sperimentazione tecnica perché strettamente collegato con le ‘epistemologie della crisi’ che ha fatto precocemente proprie. Rinunciare all’onniscienza del narratore, dunque alla sua funzione di ‘alter ego’ dello scrittore, sembra infatti potere realizzare una maggiore mimesi rispetto al modello epistemologico ispiratore della stessa narrativa bourgettiana, per De Roberto emblema della narrativa psicologista. Modello epistemologico che, almeno secondo la definizione
291
Si veda, ad esempio, il seguente passo, in cui De Roberto paragona il narratore di Bourget a quello di Balzac proprio riguardo all’esercizio di quella funzione del narratore che Genette definisce ‘ideologica’: «Simile in questo al grande maestro Balzac, il Bourget esce spesso in sentenze sulle cose dell’intelligenza e dell’anima: a raccoglierle tutte, ci sarebbe da mettere insieme un discreto volumetto» (ibidem).
292
F. De Roberto, Maupassant e Tolstoj, «Fanfulla della Domenica», a. XII, n. 35, 31 agosto 1890. 293
derobertiana del 1888, si presenta in tutto identico a quello che la vulgata ‘sperimentale’ proponeva per la narrazione impersonale, e in cui semmai a mutare è solo l’oggetto verso cui lo ‘studio’ dell’autore si concentra: non i rapporti socio- economici dell’outside, piuttosto le complicazioni e le determinazioni della coscienza. I romanzi del Bourget, infatti, si presentano come:
studii di anatomia morale: come lo scienziato, che mette a nudo la compagine dei muscoli, dei nervi e delle ossa, l’artista squarcia il cervello dei suoi personaggi e vi rintraccia le sensazioni, le imagini [sic] e le idee. Come lo scienziato si interessa, più che alle condizioni normali della salute, alle alterazioni determinate dai processi morbosi, così il romanziere studia di preferenza le malattie morali, la patologia della coscienza. A quel modo stesso che lo scienziato dall’accertamento dei fatti s’innalza ai principii generali che li reggono, il romanziere psicologo passa dalle particolari osservazioni alle leggi. Simile in questo al grande maestro Balzac, il Bourget esce spesso in sentenze sulle cose dell’intelligenza e dell’anima.294
Il grande maestro Balzac, nella seconda serie degli Studii sulla letteratura
contemporanea di Capuana, era indicato quale primo padre del moderno
naturalismo, che sebbene registrasse cambiamenti tecnico-stilistici rispetto alla
Commedie umane, in Balzac doveva riconoscere l’iniziatore della moderna
indagine sulla società umana. Anche al di là dell’ipotesi di una suggestione di capuaniana memoria, basterebbe la lettera del paragrafo derobertiano a suggerire una stretta connessione, più profonda di quanto ordinariamente non si sia disposti ad ammettere, fra ragioni del naturalismo e ragioni dello psicologismo letterario. Alla base di entrambi vi sarebbe un processo di osservazione del reale, di formulazione di ipotesi, di ricreazione sulla pagina dei meccanismi umani che, dati determinati piccoli fatti, di necessità conducono a un altrettanto determinato esito della vicenda. A differenziare entrambi starebbe l’oggetto su cui si appunta questa osservazione. Ma come l’oggettività che deve presiedere alla riproduzione della catena ineluttabile del primo tipo di fatti si traduce nel naturalismo (e maggior ragione nella poetica di De Roberto) in una delega della narrazione ai punti di vista interni alla vicenda narrata, così la riproduzione della catena ineluttabile del secondo tipo di fatti si potrà e dovrà tradurre, secondo la strada intrapresa da subito da De Roberto, in una analoga delega della vicenda ai punti di vista interni alla narrazione dei casi di coscienza. Di più, abbiamo già visto come il modello epistemologico dei ‘piccoli fatti’ e dei ‘fattori’ coincida alla fine con la
294
F. De Roberto, Letteratura contemporanea. Paolo Bourget cit; ma cfr. già la citazione alla n. 46, in cui lo stesso passo provava la consapevolezza derobertiana delle modalità d’istanza narrativa impiegate da Bourget.
costituzione di un’epistemologia e di una psicologia di stampo relativista, e come questa, in ultima istanza, sia riprodotta dalla tecnica narrativa dell’osservazione derobertiana che punta la propria sperimentazione sulla focalizzazione interna. A maggior ragione qui, nel caso dell’analisi psicologica, l’adozione di una tecnica che sostituisce l’onniscienza con la focalizzazione interna, nuovo cardine strutturale della narrazione psicologista derobertiana, rappresenterà la via per raggiungere la mimesi con il costituzionale relativismo antropologico, e riprodurrà la miopia, la parzialità, l’autoinganno, il processo di illusione di cui è vittima ogni analisi del soggetto su sé stesso, sui propri sentimenti, sulle proprie convinzioni, su tutto ciò che riguarda insomma i propri stati di coscienza.
