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Una delle più discusse questioni emerse dall'approvazione del disegno di legge, attiene alla sua combinazione con la legge elettorale n.52/2015, c.d Italicum. Si rileva che seppur, come sostiene parte della dottrina favorevole alla revisione costituzionale le due leggi debbano essere considerate a parte, anche per il diverso grado di fonte (legge or- dinaria e legge costituzionale), è evidente l'importanza che assume la lagge elettorale per la nostra forma di governo, la determinazione del- l'indirizzo politico e la realizzazione di molti istituti previsti dalla Co- stituzione. Si tratta di una legge “sostanzialmente” costituzionale, pur avendo forma di una legge ordinaria. Il Parlamento così formato, in base alla legge elettorale, in rappresentanza del corpo elettorale e in nome del popolo, procederà ad importanti nomine ed elezioni attribui- tegli dalla Costituzione: Capo dello Stato, giudici costituzionali, mem- bri del csm; oltre che procedere alla modifica della costituzione. Per questo la riforma elettorale spesso va di pari passo con la riforma della legge elettorale.

Numerose sono state le polemiche che hanno accompagnato l'iter di approvazione di questa legge, dovute al particolare procedimento uti- lizzato: tra sostituzioni di alcuni componenti della commissione, a di- scussioni in assemblea risolte con l'approvazione di emendamenti per- missivi (supercanguro201) fino alla scelta di approvare la legge attraver-

201 Tale tecnica, generata dalla prassi, impone una sorta di votazione finale, che poi obbliga i parlamentari ad adeguarvisi nelle successive votazioni articolo per arti- colo.

so l'imposizione della questione di fiducia sul teso. Gli unici precedenti di questioni di fiducia in materia elettorale risalgono ai casi della legge Acerbo e della legge “truffa”, nel tempo si era consolidata la prassi parlamentare che escludeva di porre la fiducia in caso di materia eletto- rale; in oltre nella proposta di riforma del regolamento della Camera dei Deputati si prevede espressamente che la questione di fiducia non può essere posta su progetti di legge costituzionale ed elettorale, nono- stante ciò la Presidente della Camera non ha nemmeno acconsentito alla richiesta di investire la giunta per il regolamento.

Si riportano le linee che caratterizzano la legge al fine di dimostrare come, secondo una parte della dottrina e ormai dell'opinione pubblica, possa incidere sul mutamento dell'attuale ordinamento in combinazio- ne con la revisione costituzionale proposta dal Governo Renzi. Innan- zitutto, alla lista che arrivando prima ottiene il 40% dei voti validi ven- gono attribuiti i 340 seggi (ossia il 54% dei seggi disponibili alla Ca- mera). Se nessuna lista raggiunge il 40%, si svolge un secondo turno di ballottaggio tra le due liste più votate (quale che sia la percentuale da essa ottenuta al primo turno, purché superiore alla soglia di sbarramen- to fissata al 3%: non c'è una soglia minima di accesso al ballottaggio). La lista che vince il ballottaggio conquista 340 saggi. I restanti seggi, a prescindere dal ballottaggio o no, vengono ripartiti, in proporzione ai voti presi, tra le altre liste che superano la soglia di sbarramento del 3%. Un premio di maggioranza così delineato è chiaramente eccessivo, se si pensa inoltre a quanto affermato dalla sent.1/2014 della Corte co- stituzionale ossia che la legge elettorale può agevolare e non assicurare la governabilità e che tra le varie scelte tecnicamente possibili, va scel-

ta quella meno disproporzionale. Per quanto riguarda la soglia di sbar- ramento, accedono alla ripartizione dei seggi solo le liste che abbiano ottenuto il 3% dei voti validi. Non è invece prevista alcuna soglia mini- ma per accedere al turno di ballottaggio. In aggiunta la nuova legge elettorale prevede all'art.2, ottavo comma, “i partiti politici o gruppi po- litici che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome il cognome della persona loro indicata come capo della forza politica”, in tal modo l'elezione per il Parlamen- to si trasforma nell'elezione del Presidente del consiglio dei ministri in contrasto con l'art.92, secondo comma, Cost. che affida al Presidente della Repubblica la sua nomina. Infine, si prevede che l'Italia sarà divi- sa in cento collegi, ogni collegio eleggerà da tre a dieci deputati. In caso di conquista di seggi da parte di una lista in un collegio, il primo seggio viene assegnato al capolista. Solo in caso di conquista di più seggi si passa al conteggio delle preferenze. Ogni capolista potrà pre- sentarsi in più collegi fino ad un massimo di dieci. Secondo i contesta- tori di questa legge, con i capilista bloccati e le candidature plurime si otterrà che il 60-70% dei deputati risulterà non eletto, ma nominato dai partiti attraverso la collocazione “a capo della lista”.

