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Le tematiche della crisi: metodo positivo, nichilismo, relativismo nel

I temi della cultura della crisi La crisi nel Positivismo.

3. Le tematiche della crisi: metodo positivo, nichilismo, relativismo nel

In principio era Bourget, e l’interpretazione della crisi che Bourget forniva sulla scorta degli autori presi in esame nell’’83 e nell’’85. E in principio, per la ricostruzione della Weltanshauung di De Roberto, sono le due recensioni seguite rispettivamente a un anno di distanza dalle uscite delle due serie degli Essais. Recensioni intervallate, come si ricorderà, da quel saggio sul Graindorge di Taine

83

A. Di Grado, La vita, le carte, i turbamenti cit., p. 81. 84

P. Bourget, Oeuvres complètes cit., p. XIII. 85

che, a soli due mesi dal primo articolo dedicato a Bourget, dimostra da parte di De Roberto un precoce e personale assorbimento di molti punti fermi del dibattito sul Positivismo e sulla crisi morale di fine Ottocento.

Le recensioni agli Essais, infatti, non rappresentano un’operazione di semplice sunto delle analisi psicologiche e della relativa diagnosi culturale del ‘maestro’ Bourget. Sono, anzitutto, banco di prova di un metodo verso il quale De Roberto inizia decisamente ad orientarsi, e che infatti ritornerà in tutti quegli articoli prodotti a partire dall’’86 in cui farà di nuovo i conti, stavolta monograficamente, con quasi ciascuno degli autori trattati da Bourget nei propri saggi. Soprattutto, però, le due recensioni già attestano una tendenza che negli articoli ‘monografici’ troverà pieno sviluppo: la tendenza, in De Roberto, ad avvicinare le problematiche fondative della crisi di fine secolo non nella scia di una pedissequa imitazione bourgettiana, ma nel segno di una loro reinterpretazione e di una redistribuzione degli accenti cui seguirà una riflessione affatto personale.

Ma partiamo anzitutto dai debiti che De Roberto contrae in modo fecondo con Bourget. Il giovane siciliano, nella recensione del 1884, Psicologia

contemporanea, fornisce i risultati delle analisi psicologiche condotte dal maestro

francese su Baudelaire, Renan, Flaubert, Taine, Stendhal. A partire da questo nucleo di autori, De Roberto individua e illustra con mirabile spirito di penetrazione un primo nucleo di concetti destinati a giocare un ruolo determinante nella sua formazione.

Dal pensiero dei primi due autori, al di là delle differenze di percorso e atteggiamento opportunamente rilevate sulla scorta di Bourget, emerge un nodo concettuale che diventerà centrale per il giovane siciliano, e sul quale infatti non manca d’insistere da subito. Si tratta di una delle contraddizioni più acute determinate da quel vero ‘strappo nel cielo di carta’ della stagione positivista: il sussistere della «sensibilità religiosa», e, di più, del bisogno e dell’ansia di assoluto, del bisogno di risposte all’«enimma doloroso dei destini umani», dopo e a dispetto delle persuasioni scientifiche radicatesi nella coscienza dei grandi protagonisti della stagione del Positivismo. Baudelaire, non appartenendo alla schiera di «quanti […] si sono facilmente consolati della perdita della fede sostituendo al culto di Dio quello dell’Umanità, della Scienza […]», è intimamente minato «da una sensibilità religiosa che resiste agli attacchi del

dubbio e persiste anche quando la fede è morta». Questa terribile contraddizione, unita allo «spirito scientifico del suo tempo» che gli insegna ad «adoperare lo strumento dell’analisi contro sé stesso», lo porterà a invocare lo stordimento, e gli abusi del vizio, e, infine estenuato, l’«ultima liberatrice, la Morte».86

Se questo è il travagliato esito cui giunge l’esperienza baudeleriana, «complicato prodotto d’una civiltà raffinata», tuttavia l’«esempio più compiuto della permanenza della sensibilità religiosa nonostante le conclusioni scettiche della ragione, è quello di Ernesto Renan».87 Esempio più compiuto, anzitutto perché è proprio Renan uno dei maestri cui si rifà la generazione positivista francese e italiana, uno dei potenti filosofi che, applicando il metodo positivo e la «critica tedesca» alle scienze umane, portano il pensiero moderno alle ‘inoppugnabili’ conclusioni scettiche e pessimiste cui sembra tendere un’intero secolo.

