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Sulle conclusioni di un pensiero che non può concludere.

4. Dalla reazione alla soluzione.

La ricostruzione derobertiana del 1889 non termina però lasciando la figura di Leconte de Lisle attestata su una posizione di ‘disperazione ineffabile’, di ‘angoscia mortale’: non è questa l’ultima tappa intellettuale dello spirito ‘più conseguente’ e ‘meno filosofico’ del poeta francese.

È, anzi, con la zona conclusiva del saggio su Leconte che idealmente potrebbe aprirsi la trattazione dell’ultimo argomento inerente la ricostruzione del pensiero derobertiano ‘della crisi’.

La formazione di compromesso è, certo, a livello teoretico e speculativo, davvero l’ultima parola cui perviene il sistema dell’autore catanese. Non v’è nulla di più lucido, e coerente, e insieme umano, dell’accettare razionalmente gli esiti terribili del materialismo e del relativismo, e dell’accettare insieme il sussistere di aspirazioni e bisogni già dimostrati illusori dalla ragione.218 Non v’è nulla di più lucido e insieme, come ricorderemo, non v’è nulla di più doloroso di una simile condizione, come De Roberto dichiarava al termine dell’ultimo apologo della raccolta del ‘98 che, a questa altezza del nostro discorso, rivela tutto il suo valore emblematico, quale momento di sintesi e condensazione di un intero pensiero.

Come tutte le formazioni di compromesso psicologicamente intese, anche questa può essere vista come momento di equilibrio precario, soluzione provvisoria, sulla quale attestarsi in via definitiva risulta, oltre che strutturalmente difficile, emotivamente doloroso. Ma, fatta la parte delle difficoltà teoretiche e psicologiche implicate da tale formazione di compromesso, e che infatti spingeranno il ‘secolo della crisi’ a ripiegare verso posizioni più consolatorie o più compromissorie, abbracciando vecchie e nuove fedi in grado di restituire un fine all’umano agire e una risposta al bisogno di sapere,219 andranno fatte le parti

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È frequentemente proposto da De Roberto, tanto nella produzione saggistica quanto in quella narrativa, il concetto secondo cui l’illusione, di qualunque natura essa sia, sebbene distrutta da amari disinganni è destinata fatalmente a risorgere nell’animo umano, rendendo inevitabile la catena di disillusioni a cui l’uomo va incontro. È questo il principio ‘antropologico’ che determina il susseguirsi di esperienze amorose nella vita di Teresa Duffredi (L’Illusione), ed è anche il principio che spingerà la contessa Fiorenza d’Arda a cercare la morte (Spasimo), giudicato unico argine e deterrente al risorgere dell’illusione che determinerebbe per la donna una ennesima ‘caduta’.

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Al proposito, si pensi non solo al già discusso ritorno all’ordine e al cattolicesimo di tanti intellettuali europei di fine dell’Ottocento, ma si consideri anche il dilagare a macchia d’olio, in questo stesso periodo, di un fenomeno quale lo Spiritismo, che, non a caso, suggestionò gli strati medi e alti della popolazione europea. Un numero altissimo di personalità appartenenti alla classe

delle difficoltà pratiche che comporta l’attestarsi su una simile posizione. Se infatti il coraggio teoretico dell’intellettuale poteva arrivare a convivere con l’accettazione della morte degli Dei, si ricorderà che gli stessi maestri della crisi non negavano la responsabilità delle ricadute della propria dottrina sul piano etico, innanzi alla storica emergenza sociale di fine Ottocento. Tali responsabilità, si ricorderà, erano implicitamente ammesse tanto da Renan quanto da Taine, se in questa chiave si vogliono leggere i suoi tentativi di rifondazione della morale su basi laiche, pienamente bocciati da Brunetiére e dalla «Revue». Il ritorno alla fede, alla sanzione trascendente, alla regola morale, era infatti vista da tanta parte degli intellettuali e della classe dirigente dell’epoca quale unica garanzia di ordine sociale. O comunque era la fede l’unica strada praticabile di fronte alle ‘soluzioni’ proposte dai predicatori della fede opposta, la nichilista. Tra i due estremi antitetici, il secolo XIX, certo, vagliò una pluralità di risposte, indicò un ventaglio di strade alla risoluzione dei problemi enormi aperti dal materialismo e dal relativismo positivista: una pluralità di colori intermedi fra gli opposti appena evocati, eppure tutti gravitanti, alla fine, nell’orbita dell’uno o dell’altro.

