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Delle rigide dicotomie di moda: le dichiarazioni di poetica derobertiane.

Rappresentare la realtà dopo la crisi di fine secolo.

2. Delle rigide dicotomie di moda: le dichiarazioni di poetica derobertiane.

Nel 1888, come anticipato, De Roberto pubblica la Prefazione alla raccolta narrativa Documenti umani in forma di lettera aperta a Emilio Treves. Nei toni di ironica, divertita polemica, l’autore propone all’editore questo suo secondo volume di racconti, dopo che il primo, La sorte, gli era stato rifiutato con l’accusa di dipingere una realtà ‘tutta nera’.247 Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui De Roberto proporrebbe ora allo stesso editore un volume di racconti ‘in rosa’, mettendo a frutto un suggerimento che, secondo quanto riferito, l’autore aveva dato all’amico Capuana per rispondere a quanti gli avevano rimproverato il proprio ‘naturalismo’ letterario. La provocazione che accompagna la pubblicazione di una raccolta ‘idealista’ quale i Documenti Umani, però, diventa pretesto per riflettere sulle due scuole che a fine Ottocento si contenderebbero il

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La sorte, volume che segna l’esordio letterario di De Roberto, era infatti stato pubblicato dall’editore Giannotta di Catania.

campo della produzione letteraria: la naturalista e l’idealista, appunto. La lunga e minuziosa riflessione, pubblicata anche in due puntate sul «Giornale di Sicilia»,248 si conclude con lo stesso tono ironico e provocatorio dell’incipit: «riassumendo […] questo lungo discorso – era tempo! – se io potei prevedere i rimproveri che i critici avrebbero fatti alla mia Sorte, sono oggi ancor meglio in grado di indovinare le accuse che toccheranno a questi Documenti Umani. Vuol vedere se sbaglio? Mi diranno che le favole sono troppo romantiche, che i personaggi sono troppo convenzionali, che lo stile è troppo artificioso. Nella Sorte s’incontrano troppi mastri, don e comari; qui vi saranno troppi artisti, cavalieri e contesse; quelli erano troppo sciatti, questi saranno troppo preziosi. La Sorte era troppo vera; i Documenti Umani saranno troppo inverisimili… Si metta ora un poco nei miei panni e consideri che bell’impiccio […]. Io sono un autore timorato ed ossequiente alla critica costituita. La Sorte era naturalista? Ecco qui delle novelle ideali. Sono troppo ideali? E io mi metto a scrivere un romanzo a modo mio».249

Questo saggio che procede per dicotomie poetiche e che analizza dicotomie poetiche, si chiude sulla dicotomia con cui aveva aperto la propria dissertazione, ossia l’opposizione fra narrativa naturalista e narrativa idealista, e ascrive i Documenti Umani e la precedente Sorte a due generi distinti e contrapposti. La stessa cosa accadrà quasi due anni più tardi nell’introduzione all’Albero della Scienza, ove compare la celeberrima e già citata affermazione secondo cui per De Roberto sarebbe stato «un raffinato godimento da dilettante il condurre di pari passo due serie di novelle opposte nella forma e nelle intenzioni; e il lettore che volesse paragonare i Processi Verbali a questo Albero della

Scienza che li accompagna, vedrebbe subito […] come una diversa qualità d’arte

s’imponga a una diversa qualità di fatti umani».250 Sebbene la bipartizione qui si giochi più su dicotomie di carattere tecnico, già emerse bene nella prefazione del 1888, che non sulla dicotomia fra idealismo e naturalismo, questa dichiarazione di De Roberto, messa a sistema assieme alla prefazione ai Documenti, è stata la base da cui, come visto, tanta parte della critica precedente ha dedotto e confermato un giudizio di rigida separazione fra due filoni dell’arte derobertiana, relegando quello di chiara paternità bourgettiana a ruolo di filone marginale e minoritario

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F. De Roberto, Intermezzi. Quistioni d’arte, «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 25 novembre 1888; F. De Roberto, Intermezzi. Altre quistioni d’arte, «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 27 novembre 1888.