De Roberto rileva questo dato generale in apertura del paragrafo conclusivo della recensione:

fatalismo, nihilismo, pessimismo: chiamate come volete la disposizione del loro spirito, unica è la loro fede nella inanità della vita, nel nulla eterno ed universale. In modo diverso, o rassegnato o disperato o indifferente, essi ripetono il credo sconsolante della filosofia del secolo.88

Sotto questo rispetto, allora, prima che a Renan bisognerà guardare all’opera dell’altro maestro del Positivismo, all’opera di Taine, cui va assegnata priorità di trattazione nella ricostruzione del pensiero derobertiano almeno per due ragioni. Anzitutto per il motivo evidenziato da De Roberto stesso, che vede proprio nel sistema di Taine «il saggio meglio riuscito» di quella «nuova sensibilità, che potrebbe chiamarsi filosofica», e che prende piede a partire dal fallimento della stagione romantica. «Il fatto è che una evoluzione s’è fatta nell’Anima contemporanea», spiega De Roberto. «Mentre il romanticismo non manteneva neppur una delle sue seducenti promesse, la scienza progrediva a passi di gigante e diffondeva il benessere con le sue meravigliose applicazioni. Gli spiriti sconfortati si rivolgevano ad essa, come ad un’unica via di salvazione. Il metodo sperimentale, quello che con tanto successo essa aveva posto in opera, doveva avere un’efficacia universale; di qui la sua applicazione alle scienze

86

F. De Roberto, Psicologia contemporanea cit. 87

Ibidem, p. 2. 88

morali, all’arte, da per tutto».89 E Taine per primo, in modo sistematico e onnicomprensivo, applica il metodo delle scienze fisiologiche ai fenomeni psicologici e umani della vita morale, arrivando a risultati rigorosi nel loro processo induttivo quanto sconcertanti; o almeno tali appaiono al giovane De Roberto che ne computa l’elenco:

Ai suoi occhi [di Taine] non v’ha altra importanza che quella dei fatti; bisogna dunque constatarne quanti più si può per trovare le norme da cui sono regolati. Da queste, si potranno successivamente indurre leggi ancor più generali, finché, passando da un’induzione ad un’altra d’ordine più elevato, la Natura stessa apparirà come una semplice formola astratta. Questa formola è quella del divenire: nulla esiste di fisso, di concreto, tanto nella materia quanto nella coscienza; non v’ha che un continuo, perenne succedersi dei fenomeni, ciascuno dei quali ha la sua ragione in quelli che lo hanno preceduto. Il libero arbitrio non è meno chimerico della generazione spontanea; un

determinismo universale presiede allo svolgimento dei fatti fisici e morali.90

Il determinismo, la gran legge del mondo morale che determina una rivoluzione tanto nell’etica, quanto nell’arte, non è dunque solo dimostrazione scientifica dell’inesistenza del libero arbitrio, questione che diverrà di qui a poco fondamentale per il dibattito filosofico e soprattutto politico europeo, ma è assunta dall’interpretazione di Bourget, e, più, da quella di De Roberto, come ‘dimostrazione scientifica’ della vanità del tutto, fondamento al nichilismo del secolo risultante dall’osservazione positiva della vita morale e psicologica. Tale assunto, meditato e pienamente acquisito, rimarrà d’importanza centrale nella visione del mondo che De Roberto si va forgiando in questi anni, dunque nella produzione letteraria che si fonderà su tale visione; al momento basti citare, a titolo di prova, l’impostazione che verrà data nel 1891 a quel «monologo di 450 pagine»91 che è L’Illusione, della quale, nella nota epistola al Di Giorgi, l’autore indica appunto la fonte nel sistema tainiano.92

Ma, com’è noto, non è questo l’unico fra gli assunti attorno a cui si costruirà il pensiero derobertiano. E infatti la seconda ragione che mi spinge a trattare solo dopo Taine il ‘primo incontro’ fra De Roberto e Renan, o almeno il primo riscontro documentario dell’avvenuto incontro fra il nostro e il secondo maestro del positivismo europeo, sta nel fatto che questi sembrerebbe 89 Ibidem, p. 3. 90 Ibidem, p. 3. 91

F. De Roberto, Romanzi, novelle e saggi cit., p. 1733; la citazione è riportata dall’epistola a Ferdinando di Giorgi del 16 ottobre 1891.

