Alle radici del pensiero di De Roberto.
8. Il moderno nel Positivismo
Il discorso appena concluso non intende forzare o misinterpretare il valore storico delle correnti culturali e del ruolo che effettivamente ricoprirono nel loro tempo. Il sistema tainiano, nel suo complesso, è davvero rappresentante per eccellenza dello spirito positivista del secolo XIX. Al contempo, però, possiede anche implicazioni e potenzialità di sviluppo effettivamente appiattite o dimidiate nel processo di selezione e ricezione operato dalle successive generazioni storico- culturali, presso cui la lezione di Taine finisce spesso per essere consegnata a tesi vulgate, per loro natura monolitiche e monche. Ma si tratta di quelle implicazioni e potenzialità di sviluppo che, disperse nella coscienza dei posteri, nell’inquieta coscienza dei contemporanei del maestro potevano dimostrarsi in grado di
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Il collegamento stabilito da De Roberto nel Leopardi fra visione filosofica e esperienza personale va a confermare la tesi qui sostenuta, e, fra i molti esempi che si potrebbero citare al riguardo, si tratta certamente di uno fra i più espliciti e meglio argomentati; cfr. Leopardi cit., in particolare alle pp. 182 ss.
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produrre, invece, intuizioni in qualche modo anticipatrici delle scoperte che si affermeranno pienamente in epoca moderna.
Questo, per dire da un lato della complessità di quella stagione culturale che va sotto il nome di Positivismo, e che, come si è già tentato di dimostrare, non produce solo sistemi di pensiero rispetto ai quali il Moderno si presenterà come superamento, ma contiene già in sé, e nei suoi sistemi di pensiero (non solo nei suoi prodotti letterari), tante domande e tante potenziali risposte che caratterizzeranno il Moderno inteso come crisi. E, da un altro lato, per sottolineare anche quelli che restano comunque gli inevitabili limiti della stagione positivista e della reazione spiritualista che gli si accompagna. Perché altro è cogliere il concetto di vita psichica come divenire e poi ripudiarlo in blocco assieme alla filosofia materialista che lo fonda, per ripristinare e salvaguardare il sistema etico- morale della tradizione: è il caso appunto di Bourget. Altro è ridefinire la psicologia umana sulla base dei concetti di ‘divenire’ e di ‘determinismo’, e poi piegare il relativismo epistemologico che ne consegue a strumento per approdare ad una superiore rassegnazione filosofica, a giustificazione di un sistema che nel suo complesso si propone come scientifica visione onnicomprensiva del mondo: è il caso dello stesso Taine.189 Altro è, invece, di fronte allo stesso sistema di pensiero, intuire gli esiti cui portano i più moderni fra i suoi elementi costitutivi e forgiare su di essi la propria visione del mondo, tentando consequenzialmente di riplasmare i propri strumenti di rappresentazione della realtà: ed è il caso, questo, di De Roberto. Che darà vita a rappresentazioni letterarie naturalisticamente intese, sì, ma secondo una nozione di naturalismo davvero complessa, commista con la crisi di fine secolo di cui si fa sfaccettato specchio, e davvero porta aperta almoderno.
Per il concetto di relativismo, insomma, bisognerà fare un discorso analogo a quello fatto a proposito del Graindorge. Anche a prescindere dal valore
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Al proposito, si veda il già citato saggio bourgettiano su Taine, in cui l’affermazione della relatività tanto delle visioni pessimiste del reale quanto delle ottimiste è attribuita al filosofo quale strumento per approdare prima alla ‘fredda rassegnazione’, quindi a una superiore riconciliazione col ‘tutto’, nella convinzione che «cette désespérance» alla quale la propria, scientifica interpretazione del reale perviene «provient uniquement d’une disposition individuelle de notre esprit, et non pas des conclusions nécessaires de la science» (P. Bourget, Oeuvres complètes cit., p. 185, ma cfr. anche pp. 186 ss.). In definitiva, in Taine, e sicuramente nel Taine che arriva inizialmente a De Roberto attraverso l’interpretazione bourgettiana, il relativismo implicato dalla sua nuova psicologia si riduce a strumento che permetterebbe di superare l’impasse del pessimismo implicato dalla propria visione dell’uomo: tale preteso ‘pessimismo’ si ridurrebbe in definitiva ad una soggettiva, fallace reazione umana innanzi a ‘neutre’, inoppugnabili leggi di natura.