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De Roberto, Romanzi novelle e saggi cit., pp. 1639-1640. 250

tanto per contenuti quanto per valore estetico. Ma la dicotomia che giustificherebbe una sì rigida partizione e un sì impietoso giudizio, a ben vedere, sarebbe solo la prima, quella che, già nelle parole derobertiane, contrappone frontalmente narrativa idealista e verista assegnando alla giurisdizione della prima la realizzazione dei Documenti Umani. E invece, come si dimostrerà, si tratta di una dicotomia che, enunciata provocatoriamente in una prefazione che discute di poetica, nella concreta realizzazione letteraria derobertiana viene meno, non risultando mai effettivamente operativa. A risultare operative, invece, saranno le altre dicotomie enunciate nella prefazione del 1888, e in modo più complesso di quanto lo stesso De Roberto non lasci trasparire; in modo tale, comunque, da non creare vera opposizione né a livello di visione del mondo trasmessa né tanto meno a livello di principio fondamentale che motiva e giustifica la sperimentazione tecnica della narrativa derobertiana tutta.

È d’obbligo allora riconsiderare la Prefazione ai Documenti Umani. Risulta certamente interessante il relativismo psicologico e antropologico cui De Roberto ricorre in questo saggio per legittimare tanto la visione ‘pessimista’ quanto quella ‘ottimista’ di un autore, e di conseguenza la scelta del ‘metodo naturalista’ o dell’‘idealista’ per rappresentare la realtà.251 Ma in quanto al piano della realizzazione narrativa, la dissertazione sembra poi non sfuggire, appunto, a una rigida impostazione dicotomica. Di più, sembra che De Roberto voglia stabilire un collegamento univoco fra gli elementi delle diverse dicotomie che classificherebbero la rappresentazione letteraria. Esistono due scuole, afferma De Roberto, la naturalista e l’idealista, cui corrispondono due opposte visioni del mondo, pessimista nel primo caso (l’uomo sarebbe governato soltanto dai propri istinti), ideale nel secondo (la dimensione ideale e sentimentale nell’uomo non sarebbe solo ‘sovrastruttura’ mendace ma realtà, tale da imbrigliare e sopraffare l’egoismo naturale). A queste due visioni antagoniste corrisponderebbe, a sua volta, la centralità assegnata alla narrazione della dimensione sociale dell’agire umano, dell’‘esterno’, o alla narrazione della dimensione interiore e soggettiva dell’uomo, dell’anima, dell’‘interno’; alla rappresentazione di aspetti tanto difformi della realtà corrisponderebbero, allora, due metodi letterari altrettanto difformi, quello dell’‘osservazione’ o ‘sintesi fisiologica’, e quello dell’‘analisi psicologica’. Ancora, secondo la tradizione letteraria già consolidatasi alla fine

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Cfr. la Prefazione a Documenti Umani in: F. De Roberto, Romanzi novelle e saggi cit., alle pp. 1629 e 1633.

degli anni Ottanta, all’osservazione naturalista corrisponderebbe la rappresentazione degli strati ‘bassi’, ‘infimi’ della società,252 mentre all’analisi psicologica idealista corrisponderebbe la rappresentazione dei sentimenti nobili, quindi dei più nobili livelli della scala sociale. Questo, almeno fino a quando non si realizzi il programma auspicato da Edmond De Goncourt: «fare della realtà