I caratteri della legge elettorale richiamati consegnerebbero la Camera nelle mani del leader del partito vincente nella competizione elettorale, c'è in oltre da tenere in considerazione che con la riforma costituziona- le solo la Camera darà la fiducia al governo. Tracciate le linee della legge elettorale, solo per quei punti che hanno destato perplessità in combinazione con la riforma costituzionale, si è osservato che il risul- tato sarebbe un esecutivo rafforzato e considerata l'elezione di secondo

grado prevista per il Senato, si configurerebbe un Parlamento per buo- na parte composto da non eletti.

La risposta prevalente a questa critica è che ci sono altri sistemi eletto- rali nelle democrazie europee che producono risultati simili (ossia par- titi che ottengono la maggioranza dei seggi pur avendo consensi molto inferiori al 50 per cento). L’esempio che si fa di solito è quello del Re- gno Unito, dove nel maggio del 2015 il partito conservatore di David Cameron ha ottenuto il 36,9 per cento dei voti, conquistando 329 seg- gi, cioè più del 50 per cento dei 650 membri della Camera dei comuni. Il sistema inglese è un “vero” maggioritario: il paese è diviso in 650 collegi in cui si affrontano i candidati delle varie liste. Chi ottiene la maggioranza dei voti viene eletto. In inglese viene definito “first past the post”, ossia il primo prende tutto. È un sistema considerato spesso poco democratico, perché trascura i voti dei partiti più piccoli. Lo UKIP, per esempio, ottenne più del 12 per cento dei voti, ma per via del sistema maggioritario prese un unico seggio. A differenza del siste- ma inglese, l'Italicum pone un limite preciso alla sovrarappresentazio- ne (a parte il requisito del quorum o del ballottaggio): essa non è frutto del caso ma di una scelta libera degli elettori, oltre al fatto che il siste- ma italiano garantisce un largo pluralismo rappresentativo data dalla bassa soglia di sbarramento del 3% .

La riforma costituzionale e la legge elettorale sono entrambe frutto di un'unica strategia di politica istituzionale voluta dal Presidente Napoli- tano, invocata il 22 Aprile 2013 e rilanciata da Renzi. Inoltre la conte- stualità della legge elettorale e della riforma costituzionale andrebebro accolte con favore on quanto hanno un unico obiettivo: dare ostituzioni

politiche più solide ed efficaci al nostro ordinamento politico-istituzio- nale. Tale impasse istituzionale è peggiorato a partire dalle prime ele- zioni svolte con la legge elettorale Mattarella, per poi susseguirsi nel 1996, 2006 e infine 2013: tutte elezioni in cui la svolta maggioritaria non si tradotta nello stesso modo in entrambe le camere facendo emer- gere a sua volta la difficoltà del doppio rapporto fiduciario. Così la leg- ge elettorale 52/2015 tiene conto non solo della funzione rappresentati- va trascurando anche la funzione governativa, ossia l'esigenza che il voto non dia solo la voce alle diverse componenti politicamente orga- nizzate della società, ma produca anche un governo, stabile, omogeneo ed efficiente. Nonostante tale ultimo obiettivo, l'italicum non modifica, sottobanco, la forma di governo: il Presidente del Consiglio dei mini- stri era e resta primus inter pares, ma avrebbe un maggior peso la pro- pria legittimazione con conseguente influenza politica.

CONCLUSIONI

Come abbiamo potuto vedere nel corso della trattazione non pochi sono stati i tentativi di revisione della Costituzione, ognuno dei quali ha cercato di proporre soluzioni che avrebbero permesso di giungere ad un bicameralismo differenziato garanzia di stabilità e di governabi- lità. Diversi sono stati i metodi utilizzati così come diversi sono gli or- gani che hanno dato avvio.

Per quanto riguarda i primi, nel particolare le commissioni bicamerali, sono state istituite rispettando l'idea, che agli inizi degli anni novanta si faceva spazio, in base alla quale l'art.138 Cost., sarebbe stato necessa- rio solo per modifiche “puntuali”, mentre in caso di proposte ampie ed organiche di revisione costituzionale, queste avrebbero dovuto trovare il loro fondamento in una rinnovata Assemblea costituente. Su queste basi furono istituite la Commissione bicamerale Iotti e D'alema quale via di mezzo tra l'art.138 cost. e l'Assemblea costituzione, implicando però una deroga all'art.138 cost stesso: l'obbligatorietà del referendum costituzionale, anche in caso di approvazione del testo con la maggio- ranza qualificata dei due terzi. In questo modo il referendum cessava di essere uno strumento facoltativo utilizzabile in caso di dissenso, per trasformarsi in una forma di plebiscito di conferma della approvazione parlamentare202. Dall'altra i comitati di studio, che come per le bicame-

rali, non hanno avuto seguito, tranne nel caso della proposta avanzata dal Governo Berlusconi che ha portato all'approvazione del disegno di

legge n.2455 per poi essere successivamente bocciato al referendum costituzionale del 2006.

