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Alle radici del pensiero di De Roberto.

5. Sull’ininterrotta parafrasi di un stesso concetto.

Ma la reazione su cui De Roberto personalmente si attesta di fronte alla scoperta del relativismo universale è questione che approfondiremo soltanto dopo avere terminato di ridiscutere e ridefinire il concetto stesso di relativismo presente nell’autore.

È vero infatti che Renan ha costituito, agli occhi della critica, il referente primo e immediato del relativismo derobertiano, ed è vero che in alcuni luoghi l’autore non manca di definirsi ‘dilettante’, evocando un preciso modello epistemologico a legittimare la convivenza di opposte opinioni entro le proprie asserzioni. Ma è anche vero che De Roberto, ogni volta che si serve della nozione di relativismo, la accompagna a un preciso corollario argomentativo che vuole avere valore esplicativo nei confronti della nozione stessa.

Il ricorrere nel tempo di questo corollario di argomenti, cui sopra abbiamo già attribuito la funzione di ‘correttivo’ alla leggerezza ostentata dall’autore, catalizza l’attenzione su una nuova problematica collegata al relativismo derobertiano. Si ricordi l’explicit della recensione del 1886 agli Essais:

bisognerebbe intendersi sul senso della parola pessimismo […]. “Quando noi dunque diciamo d’uno scrittore che egli è un pessimista, intendiamo che la sua opera si riassume in un’impressione deprimente”. Se è così, i timori di contagio sono singolarmente esagerati, poiché l’impressione è per sua natura variabilissima, non solo in individui diversi, ma in uno stesso, da un momento all’altro. [...] I giudizi del Panzacchi e

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del Bourget158 sono entrambi legittimi, perché espressivi di due impressioni sincere quantunque contrarie. Pessimismo ed ottimismo sono, innanzi tutto, modi di sentire […]. A seconda delle disposizioni personali si conclude quindi, relativamente al valore della vita, in un senso piuttosto che in un altro, ma nessuna di tali conclusioni potrebbe avere un valore assoluto.159

Lo si confronti con quanto De Roberto dichiara (e non solo sulla scorta della prefazione di Maupassant a Pierre et Jean) a proposito della relatività dei giudizi espressi dai critici di professione:

Disgraziatamente, essi sono degli uomini come tutti gli altri, dotati di certe naturali tendenze, assuefatti a un certo ambiente, influenzati da mille circostanze permanenti o transitorie; ed è per questo che vedono in mille modi diversi.160

Questo ‘vedere in mille modi diversi’, al termine dei saggi sulla ‘malattia morale’ del secolo consegnati al «Giornale di Sicilia», autorizza De Roberto a tranquillizzare il lettore sugli effetti potenzialmente nefasti del pensiero negativo: riprendendo e sviluppando il concetto già proposto in apertura di trilogia, sostiene che

la personalità umana è così complessa, che la più triste persuasione è compatibile con la più viva speranza. Il pensiero è incessantemente mutabile e proteiforme; sfugge per ciò stesso ad ogni rigorosa qualificazione. Si è tristi e si è lieti, si piange e si sorride da un momento all’altro, per una ragione qualunque, spesso anche senza una ragione.161

Di qui alle affermazioni viste nella Prefazione ai Documenti umani, non c’è che un passo; come non c’è che un passo di qui alle affermazioni che De Roberto consegna al Giornale di bordo, cronologicamente anteriore al 1891:

Non è vero che le cose esistano per sé stesse. È il nostro [desiderio] che le crea, la nostra imaginazione che le vede, è il nostro animo che spira in esse un’espressione, che presta ad esse un significato. […] L’anima è il macchinista che, ad un colpo di fischietto, muta lo scenario: non s’ode stridore di carrucole, né fruscio di tele, ma lo spettacolo è trasformato del tutto.162

158

Qui De Roberto fa riferimento agli opposti giudizi formulati dai due intellettuali a proposito dell’opera di Stendhal: il Panzacchi non aveva accettato infatti l’inclusione di Stendhal fra i ‘pessimisti’, proposta da Bourget nella sua prima serie di Essais.

159

F. De Roberto, Psicologia contemporanea cit. 160

F. De Roberto, Letteratura contemporanea. La critica, «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 8 febbraio 1888.

161

F. De Roberto, Intermezzi. Una malattia morale (III), «Giornale di Sicilia», a. XXVIII, 28 luglio 1888.

162

In toni meno cupi, sicuramente più concilianti, si era espresso nel 1890 a conclusione dell’articolo sulla produzione del Rod, in cui, come si ricorderà, la visione pessimista risultante dalla sua opera veniva ricondotta ad una

serie di impressioni personali, soggettive, contradittorie [sic] come la vita stessa,

e dipendenti, in ultima analisi, dalla

disposizione iniziale dello spirito.163

E, fra i molti passi che potrebbero ancora citarsi, arriviamo a quell’apologo del 1898 con cui si è aperta la nostra trattazione, in cui, a giustificare l’asserzione che «tutte le opinioni sono legittime», De Roberto propone una spiegazione che sarà d’obbligo a questo punto richiamare.

Nel momento che le scrivo, il miliardo e tanti milioni di creature che popolano il mondo giudicano la vita, le passioni, gl’interessi ed i simili in un miliardo e tanti milioni di modi diversi; fra un’ora il loro giudizio sarà mutato; come concludere, pertanto? Quale sentenza, in mezzo a questo vertiginoso caleidoscopio delle opinioni umane, sarà così larga, così profonda,così immutabile da meritare l’universale consenso?164

A ben vedere, lungo tutto l’arco della riflessione derobertiana, ogni asserzione che chiami in causa il relativismo delle visioni e delle opinioni umane è puntualmente seguita da proposizioni esplicative che propongono un concetto sempre identico. E questo concetto, ogni volta enuclea le cause fondative del relativismo, non coincide se non con la reiterata parafrasi di un puntuale modello epistemologico che individuerebbe le modalità esatte e al contempo i limiti del meccanismo di conoscenza uomo/mondo. La nozione di relativismo universale dovrebbe venire a De Roberto anzitutto da Renan; eppure non proviene da Renan il nucleo di concetti alla base dell’epistemologia umana che De Roberto continuamente propone e impone al lettore. Si potrebbe guardare in avanti, a improbabili modelli protonovecenteschi, comunque incontrati e recensiti dall’onnivoro De Roberto; penso ad esempio a quel Bergson che compare entro l’orizzonte di interesse derobertiano a inizio Novecento, trattato o quantomeno citato sia nella produzione giornalistica sia in quella consegnata alla pubblicazione

163

F. De Roberto, Il senso della vita di E. Rod cit. 164

in volume.165 Questi concetti, tuttavia, si riscontrano già agli inizi della riflessione teoretica e culturale di De Roberto, e appartengono anzitutto a quella fase di

Bildung in cui gli articoli rivelano un’attenzione verso i nodi centrali della crisi di

fine Ottocento non paragonabile al più modesto taglio recensorio della maggior parte degli articoli a cui l’autore lavorerà all’inizio del nuovo secolo per il «Corriere della Sera». Converrà allora, piuttosto, guardare indietro, ai maestri ‘superati’ del Positivismo.

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