della lezione del Taine in sé, De Roberto si dimostra capace di cogliere nel suo magistero germi di modernità e importanti strumenti per la rappresentazione letteraria della realtà, che appunto deriva, in misura significativa, dalla visione tainiana accettata nel suo più anticipatrici implicazioni. E allora, alla luce di questo discorso, potremmo dire che se il determinismo è elemento importante per intendere i romanzi derobertiani, lo è non tanto perché le sue narrazioni mirino a dimostrare l’influenza dell’ereditarietà nella parabola di decadenza di una razza, lo è piuttosto come presupposto teoretico al limite soggettivo cui è condannata la visione mondo di ciascun suo personaggio. E ancora, se la teoria dei piccoli fatti struttura la narrazione derobertiana, non la struttura tanto come catena di eventi di cui si voglia anzitutto dimostrare la deterministica ‘fatalità’, la struttura piuttosto come flusso, divenire, continuum del pensiero, rispetto al quale l’espressione letteraria cercherà di trovare una propria, consequenziale mimesi. In De Roberto, insomma, e a un grado teorico di consapevolezza di cui l’attività giornalistica attesta davvero l’unicità entro la cerchia ‘verista’, emerge evidente la tendenza sotterranea di tutto il naturalismo italiano, soprattutto nelle sue prove migliori: il suo giungere, proprio partendo dai presupposti ‘scientifici’ di una rappresentazione letteraria ‘oggettiva’, alla rappresentazione della realtà come ineliminabile scontro e somma mai armonica di punti di vista soggettivi, parziali, insufficienti. Sono insomma le ‘consequenziali’ implicazioni insite nello stesso materialismo e nella stessa legge del divenire a produrre la crisi della scienza del secolo XIX; e a rappresentare, di più, la crisi nella scienza. Di questa cultura, e degli esiti filosofici e letterari cui porta, De Roberto è rappresentante davvero unico in Italia.
Certo, la lezione di Taine non è la sola a determinare la Bildung derobertiana. Anche sulla sola questione del relativismo fondato su un pensiero in ‘divenire’ e soggettivamente determinato, l’autore prosegue la propria indagine anche oltre la lezione tainiana, come attesta già la sola novella citata dai
Documenti Umani, e come si evince da argomentazioni analoghe a quelle presenti
nella novella e consegnate molti anni dopo ai saggi critici dell’Arte;190 ma
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In Donato del Piano, infatti, il narratore cita Taine quale modello centrale della propria riflessione, direttamente collegato alla concezione della vita psichica come ‘divenire’, ma, a proposito dello iato incolmabile esistente fra ‘impressione’ soggettiva del mondo e possibilità di una sua ‘espressione’ verbale, fa riferimento anche a sentenze di Bossuet ed Egger, e, ancora, cita Diderot e Stendhal. Sull’argomento, che già aveva iniziato ad affrontare nel 1885 recensendo lo studio Expression dans les Beaux-arts di Sully Prudhomme (Il problema del bello «Fanfulla della
l’impianto primo di una simile concezione epistemologica, e la prima spinta alla prosecuzione di tali ricerche, provengono incontestabilmente da Taine.
Il magistero di Taine rimane, poi, importante per comprendere un altro aspetto del pensiero, quindi dell’opera, derobertiana: la coesistenza, accanto alla matrice relativista, di un insopprimibile fondo nichilista nella sua concezione del mondo e dell’uomo. De Roberto, come ricorderemo, sottolineava bene negli articoli dell’‘84 questo aspetto del pensiero tainiano, sia quando si impegnava personalmente a scandagliarlo fra gli Appunti su Parigi e l’Intelligence, sia quando recensiva il saggio dedicato a Taine da Bourget. E anche Bourget insiste particolarmente sul nichilismo che si riscontra al fondo della filosofia tainiana, arrivando a constatare che «la définition même de la doctrine» tainiana «enveloppait-elle […] le germe du nihilisme le plus sombre et le plus irrémissible».191 In effetti anche di questo si compone l’opera di De Roberto: di un messaggio che al fondo è di un nichilismo ‘le plus sombre et le plus irrémissible’, la cui sconsolante visione antropologica proviene anzitutto da quella del Taine, da quella stessa visione che i ‘reazionari’ degli anni Novanta cercheranno di ‘ricondurre all’ordine’ del pessimismo antropologico del cattolicesimo, e di cui invece De Roberto sonderà tutta la miseria senza fingersi prospettive consolatorie. Una concezione dell’epistemologia umana di stampo relativista, e insieme una concezione antropologica al fondo nichilista che, come lo stesso De Roberto sostiene, rappresenterebbe l’ultima delle fedi: questa contraddizione, che non solo di Taine si nutre ma in Taine è sicuramente riscontrata da De Roberto, rimarrà viva e irriducibile nell’opera del catanese.