Per quanto abbia avuto modo di riscontrare, la difficoltà di giungere ad un testo completo e alla approvazione nelle proposte di iniziativa par- lamentare è insista nella gestione degli equilibri politici che accompa- gnano la proposta dalla volontà comune iniziale che poi si dipana, vuoi per l'approssimarsi delle elezioni politiche, vuoi per la caduta di un go- verno. Dunque, da una parte si ritiene indispensabile che la revisione costituzionale vada condivisa con la maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento, dall'altra i tempi hanno dimostrato la difficoltà funambolica di queste proposte, giacché poste sul filo degli equilibri politici più che istituzionali.

Infatti, ad oggi, le uniche proposte che sono riuscite a concludere il procedimento di approvazione nelle due Camere sono: la legge costitu- zionale n.2455/ 2005 e l'attuale riforma, la legge costituzionale n.88/2016.

Per quanto riguarda i contenuti, l'obiettivo principale di questi inter- venti è senza dubbio il superamento del bicameralismo paritario e la ri- cerca di un sistema capace di garantire la stabilità e la governabilità. Questa esigenze emerge sempre più chiaramente dopo l'entrata in vigo- re della legge elettorale Mattarella, maggioritaria, che non riesce a tra- dursi nello stesso modo nelle due camere, per poi complicarsi ancor di pi con la legge elettorale 270/2005, c.d Porcellum. Con quest'ultima legge elettorale, le due Camere sono composte da maggioranze, che seppur non diverse una dall'altra, si reggono sul filo di un rasoio, cosic-

ché la doppia fiducia risulta essere, più che una garanzia, una minaccia alla tenuta del sistema.

Altro dato da tener a mente è la legge costituzionale 3 del 2001, la ri- forma del titolo V – essa stessa era originariamente parte di un più am- pio ridisegno delle istituzioni, che prevedeva modifiche anche nella forma del governo e non solo dello Stato – in quanto risulta essere il punto di partenza per i successivi tentativi di riforma della costituzione al fine di completare il percorso di revisione mancato rendendolo più omogeneo.

Ebbene, nonostante ogni tentativo di revisione costituzionale nasce con un intento politico diverso – che si riflette sia sull'intera struttura della riforma che nelle sue diverse articolazioni tematiche – è possibile ri- scontrare alcuni elementi comuni a tutte. Parte integrante delle idee di riforma predispone come strumenti per superare il bicameralismo pari- tario la riformulazione dei compiti, la modifica della composizione, e della rappresentanza, della seconda camera, il Senato. Vediamo come vengono attuate.

Innanzitutto, le soluzioni promosse per giungere ad un bicameralismo differenziato si basano sulla modifica del rapporto fiduciario, preve- dendo che questo si instauri solo tra la Camera dei Deputati – organo di indirizzo politico – e l'Esecutivo e, oltre a ciò, sulla divisione delle funzioni, legislativa e di controllo, tra le due Camere.

Alla Camera dei Deputati, dunque, viene affidata la funzione legislati- va: il procedimento legislativo diviene monocamerale, o a prevalenza monocamerale (tranne che per le leggi costituzionali e di revisione co-

stituzionale) prevedendo, quindi, per il Senato un ruolo solo concorren- te alla prima Camera, e nell'interessi che riguardano la sua composizio- ne.

Per quanto riguarda il Senato, invece, quale organo di garanzia, viene affidata la funzione di controllo. Non avendo più un ruolo di indirizzo politico, data la diversa composizione, l'Esecutivo è slegato dal rappor- to di fiducia con la seconda Camera.

Per quanto riguarda il carattere della seconda Camera diverse sono sta- te le soluzioni proposte: ora nell'ottica di un regionalismo rinforzato, ora in quella di un federalismo. In ogni caso la l'intento che emerge dai diversi tentativi di revisione il Senato diventa l'organo di rappresentan- za delle istituzioni territoriali, ora integralmente, ora invece preveden- do una composizione mista, così per avviarsi nella direzione di dare una “ragion d’essere a una seconda Camera, che non sia, come avviene per l’attuale Senato, un inutile doppione della prima”203.

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