Ciò spiega l’assiduo interesse dimostrato da De Roberto verso il nuovo compromesso tecnico sperimentato da Maupassant, testimoniato nel tempo da diverse trattazioni, sebbene rimanga diviso fra adesione e critica. E se nella
Prefazione ai Documenti Umani la critica si esercita principalmente
sull’atteggiamento teorico tenuto dal Maupassant nella propria prefazione al romanzo Pierre et Jean, negli interventi successivi, come nel citato articolo su
Maupassant e Tolstoj, la critica si appunterà sulle modalità stesse con cui
Maupassant intende realizzare narrazioni fondate sull’analisi psicologica, sino ad arrivare agli articoli dedicati all’autore francese sul «Capitan Cortese» nel 1895. Nel 1888, infatti, De Roberto lodava nella prefazione del Maupassant l’esattezza impiegata nella descrizione tanto del metodo dell’osservazione impersonale, di cui il francese era stato maestro sino a quel momento, quanto del metodo dell’analisi psicologica, di cui si accingeva invece a dare la prima prova proprio nel romanzo che seguiva la prefazione, ma gli rimproverava al contempo la preferenza comunque espressa nei confronti del primo metodo, giudicato espressamente «più verosimile» rispetto alla ricostruzione psicologica degli stati di coscienza dei personaggi. Nel 1895, invece, arriverà a sviluppare una tesi già sparsamente anticipata nella produzione saggistica precedente, e che appunto riguarda direttamente le modalità di realizzazione dell’analisi psicologica in Maupassant, in buona parte critica e comunque tale da delineare una realizzazione profondamente diversa da quella che in effetti aveva portato avanti De Roberto nella propria opera. Nel dittico di articoli maupassantiani consegnati al «Capitan Cortese», infatti, De Roberto ripercorre l’intera produzione dell’autore francese, stendendone un bilancio critico bipartito in due sezioni, dedicate rispettivamente
alla produzione novellistica e alla produzione romanzesca. Nella prima dedica una zona ‘propedeutica’ all’analisi dei racconti dell’autore in cui fa il punto, nuovamente, sulle due scuole letterarie dell’osservazione e dell’analisi. Nella seconda analizza la produzione in cui Maupassant porta appunto avanti il proprio tentativo di ‘fusione’ dei due metodi, meglio, di addizione. Se infatti ripercorre brevemente i romanzi in cui Maupassant si era ancora attenuto strettamente ai dettami della scuola dell’osservazione impersonale, si sofferma invece con attenzione su tutti i romanzi prodotti a partire dal primo tentativo ‘sperimentale’ rappresentato da Pierre et Jean. Non solo, a questo punto, rinnova le antiche rimostranze circa le prese di posizione contenute nella prefazione di Maupassant al romanzo; da questo momento in poi la sua analisi si concentrerà tutta sulle modalità di realizzazione impiegate dal francese per realizzare i propri ‘romanzi di analisi’, rilevando come non soltanto il suo passaggio allo psicologismo consista in fondo nell’assemblare zone di analisi sugli stati di coscienza del personaggio a zone in cui la rappresentazione continua ad essere fondata sull’osservazione impersonale («tentare una conciliazione delle due tecniche dando un posto alla narrazione del pensiero senza soffocare quella dell’azione»), ma rilevando soprattutto come l’evoluzione verso il nuovo metodo sia soprattutto «apparente», e come piuttosto Maupassant «sia rimasto sempre fedele agli antichi principii».295 Non importa, infatti, che nei romanzi posteriori a Pierre et Jean, in Fort comme la
mort o in Notre Coeur, le zone narrative condotte secondo il metodo dell’analisi
siano quantitativamente maggiori, né che «il romanziere si lasci[…] andare più spesso che non abbia fatto» in precedenza «a parlare per proprio conto, ad esprimere, come fanno gli analisti, la filosofia delle cose che narra».296 No; nonostante tali elementi lo avvicinino in apparenza al metodo dell’analisi psicologica, è un altro fattore a rimanere immutato, e a meritare una trattazione che a tratti sembra cadere nell’aperto biasimo. Si tratta di quello che De Roberto qui definisce il modo di «giudica[re] i suoi personaggi e le loro azioni»; si tratta cioè del fatto che in Maupassant persistono, e in misura preponderante, «passaggi nei quali la nota scettica o ridicola o volgare scatta fuori inaspettata»297 a proposito dei personaggi e delle vicende rappresentate; si tratta, insomma,