elegante»253, vale a dire applicare il metodo dell’osservazione impersonale agli strati alti della società; cosa che, tuttavia, non porterebbe propriamente alla ‘fusione’ fra scuole, se è vero che «molto probabilmente l’eleganza d’un naturalista dispiacerebbe agli eleganti di professione», perché «il naturalista avvezzo a veder brutto, troverebbe imagini [sic] brutte per dipingere le cose belle, come quel protagonista di Karl Huysmans il quale paragonava i fiori più smaglianti a piaghe, ad escrescenze, a erosioni patologiche».254 Se la lucidità straordinaria di una simile affermazione sembra già prefigurare il programma narrativo realizzato con I Viceré (e al contempo allude a quanto già intrapreso col racconto d’apertura della Sorte), riguardo agli ordini di problemi che stiamo analizzando adesso conferma, invece, quell’impostazione rigidamente dicotomica da cui deriverebbe logicamente una conseguenza: che i Documenti Umani, raccolta dell’analisi psicologica e dell’idealismo, dovrebbe presentare racconti in cui «si trovino soltanto passioni esaltate, caratteri nobili, azioni generose»,255 secondo la definizione di idealismo fornita da De Roberto stesso. Ma, anche solo a un’analisi superficiale, se i Documenti hanno a oggetto una realtà socialmente alta e raffinata e come metodo quello dell’analisi psicologica, non si può certo affermare che trasmettano una altrettanto nobile, ‘rosea’, visione dell’uomo e del mondo. Il principio in base al quale De Roberto stabilisce un’equazione, univoca solo sulla carta, fra idealismo e psicologismo da un lato, pessimismo e osservazione impersonale dall’altro, è quello, più volte ribadito, dell’inscindibilità fra metodo d’arte e visione del mondo che esso implica: «quando io ho scelto un argomento ho scelto nello stesso tempo, senza saperlo, il metodo col quale trattarlo […]. Seguire un sistema, in arte come in politica, importa negare certe cose e crederne altre, rinunziare a certe categorie d’impressioni e d’opinioni […].

252

A parere di De Roberto giustificata dalla maggiore nettezza di ‘tipi umani’ che si riscontra ai livelli bassi della scala sociale, in questo in opposizione col noto parere espresso al riguardo da Verga.

253

F. De Roberto, Romanzi novelle e saggi cit., p. 1634; si tratta della celebre intenzione espressa da Emile De Goncourt.

254

F. De Roberto, Romanzi novelle e saggi cit., p. 1634. 255

Realismo e idealismo sono al tempo stesso dottrine morali e metodi tecnici, sistemi filosofici e partiti artistici».256

Che una tecnica di rappresentazione letteraria trasmetta un puntuale significato, contribuisca a determinare una puntuale visione del mondo, è assunto centrale in De Roberto e al quale è d’obbligo riconoscere profondità di comprensione e modernità. Ma che una tecnica possa farsi latrice di una e una sola visione del mondo, è assunto che, preso alla lettera, non solo limiterebbe l’acume speculativo derobertiano, ma verrebbe appunto contraddetto dalle realizzazioni narrative che seguono la stessa Prefazione in cui questo principio è enunciato. L’equazione stabilita fra idealismo, rappresentazione dell’anima, metodo psicologico, come quella stabilita fra pessimismo, rappresentazione della società, metodo dell’osservazione impersonale, pretenderebbe di vincolare reciprocamente e univocamente elementi che fanno parte di tre diversi ordini logici: visione del mondo trasmessa dal messaggio di un’opera, livello di realtà che questa si propone di rappresentare, tecnica che sceglie per la propria rappresentazione. E sono appunto gli stessi Documenti Umani a contraddire l’asserita univocità di legame fra metodo e visione del mondo.

Del resto, una seria rivalutazione della produzione psicologista derobertiana inizia già fra anni Ottanta e anni Novanta del Novecento, non solo con la riflessione di Di Grado ma anche con quella di Rosario Castelli. Non mi riferisco tanto al giudizio espresso intorno all’Illusione. Questo romanzo, infatti, letto dalla critica come ‘primo capitolo’ della trilogia dedicata alla famiglia Uzeda, è da sempre riuscito a sfuggire al netto giudizio di condanna toccato invece alle precedenti raccolte dei Documenti e dell’Albero della Scienza, almeno per ciò che riguarda i suoi contenuti.257 Che fosse un romanzo di metodo psicologista, che trattasse dell’amore e avesse a oggetto la rappresentazione di classi sociali elevate, che al contempo non fosse affatto un romanzo ‘idealista’ nell’accezione di ‘idealismo’ fornita da De Roberto, è assunto esegetico non solo autoevidente e riconosciuto univocamente dalla letteratura critica derobertiana, ma chiarito dallo stesso autore che tre anni prima aveva scritto la Prefazione ai