92

Mi riferisco all’epistola a Ferdinando Di Giorgi del 18 luglio 1891, inclusa in: ibidem, pp. 1730- 1732.

rappresentare una tappa idealmente successiva a Taine nella Bildung derobertiana di questi primi anni Ottanta: sembrerebbe essere avvenuto grazie a Renan quello che potremmo definire il ‘passaggio dal nichilismo al relativismo’. Più delle persistenti convinzioni nichiliste, la ‘scoperta’ del relativismo sarà destinata a giocare in De Roberto un ruolo fondamentale, nel suo pensiero come nella sua opera, nei temi che tratterà come nel modo specifico che sceglierà per trattarli. Su questo punto credo la critica possa considerarsi unanimemente concorde. Quello che sarà necessario dimostrare, invece, è lo specifico accento assunto dal relativismo di De Roberto, e soprattutto il canale specifico dal quale gli deriva tale concetto, che a mio avviso si rivela vera conditio sine qua non della sperimentazione tecnica derobertiana. Sarà dunque necessario procedere per gradi.

Come nel caso di Taine, De Roberto ricostruisce il saggio bourgettiano dedicato a Renan cogliendo in modo lucido la specificità dei risultati, anche questa volta sconcertanti, cui ha portato l’applicazione del metodo positivo alle scienze umane, e nello specifico alle scienze storiche. Se in Renan la fede crolla sotto i colpi del «movimento scientifico del secolo» e della «critica tedesca», permane, come visto, la sensibilità religiosa e l’aspirazione all’assoluto, unita a un mai sopito interesse per «l’enimma doloroso dei destini umani». E l’attività del filosofo francese, che si dedica alla stesura delle Origini del Cristianesimo, viene così riassunta da De Roberto, e così ne viene indicato il risultato in termini di acquisizione epistemologica di validità generale:

quante soluzioni non si sono tentate, in tutti i tempi, presso tutti i popoli? Quante forme non sono state date alla Divinità? Dov’è dunque la verità? Poiché nessuno può dirlo, poiché nessuno mai lo dirà, egli conclude che bisogna considerare con un profondo rispetto queste varie forme, in cui tanta parte dell’umanità si acqueta.

Allora, questo stato di coscienza caratteristico dell’epoca presente si complica. Dal rispettare le diverse forme della Divinità ad ammetterne la legittimità, non c’è che un passo. Tutto ha una ragione, in tutto v’ha un lato di verità. Egli piglia il buono dove lo trova, fatto accorto che l’assoluto non esiste, che tutto è relazione, che da una recisa affermazione, per gradazioni insensibili, si può passare ad una affermazione contraria e non meno recisa.93

Dall’applicazione delle scienze positive al mondo morale e psicologico, il più radicale nichilismo; dall’applicazione delle scienze positive allo studio delle forme storiche e culturali, il più radicale relativismo, che procede oltre il nichilismo stesso quale schema valido per l’interpretazione del Tutto. Tornano

93

alla mente le parole che Ojetti rivolgerà, ma solo nel 1900, a De Roberto: «il tuo scetticismo non si riassume più nel Tutto è niente ma nel Tutto è uguale».94 Sentenza che, in accordo con la predilezione del nostro autore per i proverbi, coglie in modo perfetto e al contempo sintetico il nodo principale della sua

Weltanshauung, di cui già agli inizi della sua formazione vediamo le tracce. Il

relativismo si configura infatti quale ultima tappa di un’indagine attorno all’esistenza e all’uomo entro la quale il nichilismo rimane ancora un pronunciamento di ‘fede’.

Prima di verificare su documenti posteriori all’‘84 la piena maturazione di una simile impostazione, vorrei però subito porre l’accento su due elementi di merito dell’indagine bourgettiana, prontamente colti ed ereditati in forma duratura da quella di De Roberto. Da un lato, un’impostazione che mira e riesce a storicizzare puntualmente risposte a ‘enimmi’ che si proporrebbero, per loro stessa natura, come metastorici. Vedremo quanta influenza avrà un simile atteggiamento nel codificare, sul piano della creazione narrativa, anche i più metastorici fra i messaggi derobertiani. Dall’altro lato, la capacità dimostrata da Bourget, e pienamente recepita da De Roberto, di cogliere l’origine della crisi di fine Ottocento nel Positivismo stesso, piuttosto che di ridurla a crisi del Positivismo; in questo, anticipando le discussioni che divamperanno dalle colonne della «Revue des deux mondes» a partire dagli anni ‘90 e cui pure guarderà il dibattito italiano sviluppandone temi e proseguendone polemiche.

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