295
F. De Roberto, Guy de Maupassant. II – Osservazione ed analisi, «Il Capitan Cortese», a. I, n. 22, 6 ottobre 1895.
296
Ibidem. 297
dell’ultima dicotomia che De Roberto stabilisce fra le due ‘scuole’ del suo tempo, e su cui dovremo tornare perché, nonostante non sia stata ad essa dedicata particolare attenzione dalla critica, si rivela davvero importante, e operante nella narrativa derobertiana; e si rivela davvero moderna.
Quello che, invece, preme rilevare adesso, dopo questa veloce ricognizione degli articoli derobertiani del ’95, è l’atteggiamento assunto dall’autore nei confronti della via sperimentale ‘psicologista’ scelta e perseguita dall’autore francese. Il secondo articolo del dittico, è vero, si conclude con l’affermazione che, è vero, «è parso che [Maupassant] s’accostasse alla tecnica d’una scuola opposta alla sua; ma non ha rinunziato alla filosofia della sua propria scuola, alla sua abituale visione del mondo, al suo giudizio sulle cose e sugli uomini; e non s’è tanto convertito all’analisi dell’anima quanto ha dimostrato come si possa fare l’analisi delle anime restando osservatori del vero». Ma la critica condotta lungo l’intero articolo, e i rapporti che essa intrattiene con l’intera produzione derobertiana, gettano una precisa luce sul significato da attribuire a questo passo. Anche De Roberto, infatti, condurrà un’analisi psicologica rimanendo osservatore del vero: abbiamo abbondantemente dimostrato come nulla conceda all’idealismo. Non la condurrà, però, secondo i moduli maupassantiani: rispetto a questi, abbraccerà quel principio della ‘simpatia’ col proprio personaggio, nonostante la dimostrazione delle più pessimistiche tesi circa la propria natura, reperito in Bourget. E, rispetto a Bourget, la sperimentazione si discosterà ugualmente, abbandonando l’onniscienza e puntando tutto sulla focalizzazione interna. E se di un’analisi che, a partire da un narratore esterno non onnisciente, si realizzasse attraverso la delega della narrazione al punto di vista di un personaggio, aveva trovato il modello in Maupassant, non è però questo modello che De Roberto seguirà per la propria sperimentazione psicologista.298 Molte, infatti, sono le differenze e le discrepanze rilevabili fra la realizzazione dell’analisi psicologica derobertiana e il modello maupassantiano per come almeno da De Roberto viene recepito e descritto: in De Roberto un’analisi psicologica che continui a rispettare l’‘arido vero’ non cedendo all’illusione idealista (anzi smascherandola), non si tradurrà né in una pura sommatoria di parti di analisi dell’inside e parti di osservazione dell’outside, né in una rappresentazione che inizi a concedere spazio a un’istanza narrativa onnisciente e latrice di ‘massime ideologiche’, né a una
298
Questo, semmai, è il modello che troviamo esattamente nella bella prova di Adriana, tuttavia prova esclusa dall’Albero della Scienza.
rappresentazione in cui i personaggi di cui si segue l’analisi siano condannati dalla logica della narrazione al ridicolo o al volgare, note piuttosto caratteristiche del De Roberto narratore impersonale.
Il Maupassant psicologista, insomma, è oggetto dell’attenzione derobertiana nella misura in cui tenta una via che anche De Roberto stava sperimentando. Ma va riconosciuto che De Roberto, nonostante i modelli e le numerose (e doverose) influenze rintracciabili nel suo psicologismo, tenta una via ancora diversa, si svincola parzialmente dai vari modelli per realizzare una rappresentazione psicologica originale nella misura in cui possa ambire a una maggiore mimesi rispetto alla sua fondamentale concezione ontologico- epistemologica, pessimista ma soprattutto relativista.
Potremmo dunque concludere notando come la sperimentazione narrativa