Come questi due aspetti contraddittori convivranno in modo fecondo nell’opera derobertiana, ce lo attesta, prima del capolavoro dell’autore, quel vero e proprio ‘cartone preparatorio’ del capolavoro che si rivela non La disdetta, della raccolta naturalista dell’‘87, ma Le due facce della medaglia, della raccolta ‘psicologista’ dell’‘88.
Domenica», a. VII, n. 38, 20 settembre 1885), tornerà diffusamente nei saggi raccolti nel 1901 nell’Arte, non solo in quello che riprende i materiali dell’articolo del 1885 (L’arte e la natura, in
L’arte cit., pp. 11-30), ma soprattutto nel saggio L’espressione nell’arte (ibidem, pp. 75-90), in cui
troviamo, oltre al già segnalato riferimento a Bergson, riferimenti ancora a Prudhomme, a Fechner, ad Amiel.
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9. ‘Verità tristi’, reazione e formazione di compromesso.
‘Le due facce della medaglia’ è una delle varianti con cui il concetto espresso da Taine nel Graindorge ritornerà nell’opera derobertiana, a designarne un aspetto fondamentale, a metà strada fra visione relativista e nichilista del reale, che si chiarirà al momento di affrontare il piano ‘tematico’ dei Documenti umani, fondamentale momento di traduzione letteraria delle principali tematiche della crisi su cui si attesta il pensiero derobertiano e, del pari, fondamentale laboratorio di sperimentazione tecnica per un autore che inizia a forzare gli strumenti della tradizione letteraria in funzione della visione epistemologica del reale che va maturando.
Rimane ora da affrontare un’ultima questione relativa al pensiero derobertiano, che ci fornirà un’altra, fondamentale chiave per interpretarne l’opera.
Fino a questo momento si è visto quale parte abbia Taine nella formazione del giovane De Roberto. L’epistola al Di Giorgi, ad apertura di capitolo, ce ne forniva un’ulteriore prova: De Roberto, nella sede non ufficiale della corrispondenza con l’amico, rifiutava la definizione di ‘scettico’, che il vocabolario culturale del tempo connette strettamente a quella di ‘dilettante’, e rivendicava per sé, piuttosto, la definizione di filosofo. La descrizione che De Roberto dà del termine ‘filosofo’ proviene, ancora una volta, da Bourget. E, ancora una volta, proviene dal saggio dedicato a Taine, impiegata per descrivere il particolare tipo di immaginazione propria al maestro, l’immaginazione ‘filosofica’ appunto: «Les traductions diverses, ou élogieuses ou hostiles, qui peuvent être données du mot philosophe se ramènent à la suivante: un esprit philosophique est celui qui se forme sur les choses des idées d’ensemble, c’ets-à-dire des idées qui représentent non plus tel ou tel fait isolé, telo u tel objet séparé, mais bien des séries entières de faits, des groupes entiers d’objets. […] C’est proprement le travail du philosophe de rechercher des lois de cette sorte, et d’élaborer des formules de cette espèce».192
Ma, come si evince dal saggio bourgettiano, e insieme dalle conclusioni dell’epistola al Di Giorgi, filosofo è colui che, comprese le leggi dell’umano agire e della natura tutta, non si indigna contro di esse, né ne può soffrire:
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comprendendo, può solo assecondarle e sollevarsi da ogni personale coinvolgimento. Infatti, come rileva Bourget, Taine ha certo avuto ‘ore di pessimismo’ «douloureusement éloquentes» innanzi alle tristi verità disvelate dalla sua scienza, ma la reazione su cui alla fine si attesta è quella ‘fredda rassegnazione’ che De Roberto segnala anche nella recensione del 1884. La soluzione che alla fine propone Taine si risolve infatti nel «conformer nos désirs à l’ordre des choses, au lieu de lutter contre cet ordre inévitable pour l’assujettir à nos désirs»,193 e in questa propspettiva il relativismo delle visioni viene ridotto a strumento che agevoli il raggiungimento di tale posizione: dimostra il carattere soggettivo del pessimismo rilevato nell’ordine delle cose, non insito nella natura.
