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1.4. I seminari inediti La vie la mort

1.4.1. Jacob e la logica del vivente

Tornando all’apertura del seminario va notato che, quando Derrida afferma che nella logica hegeliana è radicato il presupposto metafisico della biologia contemporanea, si sta riferendo in particolare alla svolta genetica della biologia, che trova il suo principale esponente in François Jacob, biologo, vincitore insieme ad André Lwoff e Jacques Monod, del premio Nobel per la medicina nel 1965. È proprio con Jacob, e successivamente con Canguilhem, che Derrida intende confrontarsi per mettere alla prova la capacità della scienza di pensare la vita come archi-scrittura.

La proposta iniziale di Derrida è dunque quella di prendere in esame La logica

del vivente,67 celebre testo di Jacob, pubblicato nel 1971 e considerato il manifesto della biologia genetica. In queste dense pagine Jacob ripercorre tutte le tappe storiche che hanno condotto la biologia alla comprensione dell’eredità genetica, del DNA e della riproduzione di sé. Fin dalle prime righe dell’introduzione, intitolata Il

programma, il debito nei confronti della cibernetica, della teoria dei sistemi

organizzati, del programma e dell’informazione, risulta evidente. Rispetto però a quanto affermato da Leroi-Gourhan, Jacob è in grado di muovere un importante passo in avanti: laddove infatti il primo si serve del paragone con la macchina per spiegare il cervello animale e quindi il comportamento animale rispetto a un determinato ambiente, il secondo va più a fondo, utilizzando il riferimento alla macchina e al programma per spiegare il comportamento dei meccanismi più elementari del vivente. Scrive Jacob:

67 F. Jacob, La logique du vivant, La logica del vivente. Storia dell’ereditarietà, Einaudi, Torino, 1971.

L’eredità oggi viene descritta in termini di informazione, di messaggi, di codici. La riproduzione di un organismo è ricondotta alla riproduzione delle molecole che lo costituiscono; non perché ogni specie chimica abbia l’attitudine a riprodurre copie di se stessa, ma perché la struttura delle macromolecole è determinata, fin nei più piccoli particolari dalle sequenze di quattro radicali chimici contenuti nel patrimonio genetico. Di generazione in generazione vengono trasmesse le “istruzioni” che determinano le strutture molecolari, i piani architettonici del futuro organismo, gli strumenti per mettere in esecuzione questi piani, e per coordinare le attività del sistema. Ogni uovo contiene, dunque, nei cromosomi trasmessigli dai genitori, tutto il proprio avvenire, le tappe del suo sviluppo, la forma e le proprietà dell’essere a cui darà origine. In tal modo l’organismo diventa la realizzazione di un programma prescritto dal patrimonio ereditario. Alla consapevole intenzione di uno Spirito si è sostituita la traduzione di un messaggio. L’essere vivente rappresenta, sì, l’esecuzione di un disegno, ma di un disegno che nessuna mente ha concepito; esso tende verso un fine, ma un fine che nessuna volontà ha scelto. L’unico fine dell’essere vivente è predisporre un programma identico per la generazione successiva, cioè riprodursi.68

In queste poche righe è già racchiusa tutta la logica che regola la formazione della vita e dei viventi. La vita, spiega Jacob, si costituisce attraverso una dinamica ereditaria, la trasmissione di un’informazione di base da una generazione all’altra. Nell’uovo si trova cioè già un programma completo, una serie di istruzioni che indicano come si costruiranno le varie strutture dell’organismo. Ora, queste istruzioni di sistema, assumono la forma di un messaggio, dato dalla combinazione di un piccolo numero di elementi chimici.

Da un punto di vista chimico il DNA, o acido desossiribonucleico, ha la struttura di un lungo polimero, ovvero di una macromolecola che è costituita da una concatenazione di più gruppi molecolari, uguali o diversi tra loro. Ha cioè la forma di una lunga elica formata da quattro elementi specifici: adenina, guanina, citosina e timina. A seconda di come questi quattro elementi si combinano all’interno dei

68 Ivi, pp. 9-10.

vari gruppi molecolari si ha un determinato messaggio, che si inscrive nell’organismo presente e si tramanderà a quello successivo.

Il processo di trasmissione avviene attraverso una traduzione genetica (chiamata sintesi proteica), che è possibile solo grazie a una molecola intermedia di RNA, che permette la trasformazione della sequenza nucleica in sequenza proteica.69

A ben vedere dunque il DNA sembra proprio essere un testo, in cui le informazioni vengono registrate e trasmesse, attraverso una sorta di archi-scrittura che ha un carattere particolare: non è fonetica, ma ricorda invece la scrittura dei calcolatori elettronici. Abbiamo a che fare con una specie di alfabeto Morse, dove il senso del messaggio non è dato da un contenuto pre-esistente che viene trasmesso in un secondo momento,70 ma è dato solo dalla combinazione degli elementi che vanno a formare una sequenza: ogni sequenza è introdotta e termina con degli speciali segnali di interpunzione. I singoli elementi isolati non hanno alcun significato, ma assumono un senso solo nel momento in cui si inseriscono all’interno della sequenza stessa. La sintesi proteica, cioè la trasformazione della sequenza nucleica in sequenza proteica, ricorda il processo di traduzione del testo, come accade appunto quando si vuole leggere un messaggio Morse. La traduzione diviene possibile solo se si stabilisce un codice intermedio che garantisce l’equivalenza tra i due ordini alfabetico-sintattici: è quello appunto che cerca misteriosamente di fare la molecola di RNA.

La logica del DNA come logica del vivente è orientata in un’unica direzione: la riproduzione di sé. «In un essere vivente tutto è organizzato in vista della riproduzione. Un batterio, un’ameba, una felce, quale destino possono sognare se

69 Cfr. Ivi, p. 310: «La struttura molecolare dell’acido desossiribonucleico è quella di un lungo polimero, formato dalla sequenza di quattro unità che si ripetono milioni di volte, permutandosi lungo la catena, come le lettere alfabetiche lungo un testo. È l’ordine di queste quattro unità che dirige quello delle venti unità nelle proteine. Tutto porta a guardare la sequenza contenuta nel materiale genetico come una serie di istruzioni che specificano le architetture molecolari, dunque le proteine della cellula, a considerare il piano di un organismo come un messaggio trasmesso di generazione in generazione».

70 Siamo cioè in presenza di quella che Vitale ha definito una «preminenza dell’ordine sintattico rispetto a quello semantico» (F. Vitale, Il testo, il vivente. Biodecostruzione II, op. cit., p. 149).

non quello di formare due batteri, due amebe, moltissime felci?».71 Jacob ci invita a immaginare per un momento un mondo disabitato. A un certo punto emergerebbe per forza un sistema capace di riprodursi, anche in modo imperfetto e con estrema lentezza: «ebbene, esso è, senza possibilità di dubbio, un essere vivente».72 La riproduzione in quanto destino unico del vivente è ciò che distingue l’organico dall’inorganico e, insieme a un’eredità concepita come informazione, è ciò che, secondo Jacob, libera la biologia da qualsiasi forma di finalismo o meccanicismo, che fino a quel momento ne erano rimasti i presupposti inconfessati. DNA e riproduzione riescono cioè a conciliare l’idea che ogni singolo organismo abbia una finalità (quella appunto di riprodursi) all’interno di un contesto in cui la storia generale degli organismi è senza fine. Insomma la biologia, grazie alla scoperta del DNA e al ricorso alla teoria del programma e dell’informazione, avrebbe finalmente eliminato qualsiasi retaggio filosofico, metafisico e fono-logocentrico.