Soluzioni molteplici, queste, tutte vagliate, discusse, affrontate dal De Roberto saggista e recensore, in momenti diversi e con diverso. Prescindendo dall’analisi dei toltoijsmi, dei nietzschianesimi, e in generale dai sistemi affrontati e ugualmente ribaltati nella rassegna del Colore del tempo, intendo qui affrontare le soluzioni alla crisi proposte dai principali rappresentanti dell’epoca, e ugualmente vagliate da De Roberto, attraversando in via esclusiva la produzione giornalistica dell’autore, e in particolare un numero ristretto di articoli rappresentativi dell’atteggiamento derobertiano innanzi alle opzioni fondamentali

dirigente, intellettuale, scientifica, finì per prestare fede a fenomeni che si voleva cadessero sotto il dominio dei sensi (apparizioni di presenza spiritiche, trasmissione del pensiero a distanza, telecinesi, poltergeist, ecc…), e che al contempo dimostravano l’esistenza di una realtà ‘altra’ rispetto a quella materiale e ‘materialistica’ della scienza del XIX secolo. Si trattò, dunque, di una vera e propria formazione di compromesso culturale fra bisogno di tornare a credere in una realtà ‘trascendente’ e imperativo razionale di doverlo fare solo ricorrendo a quel metodo d’indagine positivo che la cultura ottocentesca aveva posto come conditio sine qua non per la fondazione di qualunque tipo di conoscenza e di ‘verità’. Questo, dunque, sarebbe il retroterra culturale che rende ragione della produzione di letteratura fantastica e spiritica in questa seconda metà dell’Ottocento. Al proposito, rimando ai testi, e ai relativi apparati di note presenti in: C. Gallini,

La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nell’Ottocento italiano, Milano, Feltrinelli,

1983; S. Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra

Otto e Novecento, Roma, La Fenice, 1996; S. Cigliana, Introduzione a: L. Capuana, Mondo occulto, Catania, Edizioni del Prisma, 1995. Mi sia consentito rimandare anche ai miei studi in

proposito: A. Loria, La voluttà di creare: teoria dell’arte e spiritismo nell’ultimo Capuana, in «Filologia antica e moderna», XVI, 30-31, 2006, pp. 301-318; A. Loria, Luigi Capuana: “Un

proposte dal secolo XIX. Tale analisi permetterà di constatare non solo che l’intero ventaglio delle soluzioni proposte all’epoca era presente all’attenzione e alla riflessione derobertiana, ma soprattutto che questo entra interamente nella sua opera, e che, in definitiva, non si può parlare di rechute ideologica di De Roberto prima della Messa di nozze o, meglio ancora, di alcune delle novelle di guerra. La presenza nell’opera derobertiana, a partire dalla fine degli anni Novanta, di alcune tematiche tradizionalmente collegate a un moto di ‘ritorno all’ordine’ non è, infatti, un dato specifico di questi anni: è registrabile la stessa presenza già all’epoca delle prime prove letterarie, in particolare nei Documenti umani, in cui coesiste con altre tematiche, rappresentative delle opposte soluzioni (e delle più nichiliste) proposte alla crisi dalla cultura di fine Ottocento. Sorta di specchio del travaglio culturale degli anni Ottanta e insieme banco di prova per le future sperimentazioni, tale raccolta sarà necessaria a dimostrare l’indipendenza, entro l’opera derobertiana, delle tematiche della rechute dall’ideologia della rechute. Questa emergerà, a livello letterario, soltanto quando in De Roberto cesserà l’ansia sperimentale, la quale per contro coinciderà sempre con una visione del mondo improntata a un relativismo radicale.220

Per quanto riguarda infatti il sistema di pensiero cui perviene in questi anni, il ‘proprio’ di De Roberto risiede nella formazione di compromesso, nell’angoscia del poeta, nell’accettazione dolorosa, nella ribellione impotente, e la sua scrittura migliore vivrà di questo, al pari di quella flaubertiana, al pari dei poemi di Leconte. La ricerca delle soluzioni, certo, si imporrà come necessità cui lo chiama il clima generale che si impone nel secolo XIX e le spaventose questioni sociali che sembravano essere state aperte dalle verità terribili del Positivismo. Ma questo vaglio delle soluzioni, questa ricerca inquieta che si riverserà anche nella sua opera, almeno al livello ontologico non tradirà mai lo spirito della formazione di compromesso su cui l’autore si era attestato sin dall’inizio della propria ricerca intellettuale. Riconoscere la legittimità della protesta dell’uomo innanzi a quelle che, per quanto tristi, rimangono verità che non si può né i vuole contestare, implica infatti una presa di coscienza della questione della crisi in tutta la sua interezza, e la scelta, fin dall’inizio, di non

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E infatti né per l’incompiuto Imperio né per Spasimo (opere in cui è evidente sia l’ansia sperimentale sia un’impostazione fortemente relativistica) si può ancora parlare di rechute, come ha tentato invece di dimostrare parte della critica precedente. Rimando la discussione delle due opere ai capitoli seguenti.

scendere a compromessi con visioni più accomodanti proprio perché meno vere. E, teoreticamente, significa dunque attestarsi sulla posizione opposta rispetto a quella, accomodante, guadagnata dalla parte maggiore dell’Ottocento, a partire almeno dagli anni Novanta del secolo. Una posizione opposta cui De Roberto, vedremo, non verrà mai meno.

5. La difficile ricerca delle soluzioni: annientamento della Volontà o

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