Per quanto De Roberto ostenti, tanto nell’epistola al Di Giorgi, quanto in altre zone della sua opera, un superiore distacco e una fredda rassegnazione rispetto al doloroso nichilismo o al più doloroso e irriducibile relativismo cui vede condannata l’umana condizione, la disperata protesta o la feroce irrisione che si levano, potenti, dalla sua opera nell’atto stesso di rappresentare la condizione umana, non sono affatto in linea con la ‘soluzione’ tainiana rivendicata, modello su cui De Roberto tende senza potervisi in realtà attestare. Per la ‘reazione psicologica’ o filosofica del Taine innanzi alle ‘verità tristi’ della propria dottrina vale, insomma, un discorso analogo a quello su cui ci eravamo arrestati trattando dell’articolo su Renan, e della personale declinazione ‘tragica’ che la scoperta del relativismo produceva nell’autore. E questo perché De Roberto, prima che ‘filosofo’, rimane ‘poeta’, secondo la fondamentale partizione introdotta in un articolo fondamentale per intendere un ultimo nodo del suo pensiero, vera formazione di compromesso di cui si nutrirà tanta parte della sua opera, a cominciare, come anticipato, dai Viceré. Il conflitto appena segnalato fra fredda rassegnazione e irriducibile protesta riporta infatti direttamente a quel ‘conflitto delle interpretazioni’ apertosi attorno al romanzo già al principio del rifiorire dell’interesse critico attorno all’autore, e che torna oggi ad affacciarsi alla ribalta dell’esegesi derobertiana.194 E la chiave per risolvere tale conflitto, e insieme per
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Ibidem, p. 186. 194
Già Catalano, nel 1965, segnala infatti come il dibattito critico si fosse già focalizzato sulla questione dello ‘scetticismo’ derobertiano «per dibattere la valutazione di alcuni nuclei storico- ideologici della sua opera maggiore», e come, al proposito, «le più recenti discussioni critiche» si fossero «divise per così dire su due fronti (da una parte il Pomilio e lo Spinazzola, con la loro tesi storicistica sullo scetticismo derobertiano; dall’altra Baldacci, Tedesco, Grana, sostenitori invece d’un problemismo astorico, costitutivamente umano ed eterno, segnatamente nei Viceré) […]. Così, per il Baldacci lo scetticismo si identifica con la concezione d’un pessimismo radicale,
completare l’affresco del pensiero derobertiano sulla crisi, la fornisce l’articolo del 1889 dedicato sulle colonne del «Fanfulla della Domenica» all’opera poetica di Charles Leconte de Lisle.
metafisico, “mondano”, più netto di quello verghiano di cui sarebbe la logica esasperazione; mentre per il Pomicio diviene espressione sentimentale d’una passione storicamente frustrata, che riflette il fallimento della dell’idea risorgimentale nella totalità delle sue aspirazioni» (G. Catalano,
Riflessioni sul primo De Roberto cit., pp. 40-42; per le tesi sostenute da Spinazzola, Tedesco,
Grana, si rimanda alle rispettive opere citate al cap. II; per le tesi sostenute da Mario Pomilio, cfr.
L’antirisorgimento di De Roberto, «Le ragioni narrative», a. I, n. 6, novembre 1960, e Il silenzio di De Roberto, «Realtà del Mezzogiorno», a. I, n. 6/7, agosto-settembre 1961, poi raccolti in: M.
Pomilio, Dal naturalismo al verismo, Napoli, Liguori, 1962; per quanto riguarda le tesi di Luigi Baldacci, si veda: L. Baldacci, Letteratura e verità. Saggi e cronache sull’Otto e sul Novecento
italiani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1963, che raccoglie i precedenti articoli: Federico De Roberto (da “L’Illusione” a “I Viceré”), «Studi Urbinati», a. XXVI, n. 2, 1952; Il “mondo” in Federico De Roberto, «Il Veltro», a. V, n. 9/10, settembre-ottobre 1961).
La questione attorno al fondo nichilista o, al contrario, ‘engagé’ da attribuire al messaggio proposto da De Roberto nei Viceré è tornata alla ribalta degli studi critici in epoca più recente, strettamente connessa alla questione del genere letterario cui ascrivere il romanzo, a seguito degli interventi proposti da Margherita Ganeri nello studio Il romanzo storico in Italia. Il dibattito
critico dalle origini al postmoderno, Lecce, Manni, 1999, successivamente ripresi e approfonditi
in L’Europa in Sicilia. Saggi su Federico De Roberto, Firenze, Le Monnier, 2005. Su questa seconda fase del dibattito torneremo al momento di trattare specificamente dei Viceré.