Documenti Umani. Un giudizio positivo circa le raccolte psicologiste precedenti

al romanzo, invece, si ha solo a partire dagli studi di Di Grado e Castelli, e prende

256

Ibidem, p. 1630.

257

In quanto ad alcuni aspetti della forma, e soprattutto alla lunghezza del romanzo, ha infatti ricevuto aspre critiche già a partire dal suo primo recensore, Luigi Capuana.

implicitamente avvio dal presupposto che evidenziavo sopra: dalla scissione, appunto, fra metodo psicologista e visione del mondo idealista, e dal riconoscimento che la tematica amorosa e una narrazione soggettiva sono latrici, in De Roberto, della stessa visione pessimista trasmessa dalle opere in cui la narrazione seguirebbe i dettami ‘oggettivi’ del naturalismo. Castelli, in particolare, compie questa operazione nella lettura critica compiuta sull’Albero

della Scienza, nel segno di una programmatica rivalutazione di questo momento

della narrativa derobertiana, che rappresenterebbe a suo parere «una sorta di ‘giro di vite’ […] che assicurò allo scrittore alcuni risultati significativi, […] e soprattutto il primo serio tentativo di affrancamento personale dalla asfissiante ‘morsa del dottrinarismo’, dal mortificante giogo delle poetiche, […] in direzione, invece, di una sperimentazione espressiva che, a tratti, raggiunge vette altissime».258 Nell’Albero della Scienza, infatti, al di là delle paternità letterarie che si vogliano attribuire al filone psicologista intrapreso dall’autore, emergerebbe bene a parere di Castelli «quel fondo inquieto, quello specchio scuro, che è il pessimismo» tutto «derobertiano»:259 ogni racconto si presenta infatti «come un tassello di un mosaico che svela poco per volta la verità finale: la natura fallace e illusoria dell’amore».260 Soprattutto, però, l’«incessante esercizio analitico» di cui questi ‘tasselli di mosaico’ danno prova, in realtà non arriva veramente a «ricompo[rre] via via tutti gli interrogativi emergenti dalle pagine in un sistema di certezze, ma prefigura sviluppi letterari in direzione relativistica»,261 inaugurando una narrativa che porterà l’autore catanese ad esiti letterari di significativa modernità. Fondamentale, dunque, la presa di posizione di Castelli; che, tuttavia, non estende la propria rivalutazione e gli stessi parametri di lettura ai precedenti

Documenti Umani.

Questa, al contrario, è l’operazione critica che porterò avanti in tale sede, tentando di ristabilire il valore oggettivo attribuibile ai Documenti, risultato e al contempo prova del discorso sulla Weltanshauung derobertiana ricostruito sin qui. Soprattutto, però, ristabilire il significato e il valore del messaggio codificato dai

Documenti Umani significherà anche ristabilire il valore della forma narrativa,

meglio, delle forme narrative per cui passa tale messaggio. Questo sarà il primo

258

R. Castelli, Prefazione a: F. De Roberto, Albero della Scienza, Caltanissetta, Lussografica, 1997, p. 11. 259 Ibidem, pp. 17-18. 260 Ibidem, p. 25. 261 Ibidem, p. 26.

passo per definire la poetica realmente operativa in De Roberto, al di là delle più note e in qualche caso fuorvianti dichiarazioni di poetica esplicite consegnate dall’autore ai suoi scritti più noti.

3. Per una rivalutazione dei Documenti Umani: documenti di un